ioly78 wrote: il fatto che i personaggi irrompano, coi loro pensieri, nel racconto. Loro partecipano emotivamente alla narrazione, che peraltro è al presente, pertanto questi pensieri in forma diretta sono l'espressione di istanze intime estemporanee. Ecco perché mi piacciono queste "irruzioni", perché sono istintive.
Il tuo è un esperimento interessante, e sono d'accordo che non devi lasciarti scoraggiare dalla difficoltà o dal fatto che sia poco comune. Anzi, se riesce bene potrebbe essere apprezzato proprio per l'originalità.
A me normalmente non piacciono molto i pensieri diretti, se non limitati (ci sta che in un momento di forte emozione irrompa, come dici tu, il pensiero diretto). Secondo me dipende però molto dalla persona e dal tempo che si usa (se è al passato, un pensiero diretto al presente spicca di più). Se si usa la prima persona non ce n'è nemmeno bisogno: ogni frase è un pensiero del personaggio, che è anche narratore. Se si usa la terza persona soggettiva, che è sempre calata nel punto di vista del personaggio, un pensiero diretto ogni tanto può servire a sottolineare qualcosa. Nel caso di un narratore onnisciente si possono usare entrambi, ma solo quando è chiaro a chi appartiene quel pensiero.
Per fare degli esempi concreti:
Prima persona: -Appena arrivato in ufficio, sento pronunciare il mio nome. Seguendo la voce trovo il ragionier Barozzi che parla col capo. Di sicuro il bastardo gli sta dicendo qualcosa di brutto su di me. Non la passa liscia.
oppure - Appena arrivato in ufficio, sentii pronunciare il mio nome. Seguendo la voce trovai il ragionier Barozzi che parlava col capo. Gli stava di sicuro dicendo qualcosa di brutto su di me.
Bastardo! Non la passi liscia. (in questo caso il pensiero diretto, secondo me, non aggiunge granché, e stona col passato della narrazione)
Terza soggettiva: Appena arrivato in ufficio, sentì pronunciare il suo nome. Seguendo la voce trovò il ragionier Barozzi che parlava col capo. Gli stava di sicuro dicendo qualcosa di brutto su di lui. Bastardo. Non l'avrebbe passata liscia.
Narratore onnisciente: Appena arrivato in ufficio, sentì pronunciare il suo nome. Seguendo la voce trovò il ragionier Barozzi che parlava col capo. Gli stava di sicuro dicendo qualcosa di brutto su di lui.
Che bastardo!, pensò,
Non la passi liscia. (in questo caso il pensiero diretto ci sta, volendo anche senza il "pensò", perché è chiaro di chi sia il pensiero.
oppure - Appena arrivato in ufficio, sente pronunciare il suo nome. Seguendo la voce trova il ragionier Barozzi che parla col capo. Gli sta di sicuro dicendo qualcosa di brutto su di lui. Quel bastardo non la passa liscia.
Insomma, secondo me non c'è un modo giusto o migliore, dipende molto anche dal tono del romanzo. Se è diretto e informale ci sta meglio, se assomiglia più a un racconto vecchio stile potrebbe stonare. In generale, se un personaggio interviene di continuo con commenti diretti non necessari può diventare pesante, se per il resto si segue una narrazione tradizionale.
Ovviamente parlo in generale, se poi qualcuno vuole sperimentare è un'altra cosa. C'è chi scrive flussi di coscienza o dialoghi senza punteggiatura e ha vinto un Nobel, per dire (ma a me non piacciono neanche quelli

). È anche questione di gusti personali, sia di chi scrive che di chi legge.
Al momento sto leggendo un romanzo dove di tanto in tanto la narrazione è affidata a un "noi" (gli abitanti di un quartiere), che danno anche vaghi indizi sulle vicende future. Da principio mi ha confusa e un po' irritata, ma andando avanti con la lettura non disturba più, diventa parte integrante del modo di raccontare quella storia (ed è molto particolare), quindi alla fine conta solo il risultato.