Seduto all’imboccatura dello stretto passaggio, Naufrago osservava la calura che faceva ondeggiare l’aria sulla piana rocciosa. Pareva avere una consistenza quasi liquida, come l’increspare del mare mosso da una lieve brezza; quella distesa d’acqua che ora pareva così lontana e non a poche miglia di distanza.
“Quanto tempo è passato dalla vita che ho trascorso sul mare, lontano dalle ansie e dalle tribolazioni.”
Quel periodo sembrava appartenere a un altro tempo, troppo diverso dalle preoccupazioni del loro continuo spostarsi e arrabattarsi per avere da mangiare, del trovare un posto per dormire.
Sospirò. “Tutto allora era davvero più semplice.”
Allargò le narici, cogliendo una nota salmastra nella breve brezza giunta dalla piana. Si adagiò contro la roccia, chiudendo gli occhi. “Sì, quando vivevo sul mare la vita era diversa: più regolare, metodica, scandita dai compiti che ognuno aveva.” Non che ci fosse molto da fare: a parte la pesca e il cucinare, i lavori erano più che altro un modo per impedire alla noia e all’ozio che li incattivissero. Certo, alle volte sorgevano discussioni, contrasti (nella convivenza forzata era inevitabile), ma erano subito sedati e si risolvevano sempre in un nulla di fatto: le prospettive d’essere gettati in mare o fatti ritornare sulla terraferma erano un ottimo deterrente per raffreddare gli animi. Per quanto la vita a bordo alle volte potesse andare stretta, nessuno avrebbe rinunciato al senso di sicurezza e protezione che essa dava: erano lontani i ricordi delle barbarie, delle violenze di cui le città e le campagne erano ricche, delle razzie che gruppi di uomini impazziti e creature mutate effettuavano senza posa. Le urla strazianti, gli scricchiolii di ossa spezzate, il rumore della carne e dei muscoli che venivano stracciati: nessuno voleva più avere a che fare con simili orrori, nessuno voleva più provare la paura della preda sempre braccata, che da un momento all’altro poteva essere catturata e fatta a pezzi.
Non bastasse questo, nessuno sentiva la mancanza della terraferma, divenuta un luogo inospitale, senza più un equilibrio: terre aride fatte di sole rocce, deserti, lande spazzate da venti che sradicavano ogni forma di vegetazione. Trovare di che sfamarsi in esse era un’impresa al limite della sopravvivenza, costringendo inevitabilmente a cercare cibo, o almeno quel che restava dopo anni di razzie, all’interno delle città che ancora esistevano, divenute sacche dell’inferno. Rischi troppo grossi per ottenere gli scarti lasciati da chi era più forte e feroce. Niente in confronto alla ricchezza del mare e che con un minimo sforzo si poteva ottenere.
Del mare però ricordava soprattutto la calma delle ore che precedevano l’alba, quando piazzavano le reti, o i caldi pomeriggi sonnolenti, dove restavano in attesa che i pesci abboccassero per puro passatempo. “Già, i lunghi pomeriggi seduto sul ponte della nave con la canna da pesca in mano, osservando la grande distesa piatta del mare.” A quella vista il suo animo si placava, i cupi pensieri si dissipavano, come se un forte vento avesse spinto lontano i nuvoloni temporaleschi della sua esistenza, lasciandolo solamente con la pace dello sciacquio delle onde. Certo, non era una pace che durava a lungo, visto che spesso il ponte risuonava delle grida dei bambini.
La nave della follia - parte 1
1Esistono molti mondi: reali, immaginari. Non importa la loro natura: da ognuno di essi si può apprendere qualcosa.
https://www.lestradedeimondi.com/
https://www.lestradedeimondi.com/