[Lab 9] Clara (cap. n. 5 di 5)
Posted: Sat Aug 26, 2023 9:31 am
La sua attenzione torna a Clara. Sul suo volto si disegnano le stesse espressioni della bambina; sembrano uno lo specchio dell’altra.
«Sta passando, tesoro» dice lanciando uno sguardo all’orologio «Ormai manca poco! Sei stata bravissima, come sempre».
«Insomma, che sta succedendo qui, me lo vuole dire?»
La mia voce risuona inopportuna, un elemento di disturbo in quella quiete nervosa.
Primieri inspira profondamente.
«Faccio quello che è desiderio di ogni padre: regalo alla mia bambina qualche anno di felicità in più! Può biasimarmi per questo?»
Sono confuso e il modo di fare di Primieri mi mette ansia.
«Ma che vuol dire? Non capisco!»
Il professore fruga in una delle tasche dei pantaloni e ne tira fuori il portafogli.
«Ecco, prenda!»
Mi porge una foto. Nell’immagine, Clara è tutto un sorriso: è seduta sulle ginocchia di una bella donna; probabilmente un’amica del professore, una collaboratrice, forse.
«La giri».
Clara a dieci anni, c’è scritto. E poi una data: 13.08.2001.
Non può essere! Guardo Clara, quella vera, sdraiata sul lettino e poi la ragazzina della foto: sono identiche.
«Quella è Lucia, mia moglie, la madre di Clara» dice Primieri.
E a quel punto il senso di oppressione alle tempie diventa una tenaglia che mi stritola il cranio come in una morsa. Sudo copiosamente, ma è sudore freddo, il prodotto dell’angoscia e della consapevolezza. Una consapevolezza agghiacciante.
«Sua moglie è morta vent’anni fa, me l’ha detto lei, perciò quella non può essere Clara!» Le viscere mi si contraggono come a formare una palla di stracci mentre lo dico.
«E perché no?» mi sfida Primieri.
Non capisco se il professore si stia prendendo gioco di me.
«Perché se fosse lei, oggi, dovrebbe avere trent’anni!»
Primieri annuisce lentamente.
«Ma…» Non riesco ad aggiungere altro.
«Ascolti» il professore si riappropria della foto. «Se le chiedessi di dirmi quando si è sentito veramente felice, l’ultima volta in vita sua, cosa risponderebbe? Badi bene, non la soddisfazione per un lavoro ben retribuito o per la macchina nuova; io parlo di felicità, di quando tutto è meraviglia e la vita ti sorride mostrandoti solo ciò che è bello».
La felicità per me erano le corse a perdifiato nella campagna di zio Gianni, insieme con i cuginetti. Le nostre immaginarie esplorazioni. Il pranzo tutti insieme, la pasta al forno, i nostri genitori che ridono.
«All’età di sua figlia?» azzardo.
«Già!» Primieri si illumina. «La vita ci faceva collezionare piccole gioie, ogni giorno». Cambia espressione «Poi, crescendo, le cose sono cambiate e anche la nostra collezione. Abbiamo fatto la conoscenza di ansie e frustrazioni: le interrogazioni a scuola, i rifiuti del nostro piccolo oggetto del desiderio – quanto ci abbiamo sofferto da ragazzi – la ricerca di un lavoro che non c’era… Il mondo ha cominciato a diventare una cosa seria, peggio, un luogo inospitale. Perché questa è la verità: il mondo fa schifo! E questo senza il bisogno di arrivare alle brutture degli articolisti della cronaca nera».
«Perciò, lei sta ritardando artificialmente...»
Primieri annuisce con solennità.
«E la frequenza con cui cambia incarichi e città serve per impedire alle persone del suo entourage di accorgersi che Clara non invecchia!»
«È un giovane perspicace» annuisce «Sono contento di averla scelta tra i tanti papabili».
«Ma è innaturale, professore!» obietto.
Primieri sbuffa e allarga le braccia.
«Mi dica che c’è di naturale nella pratica medica, allora! Che facciamo con un paziente che ha in corso un’infezione? Lo adagiamo su una lettiga e aspettiamo di vedere se il suo organismo è più forte del batterio che ha scatenato la sepsi? No, gli somministriamo gli antibiotici! E questo non significa, forse, influenzare il corso naturale degli eventi? Non solo, intubiamo chi non riesce a respirare autonomamente, operiamo chi soffre di appendicite, ricuciamo un braccio a chi lo ha perso a causa di eventi traumatici, pratichiamo la FIVET alle donne che soffrono di infertilità... Ogni santo giorno e continuamente – mi scusi il francesismo – ce ne fottiamo di ciò che la Natura vuole».
«D’accordo, professore, ma tutte quelle persone erano consapevoli di ciò che avremmo fatto loro, erano d'accordo, Clara invece…»
«Clara è una minore!»
E’ la prima volta che il mio interlocutore mostra fastidio per quello che dico, tanto da non lasciarmi finire.
«Come avrebbe potuto esprimere un consenso consapevole a dieci anni? Sono i genitori che prendono le decisioni per loro, in questi casi. Lo dice la Legge!» taglia corto.
«Forse quando ha iniziato a somministrarle il “trattamento” aveva dieci anni, ma nel corso del tempo..»
Primieri sbuffa esasperato.
«Dottor Rossi, solo all’anagrafe Clara è maggiorenne, nella vita reale è una bambina. Le sue capacità cognitive sono quelle di una bambina e così quelle fisiche; e tali resteranno fintantoché le verrà somministrato il farmaco». Cambia tono. «Ma perché tanta difficoltà nell’accettare un gesto d’amore? Addirittura di clemenza? Lo sa anche lei quello che dispensa la nostra società, lo vediamo tutti i giorni al telegiornale. Davvero, vogliamo consegnare i nostri figli a questa realtà?»
«Ma ci sono anche cose buone nella società!»
«Me ne dica qualcuna, sono curioso» chiede con sarcasmo.
«L’amicizia» rispondo dopo un attimo.
«Ah, sì, gli amici. Quelli che al lavoro cercano di farti le scarpe? Se invece parliamo degli amici dei nostri figli… beh, chi li conosce? Lei pensa davvero di sapere chi sono quelle persone che i nostri ragazzi frequentano a scuola? In palestra? In discoteca? Sono tutti bravi finché non finiscono sulle prime pagine dei giornali. No, la verità è che una volta che diventano adolescenti, i ragazzi come le ragazze, diventa impossibile controllarli adeguatamente».
«Controllarli? Si riassume in questo il suo atto d’amore?»
«Controllarli, sì, ma per il loro bene!» Il tono di voce rivela esasperazione. «Come diceva Machiavelli? Il fine giustifica i mezzi!»
«Perciò, la soluzione è mantenerli bambini?»
«Già. Cosa mancherà mai a mia figlia finché ci sarò io? Non l’amore e men che meno i beni materiali».
«Ma lei non ci sarà per sempre, professore! Quanti anni ha? Sessanta? Ha già imboccato la parabola discendente della sua vita! E quando resterà sola, come farà Clara, l’adulta rimasta bambina, a rapportarsi alla tremenda realtà di cui parla? Professore la vita a cui sta condannando sua figlia non esiste, è pura finzione farmacologica!»
È furioso, lo percepisco.
«Conto di vivere ancora a lungo, dottor Rossi; più di lei, in effetti» mi sibila contro. «Crede davvero che il mio piano sia così mal pensato da non contemplare un accrescimento della mia longevità? Ma con chi crede di avere a che fare, con un ciarlatano? Si ricordi che io studio la vita, la biochimica che è dentro di noi...» allunga un braccio mentre, con l'altra mano ne sfiora le vene «quella che ci rende ciò che siamo, che ancora lei mangiava merendine; perciò la smetta di fare il professorino con me. Cerchi piuttosto di imparare da chi può insegnarle qualcosa, omuncolo presuntuoso!»
Clara si lascia sfuggire un altro prolungato lamento. Le sue labbra si muovono.
«Fabio, aiutami».
«Sì, tesoro, ti porto via da qui».
Mi metto all'opera per slegarla e per un momento trascuro il tintinnare del metallo poco distante. E il rumore di passi concitati.
«Lei non porta via nessuno!»
Quando mi volto ho la fugace percezione di un lampo argenteo nella penombra, poi dal mio addome esplode un dolore acuto.
«Sei come tutti quegli altri meschini... Sei come loro!»
La saetta d'argento fa avanti e indietro, ancora e ancora, nelle mani di Primieri; ogni volta lo strazio delle mie carni si rinnova.
È tardi per pensare di difendermi; le forze mi stanno già abbandonando. Guardo in alto: il lettino chirurgico di Clara mi sovrasta. Devo essermi afflosciato.
Clara. Mentre tendo la mano verso di lei il mondo pian piano si spegne.
«Sta passando, tesoro» dice lanciando uno sguardo all’orologio «Ormai manca poco! Sei stata bravissima, come sempre».
«Insomma, che sta succedendo qui, me lo vuole dire?»
La mia voce risuona inopportuna, un elemento di disturbo in quella quiete nervosa.
Primieri inspira profondamente.
«Faccio quello che è desiderio di ogni padre: regalo alla mia bambina qualche anno di felicità in più! Può biasimarmi per questo?»
Sono confuso e il modo di fare di Primieri mi mette ansia.
«Ma che vuol dire? Non capisco!»
Il professore fruga in una delle tasche dei pantaloni e ne tira fuori il portafogli.
«Ecco, prenda!»
Mi porge una foto. Nell’immagine, Clara è tutto un sorriso: è seduta sulle ginocchia di una bella donna; probabilmente un’amica del professore, una collaboratrice, forse.
«La giri».
Clara a dieci anni, c’è scritto. E poi una data: 13.08.2001.
Non può essere! Guardo Clara, quella vera, sdraiata sul lettino e poi la ragazzina della foto: sono identiche.
«Quella è Lucia, mia moglie, la madre di Clara» dice Primieri.
E a quel punto il senso di oppressione alle tempie diventa una tenaglia che mi stritola il cranio come in una morsa. Sudo copiosamente, ma è sudore freddo, il prodotto dell’angoscia e della consapevolezza. Una consapevolezza agghiacciante.
«Sua moglie è morta vent’anni fa, me l’ha detto lei, perciò quella non può essere Clara!» Le viscere mi si contraggono come a formare una palla di stracci mentre lo dico.
«E perché no?» mi sfida Primieri.
Non capisco se il professore si stia prendendo gioco di me.
«Perché se fosse lei, oggi, dovrebbe avere trent’anni!»
Primieri annuisce lentamente.
«Ma…» Non riesco ad aggiungere altro.
«Ascolti» il professore si riappropria della foto. «Se le chiedessi di dirmi quando si è sentito veramente felice, l’ultima volta in vita sua, cosa risponderebbe? Badi bene, non la soddisfazione per un lavoro ben retribuito o per la macchina nuova; io parlo di felicità, di quando tutto è meraviglia e la vita ti sorride mostrandoti solo ciò che è bello».
La felicità per me erano le corse a perdifiato nella campagna di zio Gianni, insieme con i cuginetti. Le nostre immaginarie esplorazioni. Il pranzo tutti insieme, la pasta al forno, i nostri genitori che ridono.
«All’età di sua figlia?» azzardo.
«Già!» Primieri si illumina. «La vita ci faceva collezionare piccole gioie, ogni giorno». Cambia espressione «Poi, crescendo, le cose sono cambiate e anche la nostra collezione. Abbiamo fatto la conoscenza di ansie e frustrazioni: le interrogazioni a scuola, i rifiuti del nostro piccolo oggetto del desiderio – quanto ci abbiamo sofferto da ragazzi – la ricerca di un lavoro che non c’era… Il mondo ha cominciato a diventare una cosa seria, peggio, un luogo inospitale. Perché questa è la verità: il mondo fa schifo! E questo senza il bisogno di arrivare alle brutture degli articolisti della cronaca nera».
«Perciò, lei sta ritardando artificialmente...»
Primieri annuisce con solennità.
«E la frequenza con cui cambia incarichi e città serve per impedire alle persone del suo entourage di accorgersi che Clara non invecchia!»
«È un giovane perspicace» annuisce «Sono contento di averla scelta tra i tanti papabili».
«Ma è innaturale, professore!» obietto.
Primieri sbuffa e allarga le braccia.
«Mi dica che c’è di naturale nella pratica medica, allora! Che facciamo con un paziente che ha in corso un’infezione? Lo adagiamo su una lettiga e aspettiamo di vedere se il suo organismo è più forte del batterio che ha scatenato la sepsi? No, gli somministriamo gli antibiotici! E questo non significa, forse, influenzare il corso naturale degli eventi? Non solo, intubiamo chi non riesce a respirare autonomamente, operiamo chi soffre di appendicite, ricuciamo un braccio a chi lo ha perso a causa di eventi traumatici, pratichiamo la FIVET alle donne che soffrono di infertilità... Ogni santo giorno e continuamente – mi scusi il francesismo – ce ne fottiamo di ciò che la Natura vuole».
«D’accordo, professore, ma tutte quelle persone erano consapevoli di ciò che avremmo fatto loro, erano d'accordo, Clara invece…»
«Clara è una minore!»
E’ la prima volta che il mio interlocutore mostra fastidio per quello che dico, tanto da non lasciarmi finire.
«Come avrebbe potuto esprimere un consenso consapevole a dieci anni? Sono i genitori che prendono le decisioni per loro, in questi casi. Lo dice la Legge!» taglia corto.
«Forse quando ha iniziato a somministrarle il “trattamento” aveva dieci anni, ma nel corso del tempo..»
Primieri sbuffa esasperato.
«Dottor Rossi, solo all’anagrafe Clara è maggiorenne, nella vita reale è una bambina. Le sue capacità cognitive sono quelle di una bambina e così quelle fisiche; e tali resteranno fintantoché le verrà somministrato il farmaco». Cambia tono. «Ma perché tanta difficoltà nell’accettare un gesto d’amore? Addirittura di clemenza? Lo sa anche lei quello che dispensa la nostra società, lo vediamo tutti i giorni al telegiornale. Davvero, vogliamo consegnare i nostri figli a questa realtà?»
«Ma ci sono anche cose buone nella società!»
«Me ne dica qualcuna, sono curioso» chiede con sarcasmo.
«L’amicizia» rispondo dopo un attimo.
«Ah, sì, gli amici. Quelli che al lavoro cercano di farti le scarpe? Se invece parliamo degli amici dei nostri figli… beh, chi li conosce? Lei pensa davvero di sapere chi sono quelle persone che i nostri ragazzi frequentano a scuola? In palestra? In discoteca? Sono tutti bravi finché non finiscono sulle prime pagine dei giornali. No, la verità è che una volta che diventano adolescenti, i ragazzi come le ragazze, diventa impossibile controllarli adeguatamente».
«Controllarli? Si riassume in questo il suo atto d’amore?»
«Controllarli, sì, ma per il loro bene!» Il tono di voce rivela esasperazione. «Come diceva Machiavelli? Il fine giustifica i mezzi!»
«Perciò, la soluzione è mantenerli bambini?»
«Già. Cosa mancherà mai a mia figlia finché ci sarò io? Non l’amore e men che meno i beni materiali».
«Ma lei non ci sarà per sempre, professore! Quanti anni ha? Sessanta? Ha già imboccato la parabola discendente della sua vita! E quando resterà sola, come farà Clara, l’adulta rimasta bambina, a rapportarsi alla tremenda realtà di cui parla? Professore la vita a cui sta condannando sua figlia non esiste, è pura finzione farmacologica!»
È furioso, lo percepisco.
«Conto di vivere ancora a lungo, dottor Rossi; più di lei, in effetti» mi sibila contro. «Crede davvero che il mio piano sia così mal pensato da non contemplare un accrescimento della mia longevità? Ma con chi crede di avere a che fare, con un ciarlatano? Si ricordi che io studio la vita, la biochimica che è dentro di noi...» allunga un braccio mentre, con l'altra mano ne sfiora le vene «quella che ci rende ciò che siamo, che ancora lei mangiava merendine; perciò la smetta di fare il professorino con me. Cerchi piuttosto di imparare da chi può insegnarle qualcosa, omuncolo presuntuoso!»
Clara si lascia sfuggire un altro prolungato lamento. Le sue labbra si muovono.
«Fabio, aiutami».
«Sì, tesoro, ti porto via da qui».
Mi metto all'opera per slegarla e per un momento trascuro il tintinnare del metallo poco distante. E il rumore di passi concitati.
«Lei non porta via nessuno!»
Quando mi volto ho la fugace percezione di un lampo argenteo nella penombra, poi dal mio addome esplode un dolore acuto.
«Sei come tutti quegli altri meschini... Sei come loro!»
La saetta d'argento fa avanti e indietro, ancora e ancora, nelle mani di Primieri; ogni volta lo strazio delle mie carni si rinnova.
È tardi per pensare di difendermi; le forze mi stanno già abbandonando. Guardo in alto: il lettino chirurgico di Clara mi sovrasta. Devo essermi afflosciato.
Clara. Mentre tendo la mano verso di lei il mondo pian piano si spegne.