[Lab 9] La legge di Eleonora cap 2 di 5
Posted: Tue Aug 01, 2023 9:56 pm
La legge di Eleonora
Capitolo secondo. Così è deciso.
A.D.1384
Il mare era in tempesta. Il cielo plumbeo carico di nuvole rimaneva compatto nonostante il forte vento di Libeccio.
Il susseguirsi delle onde possenti spingeva il galeone con le vele di randa ammainate in un movimento di paurosi sali e scendi della sua prua. La spuma del sale mista all’acqua del mare invadeva il ponte, e dopo averlo spazzato di quello che incontrava, defluiva verso i fianchi dei fasciami. Il comandante Francisco Tergada si accorse che dalla sinistra stava provenendo una seria minaccia e urlò il comando: “Tutto a destra! Maledizione!”. Il timoniere guardò a babordo e vide la gigantesca onda che stava per impattare sul loro fianco. Prese con forza a far ruotare il timone appena in tempo che il maroso impattò con violenza sulla poppa. L’ondata diede una ulteriore spinta alla prua che si inclinò di quaranta gradi, e la lanciò verso l’abisso d’acqua che parve inghiottire l’imbarcazione. Lo scafo scivolò lungo il vorticoso pendio d’acqua ma poi riprese la risalita verso la linea dell’orizzonte. Dopo aver scavalcato l’onda che aveva davanti, si impennò nuovamente verso il cielo, mettendo in mostra un terzo della chiglia, per poi tornare a sbattere ancora con violenza sulla superficie d’acqua, al ritorno sulla linea di galleggiamento.
Francisco Tergada, visto lo scampato pericolo, non riuscì a trattenere l’imprecazione verso il timoniere: “Hijo de puta! Ci vuoi mandare a picco? Se uno finirà in pasto ai pesci, quello sarai tu!”
Il galeone riprese il suo beccheggio nella pazza corsa tra le onde. Francisco, che ancora imprecava contro il timoniere, non si era accorto che sulla tolda, saldamente attaccata al corrimano, Eleonora assisteva alla tempesta completamente fradicia d’acqua. L’uomo immaginò che lei vi era già da tanto sul ponte di coperta. Sapeva che lei era una donna di mare e aveva affrontato varie volte, pure con lui, mari tempestosi sin da ragazza, nel suo andare e tornare dal regno di Catalogna. A lei piaceva confrontarsi con le forze della natura, che credeva la manifestazione della potenza divina. I due si incrociarono con gli occhi e lui, sapendo che fosse inutile sgridarla per il rischio che correva, a gesti, la invitò a tenersi saldamente. Lei, che aveva sentito le sue imprecazioni, per risposta lo ammonì facendogli cenno di chiudere la bocca. Poi, tra i rumori dei flutti, in quella natura agitata e ammaliante, si sentì un debole canto. Il comandante riconobbe subito la voce della sua Signora, sapendo bene che per esorcizzare la paura, lei intonava sempre il canto.
Spingi vento, non ti fermare dal remare
Non agitarti cuore, confida nel tuo amore
il vento stringe i tempi dell’incontro
li accorcia come le ore della candela,
il buio scenderà tra i veli delle cortine
e lì mi troverai ad aspettarti ancora
Spingi vento, non ti fermare dal remare...
Poi qualcuno dall’alto delle cime urlò: “terra!”.
Eleonora vide l’apparire improvviso della costa quando il sipario delle nubi si aprì sulla linea dell’orizzonte. Alzò l’indice verso di essa e sorrise soddisfatta, trascinando tutto l’equipaggio in urla di gioia. Quando il galeone entrò sotto costa, anche le onde persero la loro potenza e il vento cessò dal soffiare minaccioso, rimanendone solo il sordo rumore nell’aria. Il galeone si avvicinò velocemente verso l’insenatura grazie alla spinta che ancora riceveva dal moto ondoso e dalla vela di randa che era stata issata. Intanto sulla costa il loro arrivo non passava inosservato: “Eleonora è tornata! Correte, correte!”. La notizia si sparse tra i borghi d’Arborea con la velocità di un tiro d’arco. Le botteghe si svuotarono dagli artigiani, i mercati dagli avventori. Donne e uomini dei campi lasciarono gli attrezzi a terra e presero a correre verso il porticciolo. Anche i notabili si unirono alla folla esultante che aveva riempito il molo. Tra loro, Lorenzo Torres e Giovanni Terralba, non apparvero dello stesso atteggiamento festoso e si scambiarono un sorriso malizioso quando realizzarono che a fianco di Eleonora non vi era il marito Brancaleone Doria: “Devono averlo bloccato presso Aragona”, disse a bassa voce uno dei due.
Incurante di aver gli abiti inzuppati la sovrana sbarcò e la folla si accalcò per salutarla, cosa che costrinse il conte De Ortis a ordinare alle guardie di far defluire la gente per far defluire il corteo dei viaggiatori. “Lasciate passare la nostra Signora; lasciatela respirare. Sarà stanca e provata dal viaggio. Per cortesia tornate alle vostre faccende”. L’avvertimento pacato fu accolto dalla folla che obbedì , ritirandosi verso i lati. Eleonora salutò tutti quanti, non risparmiando benedizioni e ringraziamenti a chi gli si gettava ai piedi. Stanca per il viaggio, la donna andò a dormire dopo aver passato la sera con il figlio Federico di sette anni. Ma per tutta la notte il sonno fu disturbato dai ricorrenti pensieri che l’affliggevano da diverso tempo.
La notte passò e il giorno si presentò con un flebile sole all’orizzonte. Eleonora l’osservò salire dal mare, dall’alto della sua stanza del suo castello. Poi l’astro lucente segnò l’ora decima ponendosi a due terzi della volta celeste. A questo punto, la sovrana diede ordine che venisse preparata la sala delle cerimonie per il convegno con i notabili e gli amministratori. Diede pure l’ordine di sellare il suo cavallo preferito e di fare in modo che avesse le budella svuotate perché, come sua consuetudine, detestava che durante il passaggio tra le vie di Arborea l’animale sporcasse. Nei suoi ricordi di bambina albergava l’odioso ricordo che sempre le era parso quasi un insulto al luogo e alle genti, che poi erano costrette a pulire come segno di sottomissione al Re o ai Signori. Un modo come un altro per imporre la propria autorità alla gente comune, quella che poi ricambiava il gesto di poca cortesia con l’epiteto: “merde cuaddu cummenti su meri” (merda di cavallo come il suo padrone).
Lo stalliere le portò il suo cavallo come da lei ordinato, sgombro da ogni immonda costipazione. Lei ci saltò sopra con agilità e prese la direzione del borgo. La gente la vide arrivare al passo, quasi come se non volesse farsi notare. Odiava i saluti di convenienza o di rispettosa sottomissione. Le piaceva sentirsi una del popolo e stare senza gli occhi addosso della gente, che ben sapendo di questo, evitavano di disturbarla. Dopo aver fatto una breve passeggiata tra le vie della città e aver salutato alcuni conoscenti, ritornò al castello per prepararsi per il convegno. Indossò la lunga veste di lino blu dai polsi delle maniche in pizzo ecrù, raccolse i capelli con le spille dall’impugnatura di madreperla, e mise lo scialle di seta rossa sulle spalle. Fu la prima ad arrivare nella sala e attese l’arrivo dei dignitari seduta sulla sua poltrona. Dopo circa mezzora tutti erano presenti con le varie questioni da porle, che lei chiuse dopo aver giudicato con la frase “così è deciso”.
Prese la parola Lorenzo Torres che si fece avanti e disse: “Tutti quanti noi vorremmo sapere il motivo per cui il suo consorte, Brancaleone Doria, non è qui con noi!”.
Eleonora scrutò il nobile uomo e fece una smorfia saccente: aspettava quella domanda da chi gli era ostile tra i nobili. “Come non sapete? Mi pare strano. Dato che vostra signoria conosce gli intrighi dei nostri sovrani d’Aragona meglio di chiunque altro”.
“Mi perdoni mia Signora ma non capisco a cosa alluda…”
(continua)