[Lab9] La legge di Eleonora cap 5 di 5
Posted: Tue Aug 01, 2023 9:46 pm
Capitolo quinto. Dieci, cento, mille
“ Tuo padre sta tornando a casa ed è furibondo con te”. Queste furono le parole della madre di Martino. Lui pensò come affrontarlo al suo arrivo. Nel mentre Tullio Bellisai si era fermato sul ciglio della strada per conversare col collega Paolo.
“Non essere troppo severo con lui. Cerca di capire per quale motivo lo ha fatto”.
“Ma che motivo vuoi che avesse per farmi una carognata del genere! Proprio lui l’autore di quella lettera anonima!”
Paolo rise divertito.
“Ma sì! Ridi ridi. Ma vedrai la lavata di capo che gli faccio. Ma non mi hai detto come sono arrivati a lui…”
“La qualità della carta usata per la stampa che viene distribuita agli atenei. Poi si è pensato che hai un figlio all’università e che poteva sapere dei fatti nostri. Un controllo sulle stampanti e sui registri è bastato per risalire alla cronologia di stampa e da chi l’aveva eseguita”.
“Però! Mio figlio si è fatto fregare come un principiante!”
“A quanto pare. Ma vedi di risolvere adesso con lui. Io ho già parlato con gli altri e dato che c’è di mezzo tuo figlio, quelli del distretto disciplinare archivieranno tutto. Sempre che tuo figlio non voglia portare avanti questa cosa”.
“Non voglio neanche pensarci! Sarebbe un disastro per tutti!”
“E tu fagli qualche promessa. Magari compra il suo silenzio con una bella auto sportiva, un posto come socio nello studio legale. Mandalo in vacanza in qualche isola del sesso e fagli capire cosa è la bella vita e come la si può ottenere...”
Tullio arrivò a casa e andò verso la stanza del figlio che già lo aspettava con ansia.
Quando l’uomo entrò di getto, Martino non sollevò lo sguardo. Fu lui a gettargli sopra la scrivania la lettera anonima e il foglio delle registrazioni delle stampe all’università. Alla vista di quel documento capì che era stato scoperto: la battaglia iniziava.
“Perché mi hai fatto questo? Ma sei impazzito?”
“Solo perché sei mio padre non dovevo farlo?”
“Ma cosa potrai mai capire di quello che hai scritto? Sono questioni legali che sono state giudicate in regolari procedimenti. Cose passate in giudicato che tu stai riportando a galla affermando essere il frutto di dolo tra le parti. Ma ti rendi conto?”
“Mi pare che sia così! É quello che si deduce dalle carte”
“Cerca di essere chiaro! Dato che già ti credi un avvocato, parla nel concreto”.
“Se lo vuoi. I casi sono solo alcuni di quelli che da anni finiscono in cause perse ai danni dei tuoi clienti meno abbienti. Usi sempre la tecnica della inammissibilità a cui ti esponi e che semini già a partire dal primo grado. Questioni di merito messe in dubbio grazie alla malagestio delle prove documentali. Atti di giudizio fatti lasciando aperte questioni procedurali che poi vengono appellate dalla controparte e che non vengono risolte. Alla fine il ricorso in cassazione è un ridicolo atto pieno di motivi sul merito che vengono dichiarati inammissibili e di motivi di violazione di legge dichiarati non fondati”.
“Fammi un esempio, caro mio! Ancora non mi hai detto niente!”
“E se ti dicessi come hai fatto perdere la causa ai Bonelli in cambio della vittoria sulla causa ImpreFin? I Bonelli avevano prove schiaccianti e hanno perso a causa delle inammissibilità procedurali. La ImpreFin ha vinto la causa senza nulla dimostrare, ma solo grazie alla stessa tecnica messa su dai legali dei malcapitati di turno. Fate vincere i potenti e perdere la povera gente. Già mi immagino cosa dici a loro quando gli inviti in studio per spiegare come si è arrivati a perdere la causa: vi è stata una decisione ingiusta. E questi disgraziati se ne vanno a casa maledicendo il giudici che l’hanno emessa, senza sapere che è frutto di accordi tra di voi”.
Tullio a questo punto capì che fosse inutile proseguire. Martino sarebbe stato in grado di spiegare il sistema collaudato per dare una parvenza di legalità ai procedimenti destinati a essere fuorviati.
“Ma cosa credi! Che sia facile? Ma pensi veramente che oggi si possa lavorare facendo i paladini della giustizia? Hai ragione! Ammetto che non è proprio lecito e deontologicamente corretto quello che faccio. Ma tu vuoi vivere per la gloria facendo l’avvocato morto di fame per i poveri? Se non ci fossi stato io in queste cause, sarebbero finite allo stesso modo. Tanto vale adeguarsi”.
Martino si mise in piedi e guardò severamente il padre, questa volta senza abbassare lo sguardo: parve accendersi di indignazione: “E da te che dovrei prendere esempio quando sarò avvocato?”
Il padre, che non si aspettava tale reazione, non rispose. Martino rincarò la dose e alzò la voce.
“Ma neanche nel medioevo la giustizia era corrotta in questo modo. Ti ricordi il caso Bianchini contro la clinica Santa Chiara… Quei disperati a cui hai fatto perdere tre gradi di giudizio e spolpati economicamente erano i genitori di una carissima amica di Marcella. Questa causa ti era stata affidata da loro perché pensavano fossero in buone mani data l’amicizia tra noi. Invece te ne sei fottuto e li hai fatti sprofondare nella disperazione. É per colpa tua che Marcella mi ha lasciato. Perché mi ritiene il figlio di un corrotto”.
“Fammi capire. Non mi dirai che…”
“Sì! Papà! Ma sappi che ti ho denunciato solo per le tue malefatte professionali. Il fatto che mi hai fatto perdere la cosa più importante non centra; è un’altra cosa. Io comunque l’amavo, era l’unica con cui ero riuscito a stare sereno! Lo capisci adesso il danno che mi hai fatto?”
L’uomo rimase di sasso. Non cercò di trattenere il figlio che lasciò la stanza per uscire di casa, proferendo l’ultima frase “ Sono certo che la farete tutti franca”.
Passarono due giorni di pace relativa. Poi Martino venne chiamato dal suo professore e invitato a presentarsi in ateneo per cose che lo riguardavano. Uscì di casa preoccupato. Arrivato sul posto trovò Marcella che l’aspettava in un angolo appartato.
“Ciao Martino. Stai tranquillo. Qui non sanno cosa è successo. Per caso ho scoperto che avevi usato la fotocopiatrice per fare quel file.. e vista la sostanza, ho pensato di farlo sparire. Non ho potuto però nascondere la cronologia con la quale sono arrivati a te. Mi spiace che me la sono presa per quello che ha fatto tuo padre ai Bianchini. Mi hai dimostrato che sei onesto e coraggioso e volevo chiederti scusa e se poi te la senti di riuscire con me”.
Martino si sentì rinascere e rispose con un sorriso eloquente.
“Il prof vuole notizie sulla tua tesi; a che punto sei?” chiese lei.
“Sono stato due mesi a scrivere su come la legge fu strumento dei potenti nell’epoca medioevale e dove una donna combatté per portare avanti il principio che la legge è uguale per tutti. Volevo mettere in evidenza che oggi, a distanza di secoli, anche se esiste il principio di eguaglianza, la giustizia non è un più diritto, ma un risultato per pochi. Butterò via tutto e preparerò altro. Non mi sembra il caso continuare su questa strada”.
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A.D. 1403.
Erano passati venti anni da quando il re aveva concesso alla vittoriosa Eleonora di governare l’isola in pace e giustizia secondo gli usi e costumi stabiliti dalla carta de logu. Poi venne la peste di cui si ammalò pure la sovrana. Oramai morente, lasciò in eredità le sue ultime parole al fedele Salvatore Orrù.
“Non mi dispera il fatto che a breve gli aragonesi verranno nuovamente a prendersi l’isola, ora che nessuno potrà fermarli, e ristabiliranno la legge del più forte. Sono certa che un giorno questa nostra fantastica esperienza sarà ripetuta da persone che combatteranno per tali principi. Non importa se passeranno dieci, cento, mille anni”.
Quando la sovrana si spense, il suo corpo fu messo sulla catasta della legna a bruciare assieme a tanti altri. L’ordine di non darle una sepoltura degna arrivò dal re, che pensò di far sparire qualsiasi traccia di lei e di quello che aveva rappresentato.