Tutte le volte che ti ho raccolto parte 3
Posted: Tue Aug 01, 2023 6:52 pm
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Fu un bel periodo: Nino riprese il suo vecchio lavoro, Antonio era felice, la domenica andavano insieme a giocare a pallone e anche Gianna era felice, Nino la portava fuori a ballare, era gentile, perfino premuroso. Quando Anna le chiedeva se fosse quella la felicità lei rispondeva che, se non lo era, ci assomigliava molto. Da quando Nino era tornato di nascosto pregava e se lui irrompeva nella stanza e le chiedeva cosa stesse facendo rispondeva che stava pensando di potere andare a vivere lontano dal quartiere. I sogni, si sa, quasi mai si avverano: Nino perse il lavoro, i soldi sono lo sterco del diavolo e anche un’amicizia salda si scolla, ma per non far preoccupare la famiglia non disse niente, riprese alcuni contati che sembravano aspettarlo e ricominciò le solite attività.
Gianna era donna di esperienza, annusò subito che qualcosa non andava perché ad ogni domanda Nino scappava come se avesse preso la scossa. I problemi erano molti e spesso li doveva fronteggiare da sola, lui risolveva tutto dicendo che ci avrebbe pensato lui, ma poi questo non accadeva quasi mai. Credere alle sue parole avrebbe significato coprirsi gli occhi con più bende e questo lei, iperrealista non lo accettava. Un mercoledì passò senza dire niente a nessuno dall’amico meccanico, che gli raccontò la verità.
- E’ bravo, non posso dire il contrario, ma ultimamente veniva sempre in ritardo e se gli dicevo qualcosa non mi rispondeva, si gettava sotto una macchina, una volta si è perfino addormentato.
Gianna lo guardò dritto negli occhi.
- Avresti dovuto chiamarmi, così si comporta un amico.
- Non me la sono sentita di telefonarti perché sapevo che avresti fatto di tutto per farlo restare, ma devi capirlo, lavorare non è cosa per lui. (Gianna lo guardò fissa negli occhi l’uomo imbarazzato provò a dire- se posso fare qualcosa- Gianna si allontanò dicendo- non ti preoccupare hai già fatto abbastanza-
Nel ritorno si sedette su una panchina, alzò lo sguardo verso il cielo: tutto pareva al suo posto, quella immobilità le fece dire parole di fuoco e poi scoppiò a piangere. Arrivata a casa indossò la maschera da donna forte, mise fuori la valigia di Nino, guardò Antonio che faceva i compiti e gli venne ancora una voglia infinita di piangere( ma si limitò a dire che era colpa delle cipolle). Nino non fece scenate, sapeva quello che aveva fatto, aveva tradito l’unica persona che lo amava veramente e che anche lui amava. Raccontò solo una pietosa bugia ad Antonio dicendo che andava all’estero per lavoro. Gianna lo guardava sdegnata, ma stette zitta.
Da quel momento Gianna imparò a nuotare da sola in un mare con onde alte, forse in un’altra occasione avrebbe ceduto, ma Antonio era troppo importante era il suo scoglio a cui si aggrappava per non affogare. Nino telefonava tutti i giorni, mandava tramite un amico dei soldi che lei puntualmente non accettava , voleva parlare sempre con Antonio: inizialmente fu dura, poi visto che Antonio soffriva non se la sentì di negarglielo era pur sempre anche suo figlio. Nino raccontava che presto sarebbe tornato, prometteva e anche giurava su cose che puntualmente non poteva mantenere. I due avevano un legame stretto, un filo invisibile che li univa, Gianna lasciava parlare Nino solo per quella luce che emanava Antonio quando lo sentiva. Di suo voleva riconquistare la famiglia, prese a scrivere una o due lettere al giorno e si firmava “anima che spera”. Gianna le leggeva e poi le riponeva in un cassetto e ogni tanto di nascosto le rileggeva. .
Passò quasi un anno e in un giorno di freddo inverno come era scomparso ricomparve. Suonò alla porta e quando Gianna aprì -disse- ti voglio sposare- e senza aspettare una risposta , tirò fuori un anello e glielo mise in mano. Lei sentiva il cuore battere con la stessa forza di un temporale, quell’uomo lei lo amava da sempre, ma rimase ferma, seppur dentro tremante, e si limitò a dire solo “No ,grazie.”Nino non si scompose mise via l’anello e proprio quando stava per girare la schiena comparve Antonio che gli saltò subito al collo e come i magneti di una calamita si unirono e tennero stretti come le dita di una stessa mano . Antonio prese Gianna e la chiuse con Nino in un abbraccio sembravano da fuori tre anime che battevano in un sol cuore. Durò come le fiabe il tempo di tre notti e di una mattina: i Carabinieri suonarono alla porta, Nino li vide, non disse nulla, uscì dalla finestra e passò da balcone in balcone. Il palazzo alle quattro di mattina sembrava la bocca aperta di un vecchio addormentato; qualcuno si avvide dei lampeggianti, tutti sembravano temere quelle luci blu e come scarafaggi al loro manifestarsi correvano a nascondere il peso dei loro peccati.
Gianna non aprì la porta, se loro urlavano lei tergiversava e intanto Nino saliva, saltava, ma un piede in fallo lo fece precipitare e così si mise a volare e in quel volo forse percepì che la fine era arrivata, così allargò le braccia come se quei rami di carne fossero divenuti ali. Prima di schiantarsi al suolo urlò il nome del suo amore, poi si schiacciò a terra come una formica precipitata sotto una scarpa. Il filo del giorno si stava stendendo, Gianna corse alla finestra e vide qualcosa che assomigliava a Nino e un piccolo corso d’acqua rossa che sempre più si allargava. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e le finestre che parevano serrate si aprirono, la gente si raccolse intorno a lei: gli uomini stringevano gli occhi e i pugni, sapevano d’istinto di non possedere pur cercandole le parole giuste, qualche donna si fece il segno della croce, altre urlavano contro la Polizia. Antonio fu preso da una vicina e poi da Anna, che avvertita era arrivata scarmigliata facendosi largo tra la folla.
Per due anni Gianna entrando nel cortile doveva distogliere lo sguardo da quel cemento che, per quanto lavato, le ricordava la terribile immagine del sangue di Nino che rosso correva come un piccolo rivolo d’acqua uscito dagli argini. Molti le stettero vicino, ma si sa il dolore non si può dividerlo, è qualcosa di assolutamente personale, appartiene al possessore come i tendini che si attaccano alle ossa , e anche se ti dicono che il tempo lenisce per Gianna il male di quel dolore rimaneva. Dopo i primi tempi di solidarietà e comprensione la gente riprendeva la loro vita , Gianna lo capiva avevano le loro croci da portare sulla schiena e dopo qualche mese i giorni divennero uguali per tutti meno che per Gianna e Antonio.
Gianna apre la porta, si appoggia alla ringhiera e chiama Antonio, che alza la testa e fa cenno di aver capito. Guarda Carletto al centro di quel piccolo gruppo, chissà quale furfanteria racconterà, come al solito la condirà ingigantendola per renderla più saporita perché ormai gli ascoltatori lo conoscono. Tutti stanno in silenzio, Antonio lo scruta beffardo, ha avuto in eredità da Nino la diffidenza, gli altri aspettano, nessuno vuole ridere per primo, ma quando Antonio lo fa tutti scoppiano in una risata. Carletto rimane folgorato come se si trovasse nudo davanti a tutti, subito corre ai ripari mettendo una faccia seria come se fosse stupito di tanta mancanza di rispetto, ma visto che la maschera non faceva nessuna presa anche lui viene contagiato da quell’onda inarrestabile di risate. Anche Gianna sorride, alla fine è solo un bambino, uno dei tanti dimenticati in un quartiere che sempre più spesso parla di odio e di rancore, un bambino come molti delle case popolari che troppo presto ha finito i sogni, ma vuole anche lui perdersi per un istante nel vortice di un placebo che lo sollevi dal mare alcolico dove la sua famiglia annega.
Fu un bel periodo: Nino riprese il suo vecchio lavoro, Antonio era felice, la domenica andavano insieme a giocare a pallone e anche Gianna era felice, Nino la portava fuori a ballare, era gentile, perfino premuroso. Quando Anna le chiedeva se fosse quella la felicità lei rispondeva che, se non lo era, ci assomigliava molto. Da quando Nino era tornato di nascosto pregava e se lui irrompeva nella stanza e le chiedeva cosa stesse facendo rispondeva che stava pensando di potere andare a vivere lontano dal quartiere. I sogni, si sa, quasi mai si avverano: Nino perse il lavoro, i soldi sono lo sterco del diavolo e anche un’amicizia salda si scolla, ma per non far preoccupare la famiglia non disse niente, riprese alcuni contati che sembravano aspettarlo e ricominciò le solite attività.
Gianna era donna di esperienza, annusò subito che qualcosa non andava perché ad ogni domanda Nino scappava come se avesse preso la scossa. I problemi erano molti e spesso li doveva fronteggiare da sola, lui risolveva tutto dicendo che ci avrebbe pensato lui, ma poi questo non accadeva quasi mai. Credere alle sue parole avrebbe significato coprirsi gli occhi con più bende e questo lei, iperrealista non lo accettava. Un mercoledì passò senza dire niente a nessuno dall’amico meccanico, che gli raccontò la verità.
- E’ bravo, non posso dire il contrario, ma ultimamente veniva sempre in ritardo e se gli dicevo qualcosa non mi rispondeva, si gettava sotto una macchina, una volta si è perfino addormentato.
Gianna lo guardò dritto negli occhi.
- Avresti dovuto chiamarmi, così si comporta un amico.
- Non me la sono sentita di telefonarti perché sapevo che avresti fatto di tutto per farlo restare, ma devi capirlo, lavorare non è cosa per lui. (Gianna lo guardò fissa negli occhi l’uomo imbarazzato provò a dire- se posso fare qualcosa- Gianna si allontanò dicendo- non ti preoccupare hai già fatto abbastanza-
Nel ritorno si sedette su una panchina, alzò lo sguardo verso il cielo: tutto pareva al suo posto, quella immobilità le fece dire parole di fuoco e poi scoppiò a piangere. Arrivata a casa indossò la maschera da donna forte, mise fuori la valigia di Nino, guardò Antonio che faceva i compiti e gli venne ancora una voglia infinita di piangere( ma si limitò a dire che era colpa delle cipolle). Nino non fece scenate, sapeva quello che aveva fatto, aveva tradito l’unica persona che lo amava veramente e che anche lui amava. Raccontò solo una pietosa bugia ad Antonio dicendo che andava all’estero per lavoro. Gianna lo guardava sdegnata, ma stette zitta.
Da quel momento Gianna imparò a nuotare da sola in un mare con onde alte, forse in un’altra occasione avrebbe ceduto, ma Antonio era troppo importante era il suo scoglio a cui si aggrappava per non affogare. Nino telefonava tutti i giorni, mandava tramite un amico dei soldi che lei puntualmente non accettava , voleva parlare sempre con Antonio: inizialmente fu dura, poi visto che Antonio soffriva non se la sentì di negarglielo era pur sempre anche suo figlio. Nino raccontava che presto sarebbe tornato, prometteva e anche giurava su cose che puntualmente non poteva mantenere. I due avevano un legame stretto, un filo invisibile che li univa, Gianna lasciava parlare Nino solo per quella luce che emanava Antonio quando lo sentiva. Di suo voleva riconquistare la famiglia, prese a scrivere una o due lettere al giorno e si firmava “anima che spera”. Gianna le leggeva e poi le riponeva in un cassetto e ogni tanto di nascosto le rileggeva. .
Passò quasi un anno e in un giorno di freddo inverno come era scomparso ricomparve. Suonò alla porta e quando Gianna aprì -disse- ti voglio sposare- e senza aspettare una risposta , tirò fuori un anello e glielo mise in mano. Lei sentiva il cuore battere con la stessa forza di un temporale, quell’uomo lei lo amava da sempre, ma rimase ferma, seppur dentro tremante, e si limitò a dire solo “No ,grazie.”Nino non si scompose mise via l’anello e proprio quando stava per girare la schiena comparve Antonio che gli saltò subito al collo e come i magneti di una calamita si unirono e tennero stretti come le dita di una stessa mano . Antonio prese Gianna e la chiuse con Nino in un abbraccio sembravano da fuori tre anime che battevano in un sol cuore. Durò come le fiabe il tempo di tre notti e di una mattina: i Carabinieri suonarono alla porta, Nino li vide, non disse nulla, uscì dalla finestra e passò da balcone in balcone. Il palazzo alle quattro di mattina sembrava la bocca aperta di un vecchio addormentato; qualcuno si avvide dei lampeggianti, tutti sembravano temere quelle luci blu e come scarafaggi al loro manifestarsi correvano a nascondere il peso dei loro peccati.
Gianna non aprì la porta, se loro urlavano lei tergiversava e intanto Nino saliva, saltava, ma un piede in fallo lo fece precipitare e così si mise a volare e in quel volo forse percepì che la fine era arrivata, così allargò le braccia come se quei rami di carne fossero divenuti ali. Prima di schiantarsi al suolo urlò il nome del suo amore, poi si schiacciò a terra come una formica precipitata sotto una scarpa. Il filo del giorno si stava stendendo, Gianna corse alla finestra e vide qualcosa che assomigliava a Nino e un piccolo corso d’acqua rossa che sempre più si allargava. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e le finestre che parevano serrate si aprirono, la gente si raccolse intorno a lei: gli uomini stringevano gli occhi e i pugni, sapevano d’istinto di non possedere pur cercandole le parole giuste, qualche donna si fece il segno della croce, altre urlavano contro la Polizia. Antonio fu preso da una vicina e poi da Anna, che avvertita era arrivata scarmigliata facendosi largo tra la folla.
Per due anni Gianna entrando nel cortile doveva distogliere lo sguardo da quel cemento che, per quanto lavato, le ricordava la terribile immagine del sangue di Nino che rosso correva come un piccolo rivolo d’acqua uscito dagli argini. Molti le stettero vicino, ma si sa il dolore non si può dividerlo, è qualcosa di assolutamente personale, appartiene al possessore come i tendini che si attaccano alle ossa , e anche se ti dicono che il tempo lenisce per Gianna il male di quel dolore rimaneva. Dopo i primi tempi di solidarietà e comprensione la gente riprendeva la loro vita , Gianna lo capiva avevano le loro croci da portare sulla schiena e dopo qualche mese i giorni divennero uguali per tutti meno che per Gianna e Antonio.
Gianna apre la porta, si appoggia alla ringhiera e chiama Antonio, che alza la testa e fa cenno di aver capito. Guarda Carletto al centro di quel piccolo gruppo, chissà quale furfanteria racconterà, come al solito la condirà ingigantendola per renderla più saporita perché ormai gli ascoltatori lo conoscono. Tutti stanno in silenzio, Antonio lo scruta beffardo, ha avuto in eredità da Nino la diffidenza, gli altri aspettano, nessuno vuole ridere per primo, ma quando Antonio lo fa tutti scoppiano in una risata. Carletto rimane folgorato come se si trovasse nudo davanti a tutti, subito corre ai ripari mettendo una faccia seria come se fosse stupito di tanta mancanza di rispetto, ma visto che la maschera non faceva nessuna presa anche lui viene contagiato da quell’onda inarrestabile di risate. Anche Gianna sorride, alla fine è solo un bambino, uno dei tanti dimenticati in un quartiere che sempre più spesso parla di odio e di rancore, un bambino come molti delle case popolari che troppo presto ha finito i sogni, ma vuole anche lui perdersi per un istante nel vortice di un placebo che lo sollevi dal mare alcolico dove la sua famiglia annega.