Lili (6di13)

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“E vado via, vado via, mi vida così sia.”

Rotolando verso sud, Negrita.
Graziano e Lili ancora insieme, dunque, in un vago stato di riconciliazione implicita, non detta, dalle prospettive sospese, come sospeso appare il territorio che attraversano, sotto un sole a malapena in grado di mostrare il volto pallido e, soltanto nelle ore centrali, di accarezzare con un soffio di calore gli argini dei fiumi, le fronde più alte dei boschetti, i tetti in parte crollati delle vecchie case coloniche abbandonate. Un territorio sospeso tra un’estate che è ormai soltanto un ricordo, un inverno che ancora non si rivela e un autunno indeciso che sembra voler imitare ora l’uno ora l’altro. Questa è la dimensione più rurale della provincia ravennate e Graziano, che ci è nato e cresciuto, fatica persino a concepire l’idea di vivere in spazi più ristretti e affollati.
Il silenzio rilassato di Liliana gli rende impossibile riconoscere in lei la donna che ha sempre eluso nell’esuberanza i momenti di intimità fra loro. I minuti successivi al sesso, ad esempio, durante i quali in genere si recupera il non-detto della vita quotidiana, e invece con Lili diventavano uno show di cazzate e pettegolezzi sarcastici sulle vite altrui. Oppure il momento in cui ci si siede a tavola la sera, quando in genere diventa naturale fare conversazione del più o del meno, e invece l’attenzione che Lili riservava al televisore sulla penisola della cucina e i commenti relativi, diventavano spesso quasi imbarazzanti per la determinazione con cui ignorava la realtà tra loro. La sua selvatica timidezza non gli ha mai facilitato le cose, a Graziano, nei momenti in cui voleva capire cosa le passava per la testa, eppure - raccogliendo gli indizi, le parole tra le righe e quel poco che negli ultimi anni è stata disposta a rivelare - crede di conoscere almeno in parte il suo modo di pensare (18). Non sa se per spirito di contraddizione nei suoi confronti, o per una avversione tutta sua verso chi è in grado di condividere facilmente il proprio pensiero come a lei non riesce, fatto sta che Lili nutre una profonda diffidenza verso le parole. Si è convinta che certi concetti e pensieri di carattere particolarmente intimo vadano taciuti al fine di conservarne integra l’autenticità, ma Graziano crede che sia solo il tentativo un po’ ingenuo di prolungarne l’esistenza. Lei sa, o meglio intuisce che nel momento in cui le parole portano alla luce le idee che rappresentano, contemporaneamente le iscrivono nel tempo e nello spazio, esponendole all’usura e alla morte, ovvero il processo biologico e spirituale che chiamiamo vivere. Cercare di impedirlo equivale all’amore disperato di quelle madri che chiudono i figli in una bolla di vetro, per preservarli dall’invisibile azione batterica della vita e del loro stesso potenziale emotivo, e quindi privandoli dell’esistenza a cui vorrebbero votarli per l’eternità. Non è difficile intuire che quella di Liliana è banale paura della morte e lui, che la morte l’ha interiorizzata come parte inscindibile della vita, pensa sia anche uno dei principali motivi dell’insofferenza emotiva che spesso la rendono insicura e aggressiva.
Se hai paura della morte, hai paura della vita (19), e con la paura si vive male, pensa Graziano per esperienza, per quello che vale la sua esperienza. Sfruttando ogni occasione per osservare Lili senza che lei se ne accorga, la trova esausta di quella stanchezza che anche lui ha provato nel momento in cui ha cessato di spingersi avanti, di farsi un dovere degli ideali, lasciandosi andare alla corrente degli eventi con una rassegnazione che ha infine resettato la sua percezione della realtà che lo circonda. E adesso sarà pure un’altra illusione, ma non crede di aver mai sentito Liliana così vicina e lontana allo stesso tempo. Vicina per come ha l’impressione di avvertire il fruscìo dei suoi pensieri, e allo stesso tempo lontana per com’è proiettata in avanti, viaggiatrice dello spirito come lo sono tutti per un certo periodo più o meno lungo della propria vita, alla ricerca di indizi in quell’idea del futuro allevata a sogni e speranza che possano indicare la strada nel presente.
Il van prosegue sugli asfalti lucenti del tardo autunno momentaneamente sgravato dal mantello di umidità che fino a una settimana prima ha avvolto quella terra e che ora s’annida nei suoi polmoni, sotto la superfice del suolo, in attesa di essere rilasciato al primo sospiro dell’inverno. Il paesaggio intorno è ancora campagna, ma quel sabato mattina libero dalla nebbia dà l’impressione di essere tornati sul pianeta Terra dopo una lunga traversata di lande aliene e misteriose. Le loro solitudini, le stesse che prima Liliana si industriava tanto a negare, ora sembrano del tutto identiche a quelle delle persone incrociate nei paesini lungo la strada, che attraversano distratte le strisce pedonali, che entrano ed escono dai bar, o inginocchiate negli orti dietro casa. Persone che alzano gli occhi e li guardano passare, anche se non provano per loro il minimo interesse (20).
«Cazzo c’avranno da guardare» osserva lei, e per un momento Graziano ha il timore che rivolga loro un qualche gesto poco elegante. Ma questa Liliana sembra aver disarmato la propria aggressività e viaggiare leggera, distaccata e lontana nei propri pensieri, al contrario di Schopen, il quale abbaia come un ossesso dal finestrino a cani più grossi di lui che, lo avessero a portata di fauci, ne farebbero di sicuro un boccone.
«Sei silenziosa» dice, col tono riguardoso tipico dei primi tempi di ogni relazione, ora necessario perché questa Liliana che gli siede accanto nel camper non sembra la stessa donna con la quale ha convissuto. Lei si volta per un attimo, e poi alza le spalle e riporta lo sguardo nella diafana luce di quel giorno. È quasi mezzogiorno, quando si fermano nel parcheggio di un ristorante nei pressi di Uccellino, la loro meta, a circa otto chilometri da Ferrara. Graziano ha appetito, ma quel silenzio tra loro si è caricato di domande che non vorrebbe portarsi al tavolo.
«Mi sento strana» risponde finalmente Liliana, senza guardarlo. «Come se stessi cambiando pelle e non fossi sicura di quello che sarà il mio aspetto a cose fatte.»
«Credi sia per…Cioè, che dipenda dalla nostra separazione?»
«Ovvio che sì, ma non chiedermi il motivo.»
«No, come vuoi.»
Quello che vorrebbe chiederle, in realtà, è cosa vuole da lui.      
«Te l’ho detto, mi sento strana, e non ho voglia di pensarci.»
Scendono dal camper con i berretti abbassati sulle orecchie, le sciarpe intorno al collo, le mani nelle tasche dei giubbotti, le gambe fredde nei jeans chiari che si ostinano a portare anche d’inverno, unica eccezione nel look della loro generazione che ama vestire di scuro, refrattaria ai colori. Schopen li guarda allontanarsi da dietro il parabrezza con i goccioloni agli occhi, rassegnato a soffrire in silenzio. Gli hanno promesso qualcosa di buono da mangiare, al ritorno, e forse ha capito.
(continua)
     
(18) Va da sé che sostenere di conoscere un’altra persona, significa in realtà avere la presunzione di conoscerla, particolare di cui Graziano è certamente consapevole.

(19) Nel senso che un modo di vedere la cosa potrebbe essere considerare la morte parte integrante di quella concezione della vita che ci è dato di avere, anche se usare il termine parte è probabilmente sbagliato in quanto la fine del corpo - e di conseguenza della mente, in altre parole la non-esistenza -, imprime alla nostra vita un carattere transitorio e consapevolmente incerto che non è soltanto parte, ma diventa intrinseco al concetto dell’esistenza stessa. Incertezza e transitorietà che la nostra cultura fa di tutto per farci ignorare ma che inevitabilmente sussistono, lo sappiamo (19a). Rimandare fino all’ultimo una reale consapevolezza della morte per enfatizzare un concetto spiritualmente e materialmente edonistico della vita, significa vivere all’insegna di un benessere fisico ed emotivo che è inevitabilmente aleatorio, e di conseguenza condannarsi a una vecchiaia tragicamente infelice perché priva di entrambi. Ma, ripeto, è soltanto un modo di vedere la cosa.

       (19a) D’altra parte, la paura della morte si esorcizza soltanto negandola, come ha sempre fatto la religione ipotizzando una vita  extracorporea, strumentalizzandola per enfatizzare il concetto di vita (spesso facendone sinonimo di consumismo) come ha sempre fatto gran parte della società occidentale, o umilmente accettandola fra le proprie consapevolezze più profonde, quelle che dirimono il senso delle nostre azioni (e in questo senso mi piace pensare che dette consapevolezze possano potenzialmente immunizzarci dall’avidità e dall’ambizione).

(20) E che tuttavia riescono a essere incredibilmente irritanti, nell’ottusità dello sguardo e nel modo in cui le labbra si dischiudono leggermente come se volessero spendere qualche parola intesa ad esprimere il fastidio latente provocato dal passaggio di uno o più estranei nel loro campo visivo e attraverso quella terra su cui vantano probabilmente un senso inconscio di possesso dovuto alla loro costante presenza lì nel corso degli anni. Provare per credere.
           
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