Lili (4di?)
Posted: Sat Mar 25, 2023 8:16 pm
commento
“Questa donna, questa strana donna…” William Hurt alias Macon Leary in The Accidental Tourist
Dopo aver pianificato un serio programma di pulizia e smaltimento, nei giorni successivi Graziano lo mette in pratica con un impegno tale da ritrovarsi il sabato mattina seguente in quel medesimo punto della vecchia casa a valutare con soddisfazione il proprio lavoro. Malgrado nulla in sostanza sia cambiato – le pareti si mostrano ancora nella loro nudità di mattoni scarnificati laddove l’intonaco è crollato, e le travi del tetto danno ancora l’impressione di vecchie ossa contorte dagli anni -, aver sollevato lo spazio dal peso delle suppellettili che lo ingombravano e averlo ripulito dalle ragnatele che si incordavano tra i travicelli, gli ha conferito un respiro nuovo. Anche il pavimento di vecchi mattoni, lavato con l’idropulitrice dagli escrementi dei piccioni, mostra ora l’estetica grezza ed essenziale di una sopravvivenza dignitosa appartenuta a un tempo privo delle sufficienti risorse per il superfluo, lontana anni luce dai moderni rivestimenti di tendenza in gres finto legno (9). E ora, al centro di quel pavimento - di quella tavolozza di sfumature rosate che vanno dal giallo, al rosso e perfino all’indaco in certi punti e sotto una certa luce – lo coglie alla sprovvista la sensuale immagine di Liliana, seduta con il violoncello tra le gambe e l’espressione concentrata e violenta dei momenti di maggior fervore artistico, e subito dopo il dubbio, sempre ricorrente nella vita, di non aver fatto abbastanza, quando si riflette su un certo corso di eventi che forse, con un piccolo sforzo in più, avrebbe potuto prendere un’altra direzione. Ma le cose sono andate come dovevano, pensa gonfiandosi i polmoni di quel silenzio, come per radunare le fantasie e chiuderle in un cassetto della mente, e quando poi espira, lo fa in quel modo definitivo che mette fine alle questioni.
«Nuestra vida così sia» sussurra citando i Negrita, e le parole si accompagnano a quella rassegnazione che esplicita la realtà della perdita, dolce e triste allo stesso tempo. Triste per ovvie ragioni, e dolce perché se qualcosa si è perso significa che qualcosa si è anche avuto.
Sono passate da poco le otto e un quarto quando Graziano comincia a pianificare il ritorno in cantiere. Emerge dall’interno ombroso sotto un cielo limpido e soleggiato, in mezzo al cortile, e il suo sguardo compie un’evoluzione a 360°, valutando con attenzione ogni particolare del terreno intorno. Deve tagliare l’erba fino ai fossi a ovest e a est che delimitano la proprietà, e a nord fino al capannone e agli spogli alberi da frutto che proseguono sulla stessa linea di confine, oltre la quale si stende tutt’intorno il tappeto uniforme del terreno crespo e sgranato dall’aratura. Inoltre deve completare la manutenzione dei veicoli parcheggiati nel capannone, a lungo rimandata, e dare una pulita alla parte della casa in cui abita. E magari ultimare la lettura di qualcuno dei tanti libri cominciati (10), il tutto nell’arco di una settimana. Lunedì potrebbe quindi chiamare Grimaldi e avvisarlo del suo ritorno al lavoro per il lunedì successivo, senonché i ragazzi dell’Uccellino gli telefonano alle nove di quella mattina e due ore dopo ha già chiuso porte e finestre, inserito l’allarme e messo nello zaino l’occorrente per restare fuori casa un paio di giorni. La ghiaia scricchiola sotto la suola gommata degli scarponi mentre va verso il capannone, seguito a ruota dal carlino che pare un barilotto con le zampe. Apre il lucchetto e fa scorrere il pesante portone di ferro, alto tre metri. Nella penombra soffusa dell’interno, la luce del vano fa brillare un nugolo di insetti che oscillano oziosi, e delinea le sagome ombrose dei veicoli: Il Trafic che usa per lavoro, e il van Carado comprato in società con suo fratello, poi rilevato per intero dopo il litigio in merito all’eredità che ha guastato i rapporti in via definitiva. Sale nel camper, lo mette in moto e cazzeggia col telefono mentre il motore riscalda, poi esce col mezzo nel cortile e scende per richiudere il capannone. È sufficiente aprire la portiera sul lato del passeggero affinché Schopen, in mezzo all’erba, lo raggiunga a tempo di record, alzandosi sulle zampe posteriori e mettendo quelle davanti sul predellino. Graziano lo solleva e lo piazza sul sedile, sopra la coperta che usa dopo gli spiacevoli inconvenienti degli ultimi viaggi. Sale a sua volta e schiocca le dita per richiamare l’attenzione del cane.
«Guardami. Se ti azzardi a pisciare o a vomitare sul sedile ti inculo, ok?»
Schopen sgrana gli occhioni neri, lucidi, ammaina le orecchie e distoglie lo sguardo, fingendosi interessato al passaggio delle nuvole sul parabrezza. A volte Graziano ha il dubbio che capisca quello che dice, anche se al grossolano senso dell’umorismo del muratore ancora non ci arriva (11), ed è in quel momento che le orecchie del cane si levano nuovamente, come bandiere, all’arrivo della Yaris rossa. A parte la coda di Schopen che comincia a spazzare il sedile, la scena sembra congelata. Per quasi un minuto Graziano e Liliana restano immobili a guardarsi, a distanza, lui dalla cabina del van con le mani sul volante, lei in piedi accanto alla portiera dell’auto, al di là del cancello. L’uomo cerca sul viso della donna qualche indizio rivelatore, chiedendosi se abbia in animo di piantare una scenata per come ha gestito la loro separazione. Nulla. I lineamenti sono distesi, non sembrano premeditare alcuna rappresaglia. Graziano sente il sorriso affiorare alle labbra, anche se non muove un muscolo. I particolari della figura femminile sono quelli già noti, confortevoli come tutto ciò che si conosce. La postura mascolina, il corpo ben in carne, l’abbigliamento poco elegante, determinato a passare inosservato: jeans, un comune maglione blu sotto una sciarpa e un giubbotto imbottito del medesimo colore, scarponi da montagna. E poi il bel viso florido, le guance piene, le lentiggini sugli zigomi, i capelli di un biondo opaco e striato di sfumature più scure, spartanamente legati sulla nuca, i ciuffi ribelli che sempre sfuggono per darle noia e farsi sospingere dietro le orecchie. Liliana ha l’aspetto della ragazzona di campagna che non ha mai archiviato del tutto l’infanzia, un po’ zoticona nei modi e nel linguaggio, esuberante e spaccona come si è, a volte, soffrendo di quella timidezza cronica che si maschera di aggressività. A guardarla, il potente talento dell’artista ha del paradossale e Liliana è ancora ben lontana dall’averne la piena consapevolezza. Certe donne non te le sai spiegare, gli viene da dire, a prescindere dall’esserci andato a letto o meno. Senonché c’è andato, e magari è proprio quello ad aver complicato le cose. Lili sembra perplessa, e nemmeno lui sa bene come comportarsi. Non sa se e quanto un’eventuale iniziativa possa considerarsi opportuna e non foriera di conseguenze nefaste per entrambi, senonché rompe gli indugi, e schiaccia il pulsante del telecomando che apre il cancello, attaccato alle chiavi. Lei rimonta sull’auto, entra nel cortile e parcheggia accanto al pozzo, come ha sempre fatto. Prende la borsa, chiude la Yaris e si incammina verso il van. Sale e accoglie Schopen sulle cosce tornite che riempiono i jeans. Lo stringe a sé, stampandogli un bacio in mezzo agli occhi. Mentre il cane si scalmana in una rumba di scodinzoli e slinguazzi e ha un attacco di tosse per l’entusiasmo che quasi lo soffoca, Lili si volta a guardare Graziano con quel suo modo un po’ spavaldo e insofferente, come dire: e allora, che si fa?
«Stai attenta, potrebbe pisciarti addosso per l’emozione» l’avverte, riferendosi al carlino.
«Non si può dire lo stesso del suo padrone» replica lei, con una nota lieve, quasi impercettibile, di recriminazione.
Nessuno dei due aggiunge una parola. Si guardano in silenzio da dietro le lenti scure, per qualche secondo, poi lui si volta avanti, toglie il freno a mano e parte. Liliana guarda fuori dal finestrino e continua ad accarezzare il cane, che si è calmato ma respira ancora come la lama di una sega poco affilata.
(continua)
(9) Anche l’estetica di tendenza ha una sua logica. Nel caso specifico, cioè i pavimenti in gres che imitano la sensazione visiva del legno (laddove guardare concede all’idealizzazione tutto lo spazio di cui necessita) senza ovviamente poterne riprodurre la sensazione tattile (laddove sentire, al contrario, all’idealizzazione concede ben poco), risulta evidente come privilegiare l’aspetto esteriore delle cose e il piacere asettico dell’idealizzazione piuttosto che la loro essenza, sia qualcosa che attraversa tutti i campi della nostra società. Dall’estetica, alla politica, all’economia.
(10) Per quel che mi riguarda, leggere non è mai stato un piacere immediato ma qualcosa che, come credo tutte le cose più significative, richiede sacrificio – di tempo, innanzitutto, che magari mi piacerebbe impiegare diversamente o anche sprecare in cose più futili – e uno sforzo. Se dovessi rispondere alla domanda Qual è il momento più bello della lettura di un libro? direi senza ombra di dubbio quello di comprarlo, il più facile e carico di aspettative. Analogo, in questo aspetto, ad altri momenti più o meno complicati della nostra vita.
(11) Intendo quel sense of humor molto rozzo e virile tipico di certe categorie professionali, tutto basato su allusioni improntate a una certa omofobia latente, che fa della penetrazione anale (virtuale, in genere) motivo di scherno, di ironia e/o sarcasmo, volti a suscitare quella reazione fintamente risentita e divertita che un cane non può ovviamente esprimere, ma un collega di lavoro sì.
“Questa donna, questa strana donna…” William Hurt alias Macon Leary in The Accidental Tourist
Dopo aver pianificato un serio programma di pulizia e smaltimento, nei giorni successivi Graziano lo mette in pratica con un impegno tale da ritrovarsi il sabato mattina seguente in quel medesimo punto della vecchia casa a valutare con soddisfazione il proprio lavoro. Malgrado nulla in sostanza sia cambiato – le pareti si mostrano ancora nella loro nudità di mattoni scarnificati laddove l’intonaco è crollato, e le travi del tetto danno ancora l’impressione di vecchie ossa contorte dagli anni -, aver sollevato lo spazio dal peso delle suppellettili che lo ingombravano e averlo ripulito dalle ragnatele che si incordavano tra i travicelli, gli ha conferito un respiro nuovo. Anche il pavimento di vecchi mattoni, lavato con l’idropulitrice dagli escrementi dei piccioni, mostra ora l’estetica grezza ed essenziale di una sopravvivenza dignitosa appartenuta a un tempo privo delle sufficienti risorse per il superfluo, lontana anni luce dai moderni rivestimenti di tendenza in gres finto legno (9). E ora, al centro di quel pavimento - di quella tavolozza di sfumature rosate che vanno dal giallo, al rosso e perfino all’indaco in certi punti e sotto una certa luce – lo coglie alla sprovvista la sensuale immagine di Liliana, seduta con il violoncello tra le gambe e l’espressione concentrata e violenta dei momenti di maggior fervore artistico, e subito dopo il dubbio, sempre ricorrente nella vita, di non aver fatto abbastanza, quando si riflette su un certo corso di eventi che forse, con un piccolo sforzo in più, avrebbe potuto prendere un’altra direzione. Ma le cose sono andate come dovevano, pensa gonfiandosi i polmoni di quel silenzio, come per radunare le fantasie e chiuderle in un cassetto della mente, e quando poi espira, lo fa in quel modo definitivo che mette fine alle questioni.
«Nuestra vida così sia» sussurra citando i Negrita, e le parole si accompagnano a quella rassegnazione che esplicita la realtà della perdita, dolce e triste allo stesso tempo. Triste per ovvie ragioni, e dolce perché se qualcosa si è perso significa che qualcosa si è anche avuto.
Sono passate da poco le otto e un quarto quando Graziano comincia a pianificare il ritorno in cantiere. Emerge dall’interno ombroso sotto un cielo limpido e soleggiato, in mezzo al cortile, e il suo sguardo compie un’evoluzione a 360°, valutando con attenzione ogni particolare del terreno intorno. Deve tagliare l’erba fino ai fossi a ovest e a est che delimitano la proprietà, e a nord fino al capannone e agli spogli alberi da frutto che proseguono sulla stessa linea di confine, oltre la quale si stende tutt’intorno il tappeto uniforme del terreno crespo e sgranato dall’aratura. Inoltre deve completare la manutenzione dei veicoli parcheggiati nel capannone, a lungo rimandata, e dare una pulita alla parte della casa in cui abita. E magari ultimare la lettura di qualcuno dei tanti libri cominciati (10), il tutto nell’arco di una settimana. Lunedì potrebbe quindi chiamare Grimaldi e avvisarlo del suo ritorno al lavoro per il lunedì successivo, senonché i ragazzi dell’Uccellino gli telefonano alle nove di quella mattina e due ore dopo ha già chiuso porte e finestre, inserito l’allarme e messo nello zaino l’occorrente per restare fuori casa un paio di giorni. La ghiaia scricchiola sotto la suola gommata degli scarponi mentre va verso il capannone, seguito a ruota dal carlino che pare un barilotto con le zampe. Apre il lucchetto e fa scorrere il pesante portone di ferro, alto tre metri. Nella penombra soffusa dell’interno, la luce del vano fa brillare un nugolo di insetti che oscillano oziosi, e delinea le sagome ombrose dei veicoli: Il Trafic che usa per lavoro, e il van Carado comprato in società con suo fratello, poi rilevato per intero dopo il litigio in merito all’eredità che ha guastato i rapporti in via definitiva. Sale nel camper, lo mette in moto e cazzeggia col telefono mentre il motore riscalda, poi esce col mezzo nel cortile e scende per richiudere il capannone. È sufficiente aprire la portiera sul lato del passeggero affinché Schopen, in mezzo all’erba, lo raggiunga a tempo di record, alzandosi sulle zampe posteriori e mettendo quelle davanti sul predellino. Graziano lo solleva e lo piazza sul sedile, sopra la coperta che usa dopo gli spiacevoli inconvenienti degli ultimi viaggi. Sale a sua volta e schiocca le dita per richiamare l’attenzione del cane.
«Guardami. Se ti azzardi a pisciare o a vomitare sul sedile ti inculo, ok?»
Schopen sgrana gli occhioni neri, lucidi, ammaina le orecchie e distoglie lo sguardo, fingendosi interessato al passaggio delle nuvole sul parabrezza. A volte Graziano ha il dubbio che capisca quello che dice, anche se al grossolano senso dell’umorismo del muratore ancora non ci arriva (11), ed è in quel momento che le orecchie del cane si levano nuovamente, come bandiere, all’arrivo della Yaris rossa. A parte la coda di Schopen che comincia a spazzare il sedile, la scena sembra congelata. Per quasi un minuto Graziano e Liliana restano immobili a guardarsi, a distanza, lui dalla cabina del van con le mani sul volante, lei in piedi accanto alla portiera dell’auto, al di là del cancello. L’uomo cerca sul viso della donna qualche indizio rivelatore, chiedendosi se abbia in animo di piantare una scenata per come ha gestito la loro separazione. Nulla. I lineamenti sono distesi, non sembrano premeditare alcuna rappresaglia. Graziano sente il sorriso affiorare alle labbra, anche se non muove un muscolo. I particolari della figura femminile sono quelli già noti, confortevoli come tutto ciò che si conosce. La postura mascolina, il corpo ben in carne, l’abbigliamento poco elegante, determinato a passare inosservato: jeans, un comune maglione blu sotto una sciarpa e un giubbotto imbottito del medesimo colore, scarponi da montagna. E poi il bel viso florido, le guance piene, le lentiggini sugli zigomi, i capelli di un biondo opaco e striato di sfumature più scure, spartanamente legati sulla nuca, i ciuffi ribelli che sempre sfuggono per darle noia e farsi sospingere dietro le orecchie. Liliana ha l’aspetto della ragazzona di campagna che non ha mai archiviato del tutto l’infanzia, un po’ zoticona nei modi e nel linguaggio, esuberante e spaccona come si è, a volte, soffrendo di quella timidezza cronica che si maschera di aggressività. A guardarla, il potente talento dell’artista ha del paradossale e Liliana è ancora ben lontana dall’averne la piena consapevolezza. Certe donne non te le sai spiegare, gli viene da dire, a prescindere dall’esserci andato a letto o meno. Senonché c’è andato, e magari è proprio quello ad aver complicato le cose. Lili sembra perplessa, e nemmeno lui sa bene come comportarsi. Non sa se e quanto un’eventuale iniziativa possa considerarsi opportuna e non foriera di conseguenze nefaste per entrambi, senonché rompe gli indugi, e schiaccia il pulsante del telecomando che apre il cancello, attaccato alle chiavi. Lei rimonta sull’auto, entra nel cortile e parcheggia accanto al pozzo, come ha sempre fatto. Prende la borsa, chiude la Yaris e si incammina verso il van. Sale e accoglie Schopen sulle cosce tornite che riempiono i jeans. Lo stringe a sé, stampandogli un bacio in mezzo agli occhi. Mentre il cane si scalmana in una rumba di scodinzoli e slinguazzi e ha un attacco di tosse per l’entusiasmo che quasi lo soffoca, Lili si volta a guardare Graziano con quel suo modo un po’ spavaldo e insofferente, come dire: e allora, che si fa?
«Stai attenta, potrebbe pisciarti addosso per l’emozione» l’avverte, riferendosi al carlino.
«Non si può dire lo stesso del suo padrone» replica lei, con una nota lieve, quasi impercettibile, di recriminazione.
Nessuno dei due aggiunge una parola. Si guardano in silenzio da dietro le lenti scure, per qualche secondo, poi lui si volta avanti, toglie il freno a mano e parte. Liliana guarda fuori dal finestrino e continua ad accarezzare il cane, che si è calmato ma respira ancora come la lama di una sega poco affilata.
(continua)
(9) Anche l’estetica di tendenza ha una sua logica. Nel caso specifico, cioè i pavimenti in gres che imitano la sensazione visiva del legno (laddove guardare concede all’idealizzazione tutto lo spazio di cui necessita) senza ovviamente poterne riprodurre la sensazione tattile (laddove sentire, al contrario, all’idealizzazione concede ben poco), risulta evidente come privilegiare l’aspetto esteriore delle cose e il piacere asettico dell’idealizzazione piuttosto che la loro essenza, sia qualcosa che attraversa tutti i campi della nostra società. Dall’estetica, alla politica, all’economia.
(10) Per quel che mi riguarda, leggere non è mai stato un piacere immediato ma qualcosa che, come credo tutte le cose più significative, richiede sacrificio – di tempo, innanzitutto, che magari mi piacerebbe impiegare diversamente o anche sprecare in cose più futili – e uno sforzo. Se dovessi rispondere alla domanda Qual è il momento più bello della lettura di un libro? direi senza ombra di dubbio quello di comprarlo, il più facile e carico di aspettative. Analogo, in questo aspetto, ad altri momenti più o meno complicati della nostra vita.
(11) Intendo quel sense of humor molto rozzo e virile tipico di certe categorie professionali, tutto basato su allusioni improntate a una certa omofobia latente, che fa della penetrazione anale (virtuale, in genere) motivo di scherno, di ironia e/o sarcasmo, volti a suscitare quella reazione fintamente risentita e divertita che un cane non può ovviamente esprimere, ma un collega di lavoro sì.