Chez Marco Pt.3

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[MI163] Il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore - Costruttori di Mondi



Chez Marco Pt.3


Le “planate” che stavo provando erano uno dei più celebrati effetti che si presentavano in seguito al fumo dello shit.
La sensazione era quella di sentirti mancare la terra sotto i piedi e di compiere una piccola caduta dall’alto che ti faceva sobbalzare dalla sorpresa; era caratteristico dell’esperienza, poteva risultare divertente, almeno fino a quando non ci facevi l’abitudine.
Sentivo un cerchio caldo e formicolante intorno alla testa, ero entrato in una sorta d'isolamento interiore dal quale contemplavo la realtà circostante.
Era come se la mia mente fosse divenuta uno sguardo remoto che abbracciava con sereno distacco ogni cosa dell’universo.
Avevo le orecchie bollenti, inoltre erano un ricettore selettivo di fenomeni sonori: mettevano a fuoco solo ciò a cui prestavo attenzione, relegando in un soffuso brusio dialoghi, rumori e risa indistinte all’intorno.
Tenere gli occhi aperti era un’impresa, lo sguardo era rivolto al mio interno e alle sensazioni che provavo.
La musica, nella mia mente, prendeva forme e figure come in una proiezione filmica: la seguivo, ascendendo a quote elevatissime, o precipitando in voragini improvvise, a seconda dei movimenti e dell'energia del brano.

A un certo punto mi sono accorto di essere passato dallo stato cosciente a quello di un sogno da sveglio: sono entrato, senza accorgermene, in uno stato di allucinazione.
Mi vedevo, in maniera perfettamente realistica su una pista nel deserto, mentre il sole tramontava.
A breve ho realizzato di rivivere la scena presente nell’immagine di copertina del disco dei Santana.
Nella scena in cui ero immerso, mi vedevo nei panni di un fanciullo che procedeva sulla distesa di sabbia, resa di un rosso dorato dai bagliori del sole morente.
L'aria era secca e bollente, una lunga fila di cammelli proiettava ombre allungate sulle dune circostanti: la carovana del disco mi sfilava davanti, procedendo alla cadenza del suadente pezzo musicale.

Con uno sforzo di volontà ho cercato di tornare alla realtà, la scena era affascinante, ma abbandonarmi ad essa mi creava un certo disagio.
Il timore di imboccare una strada senza ritorno era in agguato.
Per quanto mi aspettassi un'alterazione dei sensi, il fatto che questa avvenisse del tutto fuori dal mio controllo mi destabilizzava.
Lo yoga praticato mi avevano dato confidenza con percezioni alterate de mio stato psico-fisico: gli esercizi di meditazione, con l'iperventilazione e l'eccesso di ossigeno al cervello, creavano sensazioni che conoscevo e controllavo, ma qui era qualcosa di diverso che avveniva sfuggendo alla volontà.
Se questi erano gli effetti blandi del fumo, mi domandavo come potevano essere quelli sotto l’acido che potevano durarti anche tre giorni?
Come cacchio facevano quelli che s’impasticcavano di LSD a fare le cose più normali, come guidare l’auto, andare a scuola o lavorare?
Forse ero solo io ad avere un fisco ipersensibile alle sostanze, magari fra un po’ sarei anche stato male.
Insomma, mi stava montando una dose d'ansia, ma mi dicevo che se resistevo al panico, avrei superato senza danni questa esperienza.
Mi domandavo anche quanto sarebbe durata: se fossi tornato a casa in questo stato avrei avuto non poche difficoltà a nascondere le mie condizioni ai miei.

L'incognita stava nel fatto che era la prima volta, per cui nulla sapevo sulla risposta del mio fisico al fumo assunto, per sapere quanto sarebbe durato lo sballo.
Mediamente avevo sentito che gli effetti giravano intorno alle due ore, ma si parlava di shit comune, mentre questo era “oppiato”, quindi la durata degli effetti era tutta da vedersi.
Magari avrei dovuto stare fuori tutta la notte per smaltire la “fattura”: i miei si sarebbero chiesti che fine avevo fatto? Mia madre, apprensiva com'era, già mi avrebbe dato per morto o in fin di vita, per un incidente stradale, per l'incontro con qualche malintenzionato omicida, o per un incudine, accidentalmente piovuta da un balcone uccidendomi sul colpo.
Si sarebbe attaccata al telefono mettendo in allarme le forze dell'ordine o chiamando ogni ospedale della città, per verificare se nei ricoveri del 118 comparisse il mio nome.

A fronte di questi pensieri provai un sottile malessere, il vino e le libagioni forse entravano in conflitto col fumo, temetti di entrare in un “bad trip” depressivo.
L’idea di dare di stomaco e non mi alettava per niente.
Ho cercato di reagire per scacciare quell’angoscia: ho preso a controllare il respiro e rilassarmi quanto potevo per riprendere il controllo delle emozioni.
Lentamente la sensazione negativa si è attenuata, allora ho riaperto gli occhi e mi sono visto riflesso nel grande specchio sul muro di fronte: ero bianco come un cencio con occhi persi e rossi.
“Figa!” Ho Pensato “Che faccia da sconvolto. ” Sembravo un cadavere al terzo mese di obitorio.
Sonia, la donna di Piero, che mi sedeva accanto, mi ha chiesto se mi sentivo bene, le ho detto che di non preoccuparsi.
Era vero mi sentivo più lucido, per distrarmi: vedendo che Giulio aveva appena posato un volumetto di fumetti preso dalla libreria di Marco me ne sono appropriato e ho preso a sfogliarlo.
Mi sono reso conto che non ero in grado di leggerlo come avrei fatto normalmente, perché restavo a fissare le illustrazioni per un tempo interminabile: venivo attratto da colori e particolari insignificanti della grafica, ma non mi riusciva di avere una comprensione sintetica dell’insieme, non riuscivo a seguire la storia.

La cosa era singolare, ma potendo restare a occhi aperti ritenevo di aver superato il picco più intenso del fumo, quindi la strada era in discesa: tra poco sarei tornato del tutto lucido.
Nella pagina su cui mi ero soffermato osservavo la scena di un personaggio disegnato in cima a una scogliera a picco sul mare.
Poi il personaggio ha improvvisamente preso vita, ha compiuto una breve corsa e ha spicco il volo, effettuando un tuffo spettacolare nelle acque della baia sottostante.
Non so per quale dinamica mentale, anziché stupirmi, ho pensato che quella era una scogliera di Acapulco, in Messico.
Ricordavo di aver visto una volta in TV un servizio su ragazzi che, impavidi, si lanciavano in mare dalla famosa roccia “Quebrada”, situata appunto ad Acapulco.
Ho capito che il mio “viaggio” non era ancora finito.
Ho incrociato lo sguardo di Giulio: aveva occhi sul tipo Christopher Lee nei film del conte Dracula.
Vedendo che avevo ancora tra le mani il volumetto a fumetti che aveva sfogliato prima di me, mi ha chiesto:
- Cazzo frà! Ti sei visto quel pazzo che si tuffa da quella roccia?
Ho confermato con un cenno del capo.
Mi ha sorriso con uno sguardo sperso, poi ha esclamato:
- Però, cazzarola! Che sberla ‘sto Pakistano nero oppiato. Che dici frà, chiedo a Marco se ce ne vende un tocco?

Fine
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