Il seme dell’odio Pt.20

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Il seme dell’odio Pt.20



Giorgio Turvani - Torino - 4 marzo 2010


Stava seduto sulla tazza del cesso e fumava il suo mezzo Antico Toscano, la stanza da bagno era satura di fumo acre e puzzolente.
Il vantaggio era che tra l’odore del fumo e quello delle sue deiezioni non c'era differenza, quei sigari puzzavano indubbiamente di merda.
Sua moglie per quella ragione sclerava e glielo ripeteva continuamente, odiava che lui li fumasse in auto o in casa, perché gli impestava gli ambienti.
Ma ora nessuno si lamentava più: lei se ne era andata da tempo e la macchina lo stesso: aveva smesso di avviarsi una mattina.
Aveva sperato in un problema elettrico o di batteria, ma la batteria era l’unica cosa ancora funzionante in quell’ammasso di ferraglia rugginosa: la cosa era assai più seria.
Il meccanico aveva sentenziato che la riparazione risultava più onerosa del valore complessivo dell’auto: allora aveva rinunciato a riparala e si era preso una tessera annuale per i mezzi pubblici.
Da qual momento e aveva smesso di possedere un mezzo meccanico.
Non tutti i mali vengono per nuocere: aveva infatti scoperto, con non poca soddisfazione, di risparmiare, tra tassa di circolazione, assicurazione, manutenzione e carburante, più di duemila euro all’anno.

Con quei soldi poteva pagarsi una camionata di Antico Toscano e anche qualche battona ogni tanto.
Inoltre contribuiva allo snellimento del traffico urbano, divenendo perfino un esempio virtuoso per l’ecosostenibilità dell'ambiente e la qualità della vita cittadina.
Il sindaco avrebbe dovuto dargli una menzione d’onore, invece quell’amministrazione cieca e ingrata, gli aveva inflitto una gravosa multa per occupazione abusiva di suolo pubblico.
Non avendo soldi per la rimozione e per pagare il demolitore, quella carcassa metallica l’aveva posteggiata sul controviale della via in cui abitava.
Per evitare che gliela multassero per la tassa di circolazione scaduta e
l’assicurazione non rinnovata, aveva lasciato sul cruscotto un cartello con bene in vista la scritta: “Auto ferma per guasto meccanico”.
Premura inutile che non era servita: i zelanti vigili urbani, ansiosi di raggiungere il loro budget settimanale di contravvenzioni, si erano premurati di fargli un verbale dopo solo tre giorni di stazionamento.
Naturalmente non aveva pagato la multa né spostato la macchina: le multe erano cresciute al ritmo di tre alla settimana, i tergicristalli traboccavano di verbali e si stentava a inserirne di nuovi nella pila.
Volendo anche mettersi al pari con la legge, il costo complessivo di quelle sanzioni superava il prezzo di una Porsche, non c’era trippa per gatti, col cazzo che, anche avendoli, si sarebbe mai sognato di sborsare quella fortuna.
Ora, dopo mesi, il mezzo era divenuto un cumulo di sporcizia, una latrina pubblica per i piccioni e un letto notturno per i barboni del quartiere.

Oltre all'auto si era rotta da tempo anche sua moglie: nel senso che si era stufata di lui in maniera irreversibile.
Una sera rientrando a casa aveva trovato un biglietto, fissato con una striscia adesiva alla porta del frigo, con scritto a pennarello rosso:
“Mi hai rotto le ovaie. Me ne vado e non ti azzardare a cercarmi. Fottiti brutto fallito di merda! Crepa!”
La cosa non lo aveva sorpreso, inutile stare a rivangare il perché e il percome, era da un po' che le cose tra loro non filavano nel verso giusto. In fondo era meglio così: pochi concetti, ma chiari e definitivi, piuttosto che sfinirsi in litigi e ripicche inesauribili.
Si evitava di ritrovarsi un mattino sui giornali, per via che si erano accoltellati reciprocamente.

Almeno ora poteva fumare a piacimento quando stava in bagno e nessuno gli rompeva le palle per la puzza del sigaro, o perché lo occupava per troppo tempo.
Gli piaceva prendersela comoda, era uno dei pochi lussi dell'esistenza, poi in quel lasso di tempo si dedicava ad acculturarsi e leggeva dei libri.
In quel periodo era su un libro di James Elloroy, uno dei suoi autori preferiti nel genere hard-boiled, un corposo tomo di oltre ottocento pagine: ne leggeva una decina ogni mattina o alla sera, durate le sedute sulla tazza.

La luce dello specchio del bagno era livida e la sua faccia delle sette e mezza del mattino aveva l’incarnato di un cadavere sul tavolo autoptico, per essere un quarantasettenne era un vero disastro: borse sotto gli occhi, rughe da ottentenne e capelli canuti e stopposi.
Veniva voglia di buttarsi nel cesso e tirare la catenella.
Smise di insaponare il viso col pennello da barba quando la metà del volto lo fece assomigliare a un Babbo Natale depresso.
Schiuse la bocca, le labbra apparvero nella crema candida come una ferita aperta su una coltre di neve immacolata, iniziò a rasarsi.
La radio diffondeva le prime notizie confortanti della giornata:
- “ All’interno del IV Governo Berlusconi, Daniela Santanché avrà la  funzione di coordinatrice del Programma di Governo”.
- “ A Ba'quba in Iraq, proseguono le indagini sui tre kamikaze che si sono fatti esplodere ieri contro l'ufficio della prefettura, una caserma della polizia e il pronto soccorso di un ospedale, causando 30 morti e 50 feriti ”.
Seguivano poi, un po’ di stronzate sullo sport e la moda di stagione.
L’intero mondo andava in malora: casini su casini e non se ne capiva più un tubo. Lui, nel suo piccolo, non faceva eccezione.
Gli piaceva rasarsi con metodo, lo faceva tutte le mattine: pelo e contropelo, per avere il viso liscio come una pesca, raramente e per un serio imprevisto, aveva mancato quella rasatura giornaliera.
Era una sorta di rito per la cura della propria persona, amava sentirsi a posto, la pulizia fisica era il primo passo verso quella interiore.

Un tempo, poco più che ventenne a fine degli studi, si era interessato di esoterismo, era anche entrato a far parte di un ristretta setta di adepti.
Si era divertito in quel periodo: riti negromantici, droga e sesso a gogò.
Quelle pratiche, a detta del leader del gruppo, tale Dragan Krasic, futuro chirurgo e figlio di un noto luminare che possedeva l’omonima clinica sulla collina torinese, servivano ad acquisire potere e fortuna.
A lui la cosa piaceva perché girava roba forte, ci si faceva di brutto, poi c’era il sesso sfrenato che unito a quel clima macabro era particolarmente eccitante.
Chissà che fine aveva fatto tutta quella manica di spostati di testa?

Non sapeva dire se aver partecipato a quei convegni di esaltati gli avesse procurato maggior potere e fortuna economica, ma era stato un brillante mediatore immobiliare: aveva lavorato come procacciatore nella più importante agenzia cittadina, toccando gli apici del successo professionale.
Bel periodo quello: il mercato tirava alla grande, benché i soliti portatori di rogna parlassero già di “bolla immobiliare”. Ma chi li stava a sentire quei quatto corvi sfigati?
Si facevano soldi facili e lui aveva il portafoglio gonfio e i conti in banca in forte attivo.
Girava tirato e lucido come un set d'argenteria: giacche di cashmere, cravatte regimental, Trickers bordeaux ai piedi, Rolex Daytona al polso, costose auto sportive sotto le chiappe, un vero principe.
Era il potere dei soldi e del successo: persino sua moglie che arricchiva le più esclusive boutique cittadine, allora non faceva caso al puzzo dei suoi sigari.
Poi la “bolla” era esplosa: da un giorno all'altro il mercato era crollato, caduta a picco dei valori immobiliari; nessuno voleva più un mattone neanche a tirarglielo dietro, non si vendeva neppure un wc chimico da campeggio.

Mentre la radio era passata alla solita deprimente musica disco, lanciò una fiorita imprecazione: si era tagliato.
Un fiore vermiglio si formava sul mento: il sangue mescolato alla schiuma ricordava una mousse di panna e fragola. Forse era l’unico coglione al mondo capace di affettarsi la faccia con un rasoio usa e getta.
Gli era venuto il cattivo umore: fini rapido di rasarsi, sciacquò il viso con acqua fredda, poi mise una secchiatà di dopobarba per disinfettare la ferita.

Aveva davanti una giornata impegnativa, meglio darsi una smossa.

(Continua)
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