Il seme dell’odio Pt.16

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Il seme dell’odio Pt.16



Torino - De Petris - maggio 1981

La vita tra De Petris e sua moglie divenne il quadro vivente di una tragedia senza termine,
La sofferenza persisteva inesauribile, ardendo silenziosa come la brace nascosta nella cenere, i gesti vuoti del quotidiano amplificavano quelle assenze interiori scavando tra loro distanze incolmabili.
Fu un anno di sordo tormento silenzioso, di cose non dette, di notti insonni trascorse a contare i minuti di veglia, stesi accanto muti, senza mai sfiorarsi, in quel letto che pareva un giaciglio di spine.
Fu una sera di fine maggio, tiepida e profumata di gelsomino fiorito, che De Petris rientrato dal turno di servizio, trovò la casa deserta.
Lei se ne era andata, abbandonandolo.
Aveva lasciato solo un breve biglietto, poche frasi per dirgli che la loro vita insieme era terminata da tempo, a unirli restava solo un filo artificioso d’esistenza in comune, che la loro ignavia sterile alimentava.
A legarli era lo strazio di un ricordo, di un dolore insormontabile col nome del loro figlio scomparso: il loro rapporto si era spento con lui, rendendoli due estranei indifferenti, ormai incapaci di amore.
Chiedeva che non la cercasse, gli augurava di ritrovare una vita, di dimenticarla e di dimenticare. Null’altro.

De Petris non era un bevitore, ma cercò una bottiglia di whisky tenuta per gli ospiti nel mobile bar del salotto: posò la Beretta 92FS di dotazione sul tavolino accanto alla poltrona e fece scorrere il carrello per armare l’arma, poi iniziò a bere direttamente dalla bottiglia.


Vesna - maggio 1978 - Torino

La notte in cui la raccolse dalla strada, per Vesna mutò il corso dell’esistenza: Dragan la condusse nella raffinata villa collinare in cui viveva, facendole respirare il profumo di un mondo sconosciuto.
Quello della ricchezza, degli agi, del cibo squisito, dei grandi letti morbidi e accoglienti, con lenzuola di seta fragranti di lavanda.
Quando furono nell’abitazione, lui parve non avere alcuna fretta di concludere ciò per cui l’aveva prelevata da quel corso: le chiese se avesse problemi a fermarsi per l’intera notte, lei rispose di no.
Allora con fare premuroso la invitò a mettersi a suo agio: le propose di fare una bagno caldo ristoratore che l’avrebbe aiutata a scrollarsi da dosso il freddo e l’umidità della notte.
Chiamò la cameriera che la accompagnare in una elegante stanza da bagno al primo piano della casa.
In vita sua non aveva mai visto una vasca così ampia e un bagno tanto lussuoso nel suo allestimento, con quella dotazione di accappatoi lindi e profumati e di accessori per la toilette presenti sulla mensola del lavabo, sormontato di un grande specchio con punti luce all’intorno.
Solo in certi film hollywoodiani con scene di bagno di dive americane gli era riuscito di vedere posti simili.

La donna di servizio, con grande efficienza, le preparò un bagno, colmo di schiuma aromatica, accese alcune candele profumate per ingentilire l’ambiente, poi si dileguò, avendo prima riguardosamente detto che era a sua disposizione in ogni momento: poteva chiamarla col campanello posto alla parete sopra la vasca.
Vesna si sentì turbata per quelle premure a cui mai era stata abituata, si spogliò e si immerse nell’acqua calda e aromatica con la timidezza incerta di un alieno ospitato a Buckingham Palace.
Un impianto di filodiffusione diffondeva a un volume carezzevole una sinfonia classica, lei provava una sensazione di benessere che le riempiva il cuore e le faceva sentire la testa leggera e sognante. Nessuno aveva avuto cura di lei in quel modo dacché era morta sua nonna: un’ondata di dolorosa nostalgia le incupì l’anima.
Il desiderio di vivere una vita circondata da quel benessere di cui stava gustando un assaggio, senza più tornare allo squallore del marciapiede, le salì agli occhi imperlandoli di lacrime.
Si immerse con la testa sotto il livello della schiuma candida, restò così, in apnea, finché il rigurgito di malinconia fu spento dalla necessità del respiro.

Terminato il bagno, asciugò i capelli e li spazzolò a lungo, si rifece il trucco, verificò cosa le aveva lasciato la domestica per rivestirsi: una vestaglia di seta jacquad nera, con delicati rilievi floreali di gusto giapponese.
Quando fu pronta chiamò la domestica che la condusse dove era attesa: venne introdotta in un grande salotto dotato di una vasta libreria, quadri pregiati alle pareti e arredi d’epoca.
Dragan adagiato su una delle poltrone di cuoio candido, sorseggiava un cordiale: le chiese se gradisse bere qualcosa e lei, a disagio per quelle attenzioni, con un filo di voce accettò un gin tonic. Glielo preparò lui stesso, spostandosi nell’attrezzato angolo bar della sala.

Si attendeva che l’uomo chiedesse del prezzo per quel loro incontro, ma nulla di questo avvenne.
Nella notte fu un amante delicato e generoso: la trattò come una donna, facendole dimenticare in quei momenti di essere una puttana.
Fu cortese e sensibile, confidenziale come si conoscessero da anni.
Non le succedeva mai con i clienti, ma da lui si lasciò baciare la bocca e le parti più intime del corpo, si mostrò così appassionato che lei trovò trasporto e piacere nel sesso che fecero.
Il mattino dopo, la cameriera la destò portandole a letto una ricca colazione, poi, con discrezione, lasciò su un pattino d’argento una busta per lei.
Vesna terminò il pasto, poi aprì la busta di una elegante carta goffrata: rimase strabiliata dal contenuto, si trattava di banconote da centomila lire, ne contò dieci. Nessuno era mai stato tanto generoso da quando praticava quel mestiere.
Trovò anche un piccolo biglietto: “Resta, ti prego. La governante ti accudirà per tutto ciò che ti occorre. Sarò di ritorno in serata. Felice giornata a te. Dragan.”

Ebbe così inizio il loro rapporto: lui la tenne con sé per lunghi mesi e a Vesna parve di vivere una favola.
Ogni mattina, al risveglio, temeva che quel sogno svanisse e si ritrovasse nello squallido minialloggio di Glenda, con la prospettiva di tornare a battere il marciapiede al calare della sera.
Ma quel sogno dorato pareva non aver termine, anzi, diveniva una speranza di futuro, quasi un sentimento amoroso nato nell’attrazione dei corpi.
Era ingenua e giovane, nulla ancora conosceva delle sottili insidie che sanno tessere la vita e gli uomini, talvolta il veleno presenta sembianze seducenti e dolcissime.
In Dragan non c’era affetto, il suo animo era freddo, levigato e impenetrabile come le facce di un diamante: lei era solo un investimento, un elemento del suo progetto, la pianificazione di un disegno di potere. Tutto ciò che le donava era utile e calcolato a creare un debito di riconoscenza inestinguibile: ne avrebbe fatto uno strumento fedele e plasmabile alla sua volontà, per il fine che si era proposto.
Lui l’aveva affascinata col suo carisma, le fattezze nobili, il lusso della sua esistenza e i modi eleganti: possedeva la grazia ammaliante e tenebrosa di un fiore nero, la crudeltà di una mantide religiosa.

Nella sua permanenza alla villa, Vesna fu attratta dalla ricca bibblioteca presente nella casa: conteneva opere di grandi autori del passato e moderni, testi di filosofia, tomi scientifici e di medicina, inoltre una nutrita collezione di testi esoterici.
Fra questi alcuni rari Grimori che contenevano le regole della “goezia”, dal latino gŏētīa, termine derivante da “γοητες” ovvero: “gemente”: probabile derivazione onomatopeica indicante la cadenza lamentevole con cui si ripetevano le formule magiche.
La goezia è la pratica occulta che riguarda l'invocazione e l'evocazione dei demòni.

(Continua)
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