Il seme dell’odio Pt.12

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Il seme dell’odio Pt.12


Torino - De Petris - maggio 1980


Il parco del Valentino era un tripudio di colori e profumi, fiori variopinti gremivano le aiuole, splendidamente curate dai valenti giardinieri comunali.
La primavera rendeva festoso quel pomone verde della città: il Po scorreva placido tra le rive vestite di prato erboso che dolcemente degradavano nell’ acqua del fiume.
Più in alto verso la piazza Vittorio e i “murazzi”, l’accesso al fiume era protetto da parapetto di granito, ma, a partire dal Castello del Valentino, già residenza sabauda che, sotto l’opera del Castellamonte, assunse
un’ impronta solistica alla francese, per divenire in fine facoltà di Architettura, vi era solo una bassa siepe a dividere il giardino dal fiume.

A De Petris, nelle giornate di riposo, piaceva portarci a passeggio il figlio.
Quel bambino che avrebbe compiuto i cinque anni entro due mesi, era un frugoletto bello come il sole, biondo e con gli occhi chiari e vivaci come quelli di sua madre, dalla quale aveva ereditato anche il carattere solare, la curiosità e l’incontenibile gioia di vivere.
Sempre allegro, colmo di un’ energia che esprimeva con un indiavolato dinamismo.
De Petris era pieno di amore e orgoglio per quel figlio dal vitalismo vulcanico, così diverso da lui, pacato e meditativo.
Portalo a spasso nel parco era uno sfogo al suo surplus di energia: vederlo correre come un giovane leprotto per ogni dove, riempiva gli occhi e l’anima di un piacere che aveva il gusto della più genuina felicità.
Era anche un impegno mica male il dovergli stare dietro con attenzione e rispondere alle mille domande e sollecitazioni che l’esuberante pargolo
poneva con un fiume inarrestabile di “perché”.
O dei mille occhi necessari a vegliare che non si cacciasse in qualche guaio nella frenesia del gioco.
Ma sentirsi chiamare “papino”, da quel diavoletto riccioluto, era appagante quanto un mese di vacanza in una spiaggia tropicale.

L’ ultimo gioco comune era il classico “nascondino”: lui fingeva di coprirsi gli occhi, contava fino a venti e poi iniziava a cercare il piccolo fuggiasco che si occultava dietro una pianta, un voluminoso cespuglio, un anfratto del posto.
Lo facevano sovente anche all’ interno del “Borgo con la Rocca Medievale”, che nacque, situata all'interno del parco, come padiglione dell'Esposizione generale italiana a Torino nel 1884.
La Rocca, meta di visitatori e turisti era una suggestiva copia di diversi castelli piemontesi e valdostani: il Castello di Fenis, di Verrès, d'Ivrea e di Montalto.
Il quella evocativa scenografia, dotata di stemmi, gonfaloni e anche di un basso ponte levatoio, il bambino trovava un luogo ideale in cui scatenare la propria fantasia.
Fu durante uno di quei giochi, che De Petris, in accordo col piccolo, sarebbe rimasto fuori dal minuscolo borgo medievale, avrebbe contato fino a venti, poi sarebbe entrato a cercare il bimbo all’interno della corte.
I luoghi dove nascondersi all’ interno erano assai pochi, per altro poiché il gioco lo avevano compiuto altre volte, la sorpresa era più che scontata,
ma come tutti i bimbi, anche il suo amava ripetere continuamente i giochi già fatti senza mai annoiarsene.
Così dopo il conteggio di rito, col sorriso sulle labbra, De Petris superò il ponte levatoio d’entrata al castello allegorico e si inoltrò alla ricerca del figlio.



Torino - Vlade Krasic - 1970/80

Dragan aveva origini slave, suo padre, Vlade Krasic, un valente chirurgo era fuggito con la famiglia dalla Jugoslavia di Tito, per insediarsi a Torino dove iniziare la sua nuova vita professionale.
Provenendo da una ricca famiglia serba, prima del conflitto che aveva dilaniato il paese nella seconda guerra mondiale e determinato, al suo termine l’avvento del regime titino, aveva costituito un cospicuo capitale finanziario con spericolati investimenti all’ estero.
Le banche svizzere aveva protetto le sue fortune, rendendole disponibili
al momento dell’espatrio nel nuovo paese di destinazione.
Con quel denaro aveva potuto creare una lussuosa clinica all’ avanguardia nella chirurgia specialistica sperimentale.
Progettata da un rinomato architetto, la struttura sorgeva nel verde di un vasto parco, sulla vesante collinare di Pino Torinese.

La raffinata eleganza architettonica, con ampie, luminose, vetrate a parete che rendevano leggero l’ edificio, si univa alle più avanzate attrezzature tecnologiche esistenti, non mancava, sul tetto, un’ ampia piazzola per l’atterraggio degli elicotteri di pronto intervento.
Nella notte l’insegna blu elettrico, col nome del fondatore, brillava segnaletica come un faro visibile a grande distanza.
Aveva formato una equipe di collaboratori sceltissimi, il successo e la fama internazionale avevano premiato il suo sforzo.
Uomo di grandi capacità mediche e brillante attitudine imprenditoriale, comprese che i tempi erano maturi per indirizzare la sua prevalente attività nel campo della chirurgia dei trapianti; un settore che lo aveva sempre affascinato.

Aveva trascorso lunghi periodi di formazione tecnica nei centri più avanzati degli Stati Uniti, in quella branca medica in crescente sviluppo.
All’inizio degli anni 1980 avvenne una storica svolta scientifica: fu omologato il primo medicamento a base di “ciclosporina”, che risolse i grave problema di rigetto dell’organo trapiantato nei pazienti.
Questo farmaco portò a un voluminoso incremento del numero di trapianti nel mondo.
La clinica, si rivolgeva a una selezionata categoria di clienti, i suoi servizi d’eccellenza erano pertanto accessibili solo a un pubblico di elevata solidità economica.
Le parcelle praticate erano assolutamente astronomiche.
Per contro la clinica “Krasic”, praticava, con una ovvia detrazione dall’ utile imponibile, una sorta di attività benefica rivolta al sociale.
In un suo ambulatorio interno, ben isolato dal resto della struttura, si praticava l’assistenza medica dei soggetti più disagiati: mendicati, senza tetto, migranti irregolari di ogni età e sesso.
Le categorie ai margini della società venivano accolte, sottoposte agli esami necessari, curate delle patologie che le affliggevano, munite di farmaci gratuiti, laddove fosse necessario proseguire una terapia per un certo tempo.

Venivano sottoposti a esami approfonditi, mirati a verificare lo stato di salute generale e dei maggiori organi vitali del paziente.
I risultati, custoditi nella cartella clinica di ognuno, venivano catalogati, dando vita a un ricco archivio di soggetti, di cui si monitorava costantemente la condizione dei loro organi interni.
Questi pazienti, vieppiù soli al mondo, privi di amici e parenti che li accudissero, non trovando altri che si prendessero cura della loro salute, non obiettarono alla sola clausola richiesta per queste prestazioni gratuite: ovvero l’impegno di presentarsi trimestralmente all’ ambulatorio, per un check up di verifica del loro stato fisico.

La chirurgia dei trapianti risolto il problema dl rigetto dell’organo trapiantato, presentava comunque sempre una serie di problemi di genere organizzativo e logistico.
Vlade Krasic cosciente da subito, della difficoltà nodale che accompagnava quel genere d’intervento, studiò un sistema che consentisse alla sua clinica di superarlo brillantemente.
La principale difficoltà era ovviamente il reperimento di organi adatti all’ intervento e di un donatore adatto di tali organi.
Effettuare un trapianto, restava difficilmente programmabile: un organo avrebbe potuto rendersi disponibile 
all’ improvviso, ne conseguiva per chi era in lista d’attesa di rendersi pronto e rintracciabile, per raggiungere il Centro Trapianti nel tempo più immediato.

Era necessario limitare lo spazio tra prelievo e impianto dell’organo stesso: sulla tempestività dell’intera operazione si giocava il successo dell’intervento, perché l’ utilizzo dell’organo prelevato e da trapiantare aveva tempi stretti.
Infatti il trasporto dell’organo doveva avvenire entro un limite temporale marcato.

(Continua)
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