Il seme dell’odio Pt. 8

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Il seme dell’odio Pt. 8



Vesna - gennaio 1978 - Torino

Vesna, era dotata di una intelligenza viva ed eclettica, pochi mesi di vita in Italia le furono sufficienti per impratichirsi col linguaggio ed essere in grado di comprendere i rudimenti base della lingua del paese.
Senza un titolo di studio, o un capitale economico per avviare un’attività in proprio, supponendo di possedere una qualche abilità artigianale, la società in cui era approdata, non offriva spazi di affermazione praticabili.
Riuscì a ottenere unicamente lavori saltuari: parlando con persone provenienti dai paesi dell’est come lei e vivendo la pratica del quotidiano, comprese ben presto che le occasioni di un lavoro continuo e regolare erano rarissime. Si limitavano alle mansioni di donne di servizio, badanti per anziani, operaie in imprese di pulizia.
L’idea di poter offrire quanto aveva appreso dalle arti della nonna materna, risultavano, qui, totalmente impraticabili.

Con le sue poche cose, trovò accoglienza e un letto per dormire, presso una ragazza con cui aveva stretto amicizia sul lavoro: aveva nome Gledia, era Albanese.
La giovane proveniva da Velipojë, una frazione di Scutari, luogo di mare con una famosa e splendida spiaggia.
Nacque tra loro un buon rapporto, la ragazza, data la vicinanza del suo luogo d’origine confine montenegrino, parlava una lingua ricca d' influenze serbo-croato e bosniaco, Vesna, pur essendo slovena, le masticava discretamente, non fu difficile intendersi.
Dopo sei mesi, drammaticamente, restarono entrambe prive di lavoro. Non svolgevano con un regolare contratto le loro prestazioni, non godevano di alcuna tutela o diritto: per licenziarle bastarono poche parole del titolare e la sua fredda indifferenza ai loro destini.
Non fu facile trovare alternative: l’offerta al ribasso di altri disperati bisognosi di lavoro, disposti a sostituirle per un compenso irrisorio, era un pozzo senza fondo.
Inutili furono le ricerche, per mesi, di un nuovo lavoro, i pochi risparmi evaporarono rapidamente e la situazione si fece insostenibile.

Fu così che le due ragazze, spinte dal bisogno, attuarono una scelta estrema e umiliante, pensandola, in cuor loro, occasionale e provvisoria. Scesero una sera lungo i viali periferici della città, dove altre donne, con esistenze altrettanto marginali, vendevano i loro corpi, per le voglie clandestine di uomini che le appagavano col denaro.


Torino - Giugno 1985

De Petris, poteva anche sopportare qualche insetto, benché gli facessero schifo, ma, per i rettili, aveva una vera repulsione.
Vero che non si rischiava, lì, d' incrociare un mamba nero, però, una semplice vipera o una innocua biscia sì.
Le bisce come era noto, si sollazzavano negli acquitrini.
Che poi, una biscia di un metro e mezzo che ti azzannava un calcagno, fosse da considerarsi innocua, era tutta una storia da vedersi.
Intanto, il morso ti faceva un male bestia, poi, in ogni caso, era una bella rottura di coglioni.
Finalmente la terra divenne meno fangosa e più solida: col passo più fermo aumentarono l’andatura.
- Certo, - riprese Matranca, - che la visita agli zingari è stata proprio incoraggiante. C’era solo da toccarsi i coglioni: per la vecchia, quella è morta da mo. Fortuna che non ci crediamo. Comunque, belle fregnacce e mi ha fregato pure un pacchetto di cicche nuovo, nuovo.
- Dai, Matrà. Te lo rinfondo il pacchetto. Dormi tranquillo.
- Ma noo! E’ solo che mi secca passar per scemo. Dagli zingari poi.
- Non sono zingari, sono nomadi, Matrà?
- Sì, sì. Nomandi. Fanculo a loro.
De Petris sperava davvero che le parole della zingara, fossero aria fritta. Fantasie per spillare qualche soldo a sprovveduti creduloni, non voleva dare alito a quella sensazione di allarme che gli pulsava in un angolo della mente.
Non era mai stato superstizioso e non voleva iniziare ora.

Matranca bestemmiava: era impegnato a schiaffeggiarsi collo e viso, sotto l’attacco di un nugolo di zanzare fameliche.
- Qui ci mettiamo un mese a girare ‘sta jungla. - disse l’agente sconsolato. - Possibile che non si sia potuto sapere, di preciso, dove cavolo abita questa qua?
- Matrà. Tu non hai capito che questa, ha trovato un qualche buco abbandonato, per viverci senza avere un affitto da pagare. Altro che indirizzo.
- Eh! Giusto una drogata, sciroccata di testa, poteva venire a stare in un posto così con un figlio. Se, tutte le volte che esce o rientra a casa gli tocca di fare questa gincana, sta proprio a posto, eh!
- Matrà, sicuro che c’è un percorso più facile. Il problema è solo che non lo conosciamo.
- De Pè, scusa: ma, le piante catastali della zona, non ci sono? - Obiettò
l’ altro.
- Le piante catastali della zona, non tengono conto delle modifiche avvenute nell’ ultimo mezzo secolo: la casa può essere stata edificata abusivamente e in seguito abbandonata. Inoltre, per la tardiva denuncia di scomparsa, si è ritenuta inutile una corposa mobilitazione delle scarse risorse operative disponibili. Quindi, hanno dato a noi il compito di fare accertamenti, per capire se ne veniva fuori qualcosa.
- Vabbè. Ma qui, per fare una cosa sensata, servirebbero almeno quattro squadre di colleghi, magari anche con i cani dell’unità cinofila. Per due è un’ impresa assurda.
- Matrà, questa non è mica una signora “bene” della collina o la congiunta di un politico. Figurati se gliene frega a qualcuno, di mobilitarsi per accertarne la scomparsa.
- Eh... Lo so che dei poveracci non gli fotte nulla a nessuno. - concluse sconsolato Matranca. - Procediamo, però io mi accendo un’ altra sigaretta, se no, inizio a sclerare.
- Fuma, fuma, che almeno stai zitto. Cerca di non darmi fuoco alla jungla. - rideva, l’altro.
Ispezionavano porzioni di territorio in un quadrato virtuale con lato di circa trenta metri, il sentiero a tratti spariva, poi ripartiva una decina di metri più avanti.
C’era da spremersi gli occhi per scrutare, se, tra l’intrico della vegetazione, spuntasse qualcosa di simile a resti di muratura.
A un tratto, esultarono per qualche momento: davanti a loro, sul fianco del sentiero, a una cinquantina di metri, apparvero resti consunti di una vecchia abitazione.
Occultati tra grossi cespugli, con uno strato di muffa a coprirne le rovine fatiscenti, l’edificio era totalmente diroccato: il tetto era crollato e solo qualche porzione di muro perimetrale reggeva ancora.
Non era quanto cercavano, però era un segno positivo: provava che le eventuali costruzioni si sarebbero ritrovate nei pressi del sentiero che percorrevano. Ergo, prima o dopo, questo, li avrebbe condotti al loro obiettivo.

Dopo due ore non avevano trovato nulla di nuovo: il sentiero aveva fatto enormi giri, per finirei in una sorta di spiazzo, lasciandoli davanti a una biforcazione per altre due vie.
Erano stanchi, zuppi di sudore e martoriati dalle punture di zanzara.
Si fermarono a riprendere fiato all’ ombra di grosso tiglio: sedettero su un ampio masso, verde di muschio.
Erano indecisi su quale dei due sentieri procedere: pensarono al’idea di dividersi e seguirne uno ciascuno.
Ragionarono che, anche il nuovo sentiero, avrebbe potuto poi biforcarsi, quindi si sarebbero trovati da capo, nel doverne scegliere ancora uno, benché separati. Non pareva una soluzione vantaggiosa.
Quella ricerca si rivelava complicata nella pratica. Stava prendendo un taglio da telefilm poliziesco americano: quelli con i due poliziotti nella merda, che per risolvere un guaio, finivano col cacciarsi in un guaio più grosso. Un genere di telefilm che De Petris non amava e gli faceva fare zapping alla TV.
Avevano sbottonato le camicie per far asciugare il sudore sul busto; De Petris guardava stancamente quel paesaggio opprimente e soffocato dall’afa, Matranca si era accesa un’altra sigaretta: fumava in silenzio, ventilandosi col berretto d’ordinanza.
L’agente scelto rimestava pensieri sconfortanti: la ricerca, in quelle condizioni, poteva davvero durare una settima a essere ottimisti.
Bisognava inventarsi qualcosa.

(Continua)
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