La Sampo Pt. 17
Posted: Sat May 01, 2021 6:19 pm
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La Sampo Pt. 17
Sedetti in fronte a lui, aveva il capo avvolto nel fumo azzurro della sigaretta.
In silenzio finì di bere il suo caffè, poi raccolse col cucchiaino la panna residua nel fondo della tazza e lo ripulì con le labbra.
Nell’ osservarlo da vicino, come era accaduto nel nostro ultimo incontro, notai l’aspetto stanco e tirato del volto. Quel ragazzo esagerava con gli stravizzi, doveva darsi una calmata o non sarebbe arrivato ai trent’ anni.
- Allora, ti si è sgonfiata quella faccia tipo culo di scimmia? - disse con un sorriso beffardo.
Mi passai una mano sulla guancia, avevo la pelle ispida per la barba non rasata, il gonfiore era diminuito notevolmente.
- Sì, va meglio, un paio di giorni e torno a essere ok.
- Bravo! Ora sta lontano dai dolci e vai da un cazzo di dentista a farti sistemate la bocca, che è meglio.
- Ok. Ma mi devi parlare di qualcosa o rompere le palle, tipo mia madre che mi fa la predica?
Il cameriere lasciò il mio caffè sul tavolino e si dileguò frettoloso.
- Bevi, che si fredda. - disse. - Poi parliamo. - mescolai la panna al caffè, poi iniziai a sorbire: era caldo e profumato.
- Allora, che ci fai qui a l’una di notte e di cosa dobbiamo parlare? - chiesi al termine.
- Me ne vado, parto. - disse guardandomi serio.
- Te ne vai? Ma che dici? E dove vuoi andare?
- In India. Ho trovato un passaggio da gente che va Ben Ares, la città della luce. Si va questa notte.
Restai basito. Mi parve assurdo quello che avevo sentito: pensai che mi stesse burlando.
- See! Vabbè. Vai in India questa notte. Stai cazzeggiando vero?
- Non fare il coglione, parlo sul serio. Ho deciso. Non c’è nulla che mi trattenga qui.
- Ma dai. Che stai dicendo? Guarda che ero a voler andare in India a fare il santone. Tu dovevi diventare architetto, suonare come Alvin Lee e Feliciano, sposare Lara, avere dei figli. Te ne sei dimenticato?
- No. Ma non me ne frega più niente di tutte ‘ste cose. Mi stanno appiccicate addosso come sudore nella canicola di ferragosto. Non sono più sicuro di averle volute, o se le ho accettate perché tutti si aspettavano che le dovessi scegliere. Voglio uscire da tutto questo e da questa vita, vado nella città santa a inventarmene un’ altra.
Ero spiazzato, Giulio era imprevedibile, ma questa cosa superava ogni mia fantasia.
- Ma non puoi andartene così, senza dire niente a nessuno. Ma non pensi ai tuoi, a tuo fratello, a Lara, cosa diranno, gli rovini la vita, devi almeno parlargli, avvertirli di cosa hai deciso.
Restò un silenzio, osservava la neve cadere sulla strada attraverso i vetri della finestra che guardava alla via.
- Le vedi questa neve che scende? - disse - E’ spettacolare e bellissima da guardare, cambia la percezione del mondo e delle cose che ricopre. Ma dura il tempo del freddo che la tiene in vita. Al primo sole del prossimo giorno inizierà a sciogliersi fino a scomparire, alla fine lascerà il mondo nella stessa maniera in cui l’ha trovato. La vita e le cose degli uomini sono identiche. Sembrano riempire il mondo di passioni, amori, idee e progetti, ma a confronto dell’ eternità, durano il tempo di una nevicata. Nulla di noi resta se non un ricordo. Nessuno è indispensabile alla vita degli altri. Non lo siamo neppure per noi stessi.
- Cazzo. Non eri mai stato così profondo, ti sei fatto o scoperto filosofo?
- Mi conosci davvero poco allora. - disse serio.
- Ma no. Scusami. Ho capito che parli convinto. Ma quello che dici mi ha sconvolto. Fratello, dove cazzo vai senza di me? Dammi tempo, dammi un giorno: metto in un sacco le cose da portarmi e vengo con te.
- No, frà. Dove vado non puoi venire. Tu resterai qui e spiegherai a tutti del perché sono partito.
- Non dire cazzate. Anche io non ho ragioni per restare. Partiamo insieme.
Smise di guardare verso la finestra e punto lo sguardo ai miei occhi.
- No. Tu una ragione la hai: c’è la Sampo che ti aspetta. Ti ama e tu la mai. Poi con la fatica che ho fatto a mettervi insieme, è stato il mio regalo di Natale, non ti azzardare a mollarla.
Di colpo la consapevolezza che faceva sul serio, mi aggredì con una violenza dolorosa e gelida: mi sentì stanco, svuotato, come se l’ energia vitale fosse evaporata d’improvviso. Pensare e parlare mi costava uno sforzo immane, il tempo stesso pareva aver rallentato il suo respiro. Sentivo di dover dire qualcosa, di trovare parole e argomenti per dissuaderlo da quella follia, per fermarlo, convincerlo a restare. Giulio se ne andava e ci saremo persi per sempre. Ma nulla mi veniva alle labbra, ero muto e stretto in un grumo di dolore.
Qualcosa di simile alla paura dell’abbandono del bambino mi inchiodava le membra: Giulio se ne andava e mi lasciava solo al mondo.
- Giulio, ti prego resta.
- Non posso fratello, mi aspettano tra mezzora. Devo andare.
- Cazzo! Dimmi almeno che mi farai sapere dove sei, che ci scriveremo.
Le parole si inceppavano sulla lingua, mi accorsi che stavo singhiozzando.
- Dai, non fare il pirla. - disse - Mica muore nessuno. Nessuno muore mai per sempre, lo sai bene.
Mi abbracciò, ci stringemmo per un lungo momento, stavo tremando.
Si alzò e aprì la porta sulla strada: una folata di vento gelido spinse manciate di neve, lucide come perle, che si sciolsero sul parquet bruno dell’ assito.
Si voltò un attimo e mi sorrise con calore, strizzandomi l’ occhio.
Mi svegliai tremante, avevo sparso le coperte al pavimento, ero gelido e in un bagno di lacrime, mi sentivo solo e sperso come abbandonato nel mezzo di in un deserto.
Sedetti sul letto con addosso una gravida sensazione di disagio e inquietudine, mi accesi una sigaretta per radunare le idee, la sveglia sul comodino segnava le cinque del mattino, fuori dalle finestre continuava la notte. Era stato solo un sogno grazie a Dio: alla fine questa storia della sparizione del mio amico mi stava turbando, benché non lo ammettessi.
Mi rimisi con la testa al cuscino, cercai di calmarmi facendo il vuoto mentale, dopo una mezzora ripresi a dormire.
Il telefono sul comodino prese a squillare, lo fece diverse volte prima che riuscissi a svegliarmi da quel torpore che mi rincoglioniva,[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif] la sveglia segnava le otto e quaranta.[/font]
La casa era vuota, ero solo e il trillo giungeva amplificato, poiché alla linea erano collegati i due apparecchi
dell' abitazione
Sollevai la cornetta e udì una voce femminile concitata che cercava il mio nome: era la madre di Giulio.
Confermai di essere io al telefono e la salutai: - Buongiorno signora, avete trovato Giulio? - chiesi immediatamente.
Nelle parole impastate di lacrime, la sua risposta rauca suonò come una deflagrazione nella cornetta: - L’ ha trovato Marco questa notte. Era nella sua soffitta. Giulio è morto.
Poi il mio urlo straziante fermò il tempo dell’ universo e svuotò i colori del mondo.
Fine.
La Sampo Pt. 17
Sedetti in fronte a lui, aveva il capo avvolto nel fumo azzurro della sigaretta.
In silenzio finì di bere il suo caffè, poi raccolse col cucchiaino la panna residua nel fondo della tazza e lo ripulì con le labbra.
Nell’ osservarlo da vicino, come era accaduto nel nostro ultimo incontro, notai l’aspetto stanco e tirato del volto. Quel ragazzo esagerava con gli stravizzi, doveva darsi una calmata o non sarebbe arrivato ai trent’ anni.
- Allora, ti si è sgonfiata quella faccia tipo culo di scimmia? - disse con un sorriso beffardo.
Mi passai una mano sulla guancia, avevo la pelle ispida per la barba non rasata, il gonfiore era diminuito notevolmente.
- Sì, va meglio, un paio di giorni e torno a essere ok.
- Bravo! Ora sta lontano dai dolci e vai da un cazzo di dentista a farti sistemate la bocca, che è meglio.
- Ok. Ma mi devi parlare di qualcosa o rompere le palle, tipo mia madre che mi fa la predica?
Il cameriere lasciò il mio caffè sul tavolino e si dileguò frettoloso.
- Bevi, che si fredda. - disse. - Poi parliamo. - mescolai la panna al caffè, poi iniziai a sorbire: era caldo e profumato.
- Allora, che ci fai qui a l’una di notte e di cosa dobbiamo parlare? - chiesi al termine.
- Me ne vado, parto. - disse guardandomi serio.
- Te ne vai? Ma che dici? E dove vuoi andare?
- In India. Ho trovato un passaggio da gente che va Ben Ares, la città della luce. Si va questa notte.
Restai basito. Mi parve assurdo quello che avevo sentito: pensai che mi stesse burlando.
- See! Vabbè. Vai in India questa notte. Stai cazzeggiando vero?
- Non fare il coglione, parlo sul serio. Ho deciso. Non c’è nulla che mi trattenga qui.
- Ma dai. Che stai dicendo? Guarda che ero a voler andare in India a fare il santone. Tu dovevi diventare architetto, suonare come Alvin Lee e Feliciano, sposare Lara, avere dei figli. Te ne sei dimenticato?
- No. Ma non me ne frega più niente di tutte ‘ste cose. Mi stanno appiccicate addosso come sudore nella canicola di ferragosto. Non sono più sicuro di averle volute, o se le ho accettate perché tutti si aspettavano che le dovessi scegliere. Voglio uscire da tutto questo e da questa vita, vado nella città santa a inventarmene un’ altra.
Ero spiazzato, Giulio era imprevedibile, ma questa cosa superava ogni mia fantasia.
- Ma non puoi andartene così, senza dire niente a nessuno. Ma non pensi ai tuoi, a tuo fratello, a Lara, cosa diranno, gli rovini la vita, devi almeno parlargli, avvertirli di cosa hai deciso.
Restò un silenzio, osservava la neve cadere sulla strada attraverso i vetri della finestra che guardava alla via.
- Le vedi questa neve che scende? - disse - E’ spettacolare e bellissima da guardare, cambia la percezione del mondo e delle cose che ricopre. Ma dura il tempo del freddo che la tiene in vita. Al primo sole del prossimo giorno inizierà a sciogliersi fino a scomparire, alla fine lascerà il mondo nella stessa maniera in cui l’ha trovato. La vita e le cose degli uomini sono identiche. Sembrano riempire il mondo di passioni, amori, idee e progetti, ma a confronto dell’ eternità, durano il tempo di una nevicata. Nulla di noi resta se non un ricordo. Nessuno è indispensabile alla vita degli altri. Non lo siamo neppure per noi stessi.
- Cazzo. Non eri mai stato così profondo, ti sei fatto o scoperto filosofo?
- Mi conosci davvero poco allora. - disse serio.
- Ma no. Scusami. Ho capito che parli convinto. Ma quello che dici mi ha sconvolto. Fratello, dove cazzo vai senza di me? Dammi tempo, dammi un giorno: metto in un sacco le cose da portarmi e vengo con te.
- No, frà. Dove vado non puoi venire. Tu resterai qui e spiegherai a tutti del perché sono partito.
- Non dire cazzate. Anche io non ho ragioni per restare. Partiamo insieme.
Smise di guardare verso la finestra e punto lo sguardo ai miei occhi.
- No. Tu una ragione la hai: c’è la Sampo che ti aspetta. Ti ama e tu la mai. Poi con la fatica che ho fatto a mettervi insieme, è stato il mio regalo di Natale, non ti azzardare a mollarla.
Di colpo la consapevolezza che faceva sul serio, mi aggredì con una violenza dolorosa e gelida: mi sentì stanco, svuotato, come se l’ energia vitale fosse evaporata d’improvviso. Pensare e parlare mi costava uno sforzo immane, il tempo stesso pareva aver rallentato il suo respiro. Sentivo di dover dire qualcosa, di trovare parole e argomenti per dissuaderlo da quella follia, per fermarlo, convincerlo a restare. Giulio se ne andava e ci saremo persi per sempre. Ma nulla mi veniva alle labbra, ero muto e stretto in un grumo di dolore.
Qualcosa di simile alla paura dell’abbandono del bambino mi inchiodava le membra: Giulio se ne andava e mi lasciava solo al mondo.
- Giulio, ti prego resta.
- Non posso fratello, mi aspettano tra mezzora. Devo andare.
- Cazzo! Dimmi almeno che mi farai sapere dove sei, che ci scriveremo.
Le parole si inceppavano sulla lingua, mi accorsi che stavo singhiozzando.
- Dai, non fare il pirla. - disse - Mica muore nessuno. Nessuno muore mai per sempre, lo sai bene.
Mi abbracciò, ci stringemmo per un lungo momento, stavo tremando.
Si alzò e aprì la porta sulla strada: una folata di vento gelido spinse manciate di neve, lucide come perle, che si sciolsero sul parquet bruno dell’ assito.
Si voltò un attimo e mi sorrise con calore, strizzandomi l’ occhio.
Mi svegliai tremante, avevo sparso le coperte al pavimento, ero gelido e in un bagno di lacrime, mi sentivo solo e sperso come abbandonato nel mezzo di in un deserto.
Sedetti sul letto con addosso una gravida sensazione di disagio e inquietudine, mi accesi una sigaretta per radunare le idee, la sveglia sul comodino segnava le cinque del mattino, fuori dalle finestre continuava la notte. Era stato solo un sogno grazie a Dio: alla fine questa storia della sparizione del mio amico mi stava turbando, benché non lo ammettessi.
Mi rimisi con la testa al cuscino, cercai di calmarmi facendo il vuoto mentale, dopo una mezzora ripresi a dormire.
Il telefono sul comodino prese a squillare, lo fece diverse volte prima che riuscissi a svegliarmi da quel torpore che mi rincoglioniva,[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif] la sveglia segnava le otto e quaranta.[/font]
La casa era vuota, ero solo e il trillo giungeva amplificato, poiché alla linea erano collegati i due apparecchi
dell' abitazione
Sollevai la cornetta e udì una voce femminile concitata che cercava il mio nome: era la madre di Giulio.
Confermai di essere io al telefono e la salutai: - Buongiorno signora, avete trovato Giulio? - chiesi immediatamente.
Nelle parole impastate di lacrime, la sua risposta rauca suonò come una deflagrazione nella cornetta: - L’ ha trovato Marco questa notte. Era nella sua soffitta. Giulio è morto.
Poi il mio urlo straziante fermò il tempo dell’ universo e svuotò i colori del mondo.
Fine.