La Sampo Pt.12

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La Sampo Pt.12

Non vedevo l’ora che tornasse per dargli i miei regali.
I primi giorni del nuovo anno cominciavano male, pioveva e faceva un freddo porco, il mio umore era grigio come il tempo: Sampo non mi aveva chiamato per gli auguri di capodanno: non l’avevo presa bene, ci contavo molto, mi mancava come l’aria.
I pensieri erano pesanti, gravidi come le nuvole, stare solo mi affollava la mente d’ ipotesi pessimiste e fantasiose.
Mi tornava alla mente una situazione similare già vissuta al tempo della mia storia con Nella. Anche lei era partita sotto le feste da passarle al paese: era andata al sud con la famiglia da loro parenti.
Pure lei aveva promesso di chiamarmi, ma la telefonata non era mai arrivata: come Sampo avrebbe dovuto tornare dopo la Befana, ma non era rientrata. Tornò molto dopo: alla fine di gennaio.
Mai una telefonata, neppure una cazzo di cartolina per dirmi come stava o se le fosse successo qualcosa. Più di un mese senza di lei e di sue notizie.
Poi seppi che i suoi erano rientrati nelle date previste poiché dovevano tornare al lavoro, mentre lei si era fermata a prolungare la vacanza a casa dei suoi zii.
La giustificazione del suo silenzio fu che la cabina telefonica del paesino era fuori uso, disse di avermi scritto, ma la lettera, per qualche misterioso motivo, non era mai arrivata. Sostenne che era sicuramente andata perduta tra le migliaia di pacchi e corrispondenza del periodo natalizio. Volatilizzata come ogni anno avveniva nel sistema postale nazionale: si narrava di pacchi di posta rinvenuti nei cestini della spazzatura: un pratico sistema applicato da molti postini, per smaltire rapidamente le giacenze accumulate.
Era una balla: non ci avevo creduto manco un attimo.
La realtà che sospettavo era che lei aveva un cugino molto piacente: uno che praticava arti marziali, dotato di un fisico da culturista e per giunta che scopava anche da Dio.
Non a caso era stato il primo uomo di cui si era innamorata a quattordici anni e con cui aveva fatto sesso la prima volta, come mi aveva confidato molto tempo prima.
Non potevo provarlo, ma non ero così ingenuo da non pensare che il motivo di quel prolungamento di vacanza aveva un nome e un cognome: quello di suo cugino.
Ora si ripresentava una fastidiosa similitudine: Sampo era andata al paese, non dava segno di sé, ok ci stava. Solo che, come mi aveva confidato ai primi tempi del nostro “annusarci”, anche lei aveva un cugino più grande di un paio d’anni, col quale aveva flirtato quando era quattordicenne. Questo mi sollecitava la memoria allo scenario di un angosciante déjà vu.
Un’altra situazione, a base di cugini, non l’avrei sopportata.
Era ora che ‘sti cazzo di cugini si facessero una vita e una donna non consanguinea. Fanculo a loro.

Restavano i pochi giorni che precedevano l’epifania, nel primo mercoledì del nuovo anno, il telefono squillò intorno alla mezza mattina: provai un tuffo caldo in mezzo al petto, forse era lei a chiamarmi, se bene in ritardo. Mi fiondai alla cornetta dell’apparecchio prima che parisse il secondo squillo. Non era lei, ma Giulio al ritorno dalla montagna. 
- Ciao fratello, buon anno. Come ti butta? - era di umore frizzante.
- Ciao Giù, buon anno anche a te. Eh, niente. Mi butta che lei non ha chiamato e sono un po’ col barometro che segna “scazzo”. Tu invece come è andata in montagna, tutto bene?
- Sì. Che dire: abbiamo fatto un po’ di baldoria la sera del trentuno. Ci siamo ubriacati e messi a suonare e cantare come matti, seduti sulla neve fuori da un locale, alle cinque del mattino.
- Ahahaha! Chissà che piomba ragazzi!
- Puoi dirlo! Il primo dell’anno ho dormito fino alle sei e mezza di sera. Per svegliarmi e togliermi il mal di testa ho preso tre aspirine e una caffettiera di caffè amaro.
- Vabbè frà. Tanto a te, chi t’ammazza? - ridemmo di gusto.
- Così non ti ha chiamato? - chiese.
- No. Niente. Fanculo! Mi ha fatto anche incazzare. Possibile che non ci fosse un telefono pubblico lì dove sta?
- Ma dai. Va a sapere perché non ha potuto. Non mettere i carri davanti ai buoi, magari non è dipeso da lei.
- Sì. Vabbè. Se una cosa hai voglia di farla, la fai e basta.
- Ragioni male, possono esserci stati mille motivi: esempio la lontananza del posto. Che ne sai che dove alloggia, non disti dieci chilometri dal centro paese? Magari non è servito da mezzi pubblici e a meno che qualcuno non ti dia uno strappo in auto, o ti fai a piedi la statale, in mezzo alla campagna veneta, non ci arrivi.
- Dici? Beh. Mi ricordo che una vota mi aveva detto che gli zii stanno in  campagna, in effetti può essere. Non ci avevo pensato.
- Eh. Figurati se ci pensavi, paranoico come sei. Oppure ha la madre che gli tiene il fiato sul collo, standogli attaccata come una cozza allo scoglio, ovunque vada.
- Vero! Può essere. Anche qui, quando è a casa, sua madre non gradisce che i ragazzi la chiamino al telefono.
- Eh. Vedi? Bisogna anche mettersi nei panni altrui, se ci ragioni le giustificazioni per le cose ti vengono.
- Hai ragione. Mi erano venute certe fisime. Sono un po’ coglione.
- Questo è sicuro. Ma  scusa, di che fisime parli?
- Ma niente, una cosa col cugino. Ma è una cazzata, non sto neanche a raccontartela. Dai.
- Ahahahahaha!!! Non dirmi che ti è venuta la gelosia del cugino?
- Ma noo! Figurati. Che c’entra, era solo un pensiero del cazzo.
- Lo spero. Da quando in qua si possono avere sospetti strani sui cugini?
- Perché, i cugini non hanno l’uccello?
- Ma dai! Si sa che con i cugini si è come fratelli. Coi cugini non si tromba.
- Ah. No?
- No. Che io sappia coi cugini no. Anzi se sei credente è anche peccato. Io con mia cugina non penserei mai di farci qualcosa.
- Davvero?
- Certo! Perchè tu con tua cugina cosa ci faresti?
- Boh? Per la verità io con le mie due cugine ci ho fatto eccome.
- Con due cugine? Ma va. E che ci hai fatto?
- Bèh! Con la prima, che ha un anno più di me, poi con la seconda, mia coetanea, ci ho pomiciato. Con loro ho fatto pratica su come si lecca la patata.
- Ma dici davvero?
- Essì, ma non è che sia una cosa così strana eh. Succede eh.
- Succede un cazzo! Lo sai che sei un bel porco e anche incestuoso?
- No. Frena! Succede spesso da ragazzi di fare cose tra cugini.
- Eccerto! Voi terroni siete così. Cugini, zii, fratelli. In guerra ogni buco è trincea.
- Mavvàcagare! Ce c’entra l’essere terroni? Si fa anche qui al nord.
- Ovvio! Qui al nord lo fanno i terroni come te che vengono su dall’Africa.
- Senti scemo, che stronzate dici? Mi fai anche il razzista del cazzo, ora?
- Hahahahaha! Minchione! Questa delle cugine non me la avevi mai raccontata.
- Eh, capirai. Sai che notizia.
- Ahahahaha! Capito il cuginetto che faceva i servizietti al sangue del suo sangue.
- Pirla! Smettila. Piuttosto quando ci vediamo?
- Ok. Se non ho casini passo a trovarti domani pomeriggio o venerdi.
- Va bene, fai con comodo. Ciao buona giornata.
- Anche a te, terrone. Ahahahaha! Ciao!
- Fanculo! Cià!

Il giovedì mattina nevischiava, il mio umore sui sospetti riguardo a Sampo si era mitigato. In compenso, un mio molare cariato, sulla mascella destra, stava iniziando a pulsare in maniera allarmante.
In verità non era l’unico con quel problema, ne avevo un paio che presentavano i primi segni di carie: infatti, a turno, ogni tanto mi facevano vedere le stelle. Era da un po’ che non rompevano le palle, ma pareva che la tregua fosse terminata, quindi mi rassegnavo al peggio.
Dovevo decidermi a vincere il terrore del dentista, non ere più procastinabile, questa storia del mal di denti ciclico doveva terminare.
Purtroppo il solo ronzio del trapano mi faceva saltare sulla sedia, l’idea dell’ago per l’anestesia, infilato in una gengiva era terrificante: mi faceva venire in mente scene di tortura in un lager nazista.
Occorreva un atto di volontà per affrontare la poltrona odontoiatrica.
Dovevo compierlo in uno stato di estraneazione mentale: come quando in meditazione trascendentale, escludevo il mondo dalla mia percezione sensoriale.
Dovevo essere una specie di Buddha che si faceva riparare i denti in stato di perfetta meditazione.

(Continua)
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