La Sampo Pt.11

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La Sampo Pt.11



- Ti ricordi Claudia Ceretti, la biondina carina, quella che assomiglia alla Deneuve giovane.
- Sì. Certo, la Ceretti, una delle poche fighe della classe che non appartenesse al gruppo del “pollaio”, simpatica, cordiale e brava a disegnare.
- Ok. Proprio lei. Come dicevo: il giorno prima della chiacchierata con Sampo, io e lei, stavamo seduti a fianco durante le ultime due ore di figura. Eravamo al fondo dell’aula in una posizione isolata, così abbiamo potuto parlare senza nessuno tra le palle.
- Capito. E che vi siete detti?
- Molte cose. Una gran bella chiacchierata, come non ci era mai successo di fare. Sai con lei ci siamo sempre guardati con simpatia: qualche sigaretta o caffè davanti alla macchinetta automatica durante gli intervalli, ma oltre al cordiale rapporto di classe non si era mai andati.
- Bene. Perfetto! Avete approfondito l’amicizia, questo è molto bello, dopo tre anni era giusto l’ora.
- Minchione! Ma mica ti sto a raccontare una cosa importante per dirti che ho passato la mattina a entrare in confidenza con Ceretti.
- Ah! No. Allora dove cazzo ‘sta la novità?
- Testina, sta nel fatto che mi ha detto che è da molto tempo che mi osserva con interesse: gli piaccio come mi muovo, come parlo, come mi vesto, insomma gli piaccio molto.
- Ecco, gli piaci in tutto. Ottimo! Pensa solo che delusione quando gli mostrerai il cazzo e quel bagigio non sarà all’altezza delle aspettative.
- Ma va cagare! Il cazzo piccolo lo avrai tu.
- Non direi, forse ti sei scordato di quella volta che abbiamo scopato insieme con Aurora, se non sei cieco ti ricorderai che ne ho uno di tutto rispetto.
- Io non sono cieco, ma a te gli acidi hanno cotto il cervello, se non ricordi che il mio non era da meno del tuo.
- Vabbè. Ma io lo so usare meglio.
- Ma fottiti scemo. Falla finita.
- Dai facciamola breve, che cosa è successo con la Ceretti?
- É successo che poi, con un giro di parole, mi ha fatto capire che è imbarcata di me.
- Oh! Cazzo! Che trip da panico, fratello. Ma non mi dire, cosa sta succedendo? É il momento che stracciamo cuori a destra e manca. Non vorrei dire, ma andiamo come treni!
- L’hai detto! Infatti ti dicevo che abbiamo proprio gli astri scatenati sul settore sentimentale. Dopo questo episodio, il giorno appresso, succede che parlo con Sampo: mi son detto che avevamo scatenato un’epidemia di “barche” selvagge.
- Scherzi a parte, bella storia, davvero! Tu cosa le hai riposto?
- Le ho risposto la verità, che anche lei mi piaceva, ma che sto con Lara. Le ho anche detto che le cose tra noi non vanno più tanto bene. Che avevo bisogno di un po’ di tempo per riflettere e capire cosa fare.
- Chiaro. E lei che ha detto?
- Ha detto che già sapeva che non fossi libero. Che capiva la situazione, ma ci teneva a dirmi cosa sentiva. Che se anche a me, lei non era indifferente, ora potevo riflettere con calma e decidere cosa fare.
- Quindi ha detto che aspetta la tua decisione?
- Sì. Aspetta che io mi schiarisca le idee e capisca cosa voglio.
- Ok. Con Lara, la vostra storia, non pensi abbia margini di recupero?
- Non lo so. La vedo dura. Anche lei non mi sembra entusiasta di continuarla.
- Allora, cosa pensi di fare?
- Di capire, ovvio. Affrontare il problema con Lara e andare a fondo alla cosa, in una direzione o nell’altra.
- Bel casino, non vorrei stare nei tuoi panni: in bocca al lupo fratello.
- Grazie! E che crepi!
- Senti: ci vediamo dopo capodanno.
- Si dai, vengo a trovarti prima della Befana.
- Ok, allora, intanto buon Natale.
- Buon Natale anche a te e non ammazzarti di pippe pensando a Sampo.
- Ahahaha! Fanculo! Cià!

Iniziarono le due settimane di vacanze natalizie, lunghe e noiose da far passare, ero insofferente e nervoso, l’unica cosa che le riempiva era il pensiero costante di Sampo.
Contavo i giorni come un carcerato che attende l’imminente termine della pena, la mente continuamente impegnata a sognare a occhi aperti le situazioni e le cose da fare con lei.
Le notti erano un tormento nel quale rivivevo i pochi istanti del nostro incontro, cercavo di rammentare ogni frammento dei nostri dialoghi, le sue e le mie parole in ogni fase del nostro incontro.
Poi il ricordo della sua pelle calda, il profumo del suo corpo, le espressioni del viso e gli sguardi, le nostre bocche frenetiche a inseguirsi in baci ansiosi mi invadevano i pensieri: mi rivoltavo nel letto struggendomi di desiderio di lei.
Di concentrami sui libri di studio non c’era verso, rileggevo tre volte un brano prima di afferrarne il senso: era tempo perso. Tentare di distrarmi con la musica, cimentandomi in qualche nuovo brano sul piffero, produceva unicamente suoni sgradevoli ai timpani. Rumori che facevano rizzare il pelo alla gatta e generare pesanti contumelie da parte degli sfortunati uditori famigliari.

Giulio era via, Alfio, il valente percussionista del nostro futuro gruppo rock, impegnato in un saltuario lavoro di commesso nel negozio della cugina, cosa che faceva di quando in quando, per mettere da parte i soldi che gli servivano a realizzare il suo sogno: comprarsi un giorno la batteria che suonava John Bonham, conosciuto anche come "Bonzo", il mitico batterista dei Led Zeppelin.
Amici reperibili, posto che avessi piacere di vederne qualcuno, non ce n’erano: tutti sembravano aver riempito quei giorni di festa con attività gratificanti e a tempo pieno. Solo io ero l’unico rimasto a rompersi il cazzo, senza altro che la nostalgia di Sampo a riempirmi di mestizia le giornate.
Mi mancava, poiché ci appartenevamo anche quando ci lanciavamo coltelli fatti di sguardi e frasi, affilate come lame.
Poi inutile negarlo: la voglia di scoparla mi usciva dagli occhi, mi faceva un “sangue” da strurbo. Era entrata in circolo come una sostanza a un tossico, il solo pensare al suo nome mi provocava una vampata di calore all' inguine. Temevo di cadere in una sindrome di priapismo permanente.

Certe volte, sigaretta alla bocca, affrontando il freddo di quelle giornate, mi spingevo fra le vie del centro.
Mi mescolavo, vagando svogliatamente, tra passanti affrettati: c’era un continuo via vai di donne davanti agli eleganti negozi di moda femminile della via Roma.
Sondavano con lo sguardo le grandi vetrine, nella cernita dei capi più interessanti: dopo il sei gennaio sarebbero partiti i saldi di fine stagione, ognuna ambiva all’ acquistare a prezzo scontato il capo o il prodotto adocchiato
nell’ inaccessibile prezzo di vendita attuale.
In uno di quei pomeriggi, mi trovai a girovagare per la via Dei Mercanti: le piccole vetrine della “Bottega di Fulgenzi” si aprivano a metà della via.
Mi piaceva fermarmi a guardare la merce esposta, era uno dei pochi negozi che trattasse prodotti dell’artigianato etnico e indiano: piccola gioielleria in argento e lapislazzuli da pochi soldi, camice in madras e foulard con stampe batik, piccoli mandala, sacche in tela adornate di perline e specchietti, giacconi in montone rovesciato con ricami argento e dorati, infine una vasta varietà di incensini agli aromi floreali o di sandalo.
Era anche il punto nel quale i fricchettoni della città venivano a rifornirsi dell’essenza al patchouli, io non ero da meno.
Vidi un grazioso foularino in seta viola con disegni mouve e blu cobalto, i soldi che avevo in tasca erano sufficienti, sarebbe piaciuto a Sampo: era il regalo di Natale che non avevo potuto donarle, il primo che le facevo. C’era anche una piccola fedina in argento, a forma di serpe che mangiava la sua coda. Era la raffigurazione del mitico Uroboro: rappresentato come un serpente o drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine.
Il suo significato simbolico recava un messaggio che trovavo perfetto per indicare una promessa, un impegno, un disegno di futuro.
Quasi un anello di fidanzamento.


(Continua)
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