Alfio Pt. 6

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Alfio Pt. 6

Nel nostro elenco delle possibili coriste da scovare nella scuola, c’era, in terza C, tale Anna Gasstel: bionda, alta, una quinta di tette, di origine alto atesina, che però preferiva definirsi “ariana”. Suonatrice di chitarra e voce straordinaria, una che, con quella capienza toracica, poteva tenere un do di petto per due giorni di fila senza tirare fiato. Era però noto che avesse simpatie di destra: si diceva tenesse in salotto un busto del Duce e un ritratto di Hitler, questo la rendeva ideologicamente non idonea al nostro gruppo. Una corista “nazifascio” che cantava: “We Shall Overcome" di Joan Baez, si doveva ancora vedere.
Dopo quattro ore di sofferto cogitare, la nostra ricerca non dava frutto: decidemmo di prenderci una pausa di riflessione.
- Senti fratello, - disse Giulio, - dato che al momento, da questo spremerci le meningi, non ne esce niente: diamo un senso a questo pomeriggio con qualcosa di più utile. Sai che facciamo? Ora ce ne andiamo in centro, in piazza Castello: ci spariamo un caffè da “Mulassano”, poi si va da “Maschio” e mi compro un set di corde in nylon per la chitarra. -
Mulassano era il famoso bar storico sotto i portici di piazza Castello, dove, ogni mattina, tra marmi pregiati, oro zecchino e ricche boiserie d’arredo, sorbiva il suo caffè, anche il grande Camillo Benso Conte di Cavour.
Mentre Maschio era un negozio di dischi e strumenti musicali, anch’esso sotto il portici della piazza, possedeva quattro grandi vetrine e si sviluppava su tre piani di un palazzo d’epoca.
Le due vetrine principali esponevano sempre pianoforti Steinway a coda di una austera eleganza, nonché le più recenti tastiere elettroniche Hammond. All’interno si trovavano reparti con strumenti a corda, a fiato o percussione, nonché pubblicazioni di spartiti musicali: intere partiture di opere classiche, fino alle ultime canzonette di musica leggera.
Era sempre invaso da una fiumana ininterrotta di clienti in cerca di strumenti, dischi, o solo buttare un occhio alle novità in uscita, ma era soprattutto il tempio del vinile a 45 e 33 giri.
Vi era, inoltre, la possibilità di ascoltare in anteprima il contenuto dei dischi senza obbligo d’acquisto.
Il negozio era dotato, sul tipo di quelle telefoniche pubbliche, di quattro cabine insonorizzate, munite di piatto stereo su cui far girare il vinile prescelto e ascoltarne, in cuffia o negli altoparlanti, il contenuto.
Anche per questo motivo Maschio era la meta di tutti i musicofili e i fricchettoni della città: ci trascorrevano interi pomeriggi, ascoltando per ore, gratuitamente, i loro idoli musicali su microsolco.
Quando vi entravi, ti immergevi in una variegata umanità, giovane, colorata e festosa, non di rado sentivi anche parlare straniero: si respirava quell’ aria vivace e internazionale da grande metropoli europea. Si respirava anche il fumo stagnante delle canne fatte, potevi entraci lucido e uscirne “stonato” come un tossico, senza spendere una lira di shit.
Vi trascorremmo almeno due ore, Giulio trovò le corde che cercava, mi spiegò di aver letto che, le corde in nylon, montate sull’ Ovation gli conferivano un suono tondo e caldo, quasi setificato, esaltando le qualità armoniche dello strumento.
Poi scegliemmo due long playng da sentire in cabina prova, che erano appena usciti e si prospettavano parecchio interessanti: “Between Nothingness & Eternity” di tale John McLaughlin, col suo gruppo chiamato: Mahavishnu Orchestra, di cui avevamo sentito dire un gran bene, l’altro era “The Dark Side of the Moon", apparteneva ai Pink Floyd, della cui qualità eravamo certi.
Come fummo chiusi nella cabina, Giulio tirò fuori il mangianastri dal suo tascapane, aveva già su una cassetta da 120 minuti.
Vedendo la mia espressione interrogativa, mi strizzò l’occhio e fece cenno di tacere col dito sulle labbra.
Perplesso chiesi: - Ma cosa vuoi fare? Registrare le puzzette che facciamo qui dentro mentre ascoltiamo i dischi? -
- Sei proprio di neurone tardivo. - rispose - Voglio registrare i due i “padelloni”. Anzi, mettiti spalle alla porta e coprimi i vetri, che, se da fuori si accorgono, ci fanno circumnavigare la piazza a calci in culo. -
- Eh, cazzo! Ma è proibito registrare musica così, questa è pirateria musicale. Sai che figura di merda facciamo se ci beccano? - dissi allarmato.
- Senti, Maria Goretti, non è che facciamo notte a rifare ‘sta registrazione.Vedi di tappami ‘sto cacchio di vetro e stai muto. Oppure Se ti brucia: caccia trentamila lire e ci compriamo i due dischi. Altrimenti taci e non rompere. -
Registrammo. In effetti i due dischi erano una figata: i Pink una conferma di bravura e quel McLaughlin, una vera promessa di cui si sarebbe parlato a lungo.

Due mattine dopo, a scuola, durante l’intervallo, nel corridoio trovammo Arianna davanti alla macchinetta del caffè: glielo offrimmo e restammo a scambiare due chiacchiere.
Con lei l’anno prima avevamo avuto, per un certo periodo, una storia sentimentale comune: una sorta di amore libero a tre, tipo: “Jules e Jim” del film di Truffaut.
La cosa era durata due mesi o poco più, anche perché la bella Arianna era instabile sentimentalmente: ne passava uno nuovo ogni mese, con noi era giunta al bimestre giusto perché eravamo in due.
A ogni buon conto i nostri rapporti erano rimasti ottimi, una solida e confidenziale amicizia, il fatto che avessimo scopato tutti insieme aveva cementato il nostro legame.
Tra un discorso e l’altro le narrammo del nostro progetto di fare musica, lei che era di animo positivo e facile all’entusiasmo, si mostrò elettrizzata dalla novità.
Volle conoscere ogni particolare: che genere di musica contavamo di fare, quanti eravamo nel gruppo, che tipo di strumenti avevamo? Alla fine si cadde anche sull’aspetto vocale e chi sarebbe stata la voce del gruppo: qui venne fuori il problema della corista di cui eravamo alla ricerca, tant’è che le chiedemmo se avesse qualche amica o conoscente che potesse fare al caso nostro.
- Ma quale amica o conoscente? - disse. - Qua ci sono io che posso cantare! -
Cascammo letteralmente dal pero. Sapevamo di quali virtù e capacità tecniche fosse dotata, ma in verità non ci aveva mai sfiorato l’idea che possedesse anche doti canore.
- Cazzo! Ma davvero tu canti? E da quando? - Chiedemmo stupiti.
- Ma certo che canto! Modestamente mi considerano la Janis Joplin di Torno sud. Canto e anche bene, potete dirlo forte. -
Eravamo basiti - Ma scusa, con tutto il tempo che abbiamo passato insieme, non ci hai mai detto che sapesi cantare. -
- Certo, che non ve l’ho detto. Quando giravamo insieme, non mi avete mai fatto aprire la bocca per cantare. -
Questo era vero, si faceva di tutto per tenergli la bocca impegnata in altro, anche perché era una indomita logorroica, capacissima di parlare per ore, fino a sfinirti.
A quel punto, considerammo che potesse essere dei nostri, bastava solo provare insieme qualche pezzo per testare la fattibilità della cosa.
Felici di quella fortunata soluzione, concordammo un incontro: avremmo fatta una piccola jam session con la band al completo: lei, Giulio, Alfio e io. Una cosina per entrare in confidenza tra noi e col repertorio: qualche cover famosa e qualche pezzo nostro, tanto per rodare il motore della formazione, come fare qualche giro di prova, prima di fissare un programma organico del lavoro da compiere.

In prima battuta si era pensato di riunirci nella soffitta di Giulio per la nostra reunion, ma in effetti era troppo angusta, in quattro più gli strumenti non ci si stava, il solo armamentario di Alfio bastava a riempirla, inoltre l’ambiente aveva un’acustica di merda.
Alfio, pur essendo figlio unico di madre vedova, aveva una cugina di una decina d’anni più vecchia di lui, con la quale esisteva un rapporto più che fraterno.
Sua cugina col marito, possedevano uno dei negozi di elettrodomestici più grande e attrezzato della città.
Il negozio possedeva un enorme magazzino con numeroso spazio disponibile, in uno spirito di collaborativo do ut des, ottenemmo il permesso di accedere al magazzino nelle giornate domenicali per le nostre prove musicali.
L’accordo prevedeva che non sfiorassimo neppure per sbaglio, gli imballi di prodotti in vendita impilati su bancali e scaffali inoltre dopo ogni sessione di prove, ramazze alla mano dovevamo spazzare a fondo i seicento metri quadri del capannone.
L’accordo era equo e anche l’acustica non era così male.

(Continua)
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