Pacco 14 Scrivete un racconto ambientato in una fattoria. Qualsiasi racconto, basta che ci sia una fattoria. Autrice: la sottoscritta. Editing: @Ippolita, che ringrazio per avermi insegnato, anche questa volta, cose importanti.
Nel cuore della notte Vira si sveglia di soprassalto, tormentata dagli incubi. Di nuovo loro, maledette bestiacce. Gliel’aveva detto al marito, intimato persino con la voce grossa, di porre fine a quella follia. Le avesse dato retta una sola volta.
Doveva essere un nuovo inizio, di quelli che cambiano la vita e al meglio. Un paese tranquillo, lontano dal caos cittadino. Una casetta nel verde, cibo salutare, aria buona e loro due, pensionati: le serate davanti al camino con il bicchiere di rosso e il crepitio allegro in sottofondo. Ma la realtà si stava rivelando ben diversa.
Vira allunga una mano sul cuscino del marito, ancora intatto. Maledette bestiacce. Cosa hanno che lei non ha? Appagano forse il marito come il suo corpo ancora caldo, nonostante l'età? Certo che no. Eppure, a causa loro, la trascura da tanto tempo.
– Se anche tu ci avessi dato da mangiare, o accarezzato con tutto l'amore che lui ci mette, forse ti desidererebbe ancora.
Vira si morde le labbra fino a farle sanguinare e ficca le unghie nel cuscino. No, non possono essere loro. Ma più ci pensa, più si rende conto che era soltanto una questione di tempo prima che succedesse. Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che incolpare le bestie per aver fatto uscire di senno suo marito e ora è costretta a pagare il prezzo della propria ossessione.
– Perché noi siamo importanti, per lui. È un fattore eccellente. Da quando c’è lui, qui tutto funziona al meglio. Di cosa ti lamenti, stupida? Perché, invece di parlare, non lo aiuti nel suo lavoro?
È tutto nella mia testa. No, non la sento davvero, questa maledetta voce. Vira si gira da un lato, poi da un altro, ma non vede nessuno, eccetto l'ombra della tenda che si alza dal parquet sospinta in avanti dall'aria fresca. Si alza e chiude la finestra. Non si era neppure accorta di averla lasciata aperta. E se la voce provenisse da fuori?, si domanda. Forse è uno dei ragazzini del paese che si diverte a fare scherzi.
«Giuse', ne hai ancora per molto?» Vira chiama il marito e si affaccia nel corridoio convinta di aver udito i passi dell'uomo. Ultimamente deve assicurarsi anche di notte che gli animali stiano al caldo e che abbiano da mangiare e da bere. Anche loro — le ha spiegato con calma l'altra mattina — hanno bisogno di costanti attenzioni, proprio come noi umani. Maledette bestiacce. E maledetta lei che non riesce ancora a esprimere a parole tutto il suo dispiacere.
Il marito non risponde. Vira si rintana sotto le coperte e spegne la luce. Il sonno però non ritorna e per richiamarlo all'ordine la donna inizia a contare le pecore. No, le pecore no. Tanto è inutile, pensa beffarda: qualcuno ha già pensato a contarle tutte prima di rinchiuderle nella stalla al ritorno dal pascolo. Maledette bestiacce. Vengono sempre al primo posto.
Al mattino seguente, mentre si dirige ancora assonnata verso la cucina, Vira sente la porta di casa sbattere con fragore. In lontananza, rimbomba la voce del marito. Tra le parole mugugnate tra i denti ne individua soprattutto due: città e spesa. Come al solito, a lei porterà inutili cianfrusaglie; agli animali, invece, sacchi stracolmi di mangime perché hanno bisogno di crescere.
«Con tutti i soldi che spendiamo per quelle bestiacce, non ci resteranno che briciole» mormora Vira con stizza. Apre la credenza e tira fuori un grosso barattolo.
«Giuse', ricordati di comprare il caffè, quello che rimane non basta nemmeno per una cucchiaiata. Avessi dato retta a mio padre, a quest'ora avrei anch'io la patente.» Il marito tace. Se gli avesse chiesto di prendere qualcosa per le sue scrofe, le avrebbe risposto eccome, e anche di corsa.
«Anche il pane manca, Giuse'. Quello, magari, lo faccio io, è più buono. Abbiamo almeno la farina? Te l'avevo appuntata sulla lista della spesa la scorsa settimana.»
La moka sul fuoco inizia a sussultare. Vira spegne il gas e, aiutandosi con una presina, sposta la caffettiera sul tavolo su cui ha già preparato le tazzine. Le riempie entrambe e si siede su uno sgabello.
«E ricordati anche lo zucchero, la prossima volta! — grida prima di avvicinare la tazza bollente alle labbra — «Fa proprio schifo, Giuse'.»
Ma Giuseppe non risponde.
– Muuu-muuu. Bee-bee. Muuu-muu! Bee-bee! Hi-ho. Hi-ho! Coccodè-coccodè!
Vira si muove per la casa tappandosi le orecchie. Dalla finestra aperta ad angolo, come ovattata, giunge la voce del marito che rincorre una gallina in fuga. Sa che si tratta di lei non solo per l'imprecazione colorita che scappa all'uomo — e, da quando gestisce la fattoria, non è neppure la prima volta —, ma perché la chiama proprio per nome: Gala.
Giuseppe è furioso: la donna lo intuisce dal tono che usa, e non solo con la fuggitiva. Deve avere qualche problema anche con una delle mucche, sempre se Vira ha capito bene: forse ha smesso di dare il latte o ha la diarrea. Prima, almeno, quando vivevano in città, parlavano tra loro dei rispettivi lavori o degli amici comuni. Ora quelle maledette bestie sono l'unico argomento che interessa al marito.
Se non è occupato a tosare le pecore, raccoglie le uova e cerca eventuali compratori — ma a sfamare prima la famiglia non ci pensa nemmeno —, e se non sono le uova a tenerlo occupato, sono i maiali — e pare che neppure si accorga della loro puzza —, e se non sono i maiali, sono i recinti da aggiustare — ma se il tetto della casa cade a pezzi non è affar suo —, e se non sono i recinti, quel marito sgangherato che si trova tra i piedi inventerà un'altra scusa, e poi un'altra ancora, fino alla nausea.
– Muuu-muuu! Bee-Bee! Muuu-muuu!
«Basta, eh! Non ne posso più! Giuse', ho detto basta!»
Le grida di Vira scuotono le pareti, ma il marito non la sente o, semplicemente, fa finta di non sentirla. La donna afferra la giacca dall'attaccapanni nel corridoio ed esce fuori sbattendo la porta.
«Giuse', la cena è pronta.»
Dal soggiorno arriva il solito silenzio: se in casa ci fosse davvero la pace, non le dispiacerebbe nemmeno.
«Giuse', sbrigati, per piacere, altrimenti si raffredda tutto. Stasera roba leggera. Così non ingrassiamo.» Tanto, dice tra sé mordendosi le labbra, è più importante che ingrassino loro. Maledette bestiacce.
Vira sistema il tovagliolo sulle gambe e porta la forchetta alla bocca. Troppo duro, il riso. Avrebbe dovuto cuocerlo qualche minuto in più, ma il fornello si è guastato. Un attimo prima scaldava, quello dopo — puff — era un ghiacciolo. Secondo Vira si tratta di un guasto serio, perché anche la casa è diventata fredda e silenziosa come se fosse abbandonata o caduta in rovina.
«Giuse', quando finisci i tuoi compiti di fattore, devi dare un'occhiata alla caldaia. Secondo me si è rotta.»
Vira manda giù a fatica il boccone mentre gioca con la forchetta a indovinare un chicco più commestibile dell'altro. Se avesse avuto almeno un goccino di olio d'oliva, il riso scivolerebbe nello stomaco con rapidità e sarebbe anche più saporito. Odia doverlo ammettere, ma è da un bel po' di tempo che le loro cene sono diventate tristi, insipide. Ora persino gelate.
Possibile che il marito non se ne accorga e non gli importi nemmeno? Se potessero parlare come prima, senza ricorrere alla voce grossa, di certo glielo chiederebbe. Non è più il Giuseppe di cui si era innamorata da ragazzina. Giuse', che non la considera se non quando deve lavargli i vestiti o rammendare le calze, preferisce parlare con le bestie.
Vira raccoglie i piatti e li porta nel lavandino. L'acqua comincia a sgorgare, spazzando via quel poco di sporcizia, prima di soffocarsi nel rubinetto. Spazientita, Vira gira la manovella a destra e a sinistra, poi di nuovo a destra e a sinistra, perdendosi nel rumore cupo delle ultime gocce che rimbalzano prive di energia. Non fa in tempo a lamentarsi con il marito, che tutt'intorno diventa buio. Vira sospira, ma è più di un sospiro di sollievo. Della perenne frustrazione con cui ha convissuto a lungo non è rimasta che una traccia flebile.
«Vira, non c'è luce! Mi hai sentito? Non c'è più luce e ho il telefono quasi scarico. Cosa hai fatto al contatore? Vira, dove sei? Ma perché non rispondi quando ti chiamo? È saltata la luce proprio mentre stavo dando da mangiare ai maialini e ora, per colpa tua, perderò un'altra vita. E altri gettoni che ho acquistato la scorsa settimana. Vira, Vira! Disgraziata!»
Per un attimo le labbra della donna si schiudono in un sorriso amaro, per allargarsi poi in un ghigno soddisfatto. Se lei ha freddo ed è al buio, anche le maledette bestiacce saranno nelle stesse condizioni. Tutto quadra. O meglio, tutto torna. Ben gli sta, a suo marito e a quella dannata fattoria virtuale con cui gioca da mesi.
«Giuse'… Le bollette, non abbiamo pagato le bollette.»
Nel cuore della notte Vira si sveglia di soprassalto, tormentata dagli incubi. Di nuovo loro, maledette bestiacce. Gliel’aveva detto al marito, intimato persino con la voce grossa, di porre fine a quella follia. Le avesse dato retta una sola volta.
Doveva essere un nuovo inizio, di quelli che cambiano la vita e al meglio. Un paese tranquillo, lontano dal caos cittadino. Una casetta nel verde, cibo salutare, aria buona e loro due, pensionati: le serate davanti al camino con il bicchiere di rosso e il crepitio allegro in sottofondo. Ma la realtà si stava rivelando ben diversa.
Vira allunga una mano sul cuscino del marito, ancora intatto. Maledette bestiacce. Cosa hanno che lei non ha? Appagano forse il marito come il suo corpo ancora caldo, nonostante l'età? Certo che no. Eppure, a causa loro, la trascura da tanto tempo.
– Se anche tu ci avessi dato da mangiare, o accarezzato con tutto l'amore che lui ci mette, forse ti desidererebbe ancora.
Vira si morde le labbra fino a farle sanguinare e ficca le unghie nel cuscino. No, non possono essere loro. Ma più ci pensa, più si rende conto che era soltanto una questione di tempo prima che succedesse. Nelle ultime settimane non aveva fatto altro che incolpare le bestie per aver fatto uscire di senno suo marito e ora è costretta a pagare il prezzo della propria ossessione.
– Perché noi siamo importanti, per lui. È un fattore eccellente. Da quando c’è lui, qui tutto funziona al meglio. Di cosa ti lamenti, stupida? Perché, invece di parlare, non lo aiuti nel suo lavoro?
È tutto nella mia testa. No, non la sento davvero, questa maledetta voce. Vira si gira da un lato, poi da un altro, ma non vede nessuno, eccetto l'ombra della tenda che si alza dal parquet sospinta in avanti dall'aria fresca. Si alza e chiude la finestra. Non si era neppure accorta di averla lasciata aperta. E se la voce provenisse da fuori?, si domanda. Forse è uno dei ragazzini del paese che si diverte a fare scherzi.
«Giuse', ne hai ancora per molto?» Vira chiama il marito e si affaccia nel corridoio convinta di aver udito i passi dell'uomo. Ultimamente deve assicurarsi anche di notte che gli animali stiano al caldo e che abbiano da mangiare e da bere. Anche loro — le ha spiegato con calma l'altra mattina — hanno bisogno di costanti attenzioni, proprio come noi umani. Maledette bestiacce. E maledetta lei che non riesce ancora a esprimere a parole tutto il suo dispiacere.
Il marito non risponde. Vira si rintana sotto le coperte e spegne la luce. Il sonno però non ritorna e per richiamarlo all'ordine la donna inizia a contare le pecore. No, le pecore no. Tanto è inutile, pensa beffarda: qualcuno ha già pensato a contarle tutte prima di rinchiuderle nella stalla al ritorno dal pascolo. Maledette bestiacce. Vengono sempre al primo posto.
Al mattino seguente, mentre si dirige ancora assonnata verso la cucina, Vira sente la porta di casa sbattere con fragore. In lontananza, rimbomba la voce del marito. Tra le parole mugugnate tra i denti ne individua soprattutto due: città e spesa. Come al solito, a lei porterà inutili cianfrusaglie; agli animali, invece, sacchi stracolmi di mangime perché hanno bisogno di crescere.
«Con tutti i soldi che spendiamo per quelle bestiacce, non ci resteranno che briciole» mormora Vira con stizza. Apre la credenza e tira fuori un grosso barattolo.
«Giuse', ricordati di comprare il caffè, quello che rimane non basta nemmeno per una cucchiaiata. Avessi dato retta a mio padre, a quest'ora avrei anch'io la patente.» Il marito tace. Se gli avesse chiesto di prendere qualcosa per le sue scrofe, le avrebbe risposto eccome, e anche di corsa.
«Anche il pane manca, Giuse'. Quello, magari, lo faccio io, è più buono. Abbiamo almeno la farina? Te l'avevo appuntata sulla lista della spesa la scorsa settimana.»
La moka sul fuoco inizia a sussultare. Vira spegne il gas e, aiutandosi con una presina, sposta la caffettiera sul tavolo su cui ha già preparato le tazzine. Le riempie entrambe e si siede su uno sgabello.
«E ricordati anche lo zucchero, la prossima volta! — grida prima di avvicinare la tazza bollente alle labbra — «Fa proprio schifo, Giuse'.»
Ma Giuseppe non risponde.
– Muuu-muuu. Bee-bee. Muuu-muu! Bee-bee! Hi-ho. Hi-ho! Coccodè-coccodè!
Vira si muove per la casa tappandosi le orecchie. Dalla finestra aperta ad angolo, come ovattata, giunge la voce del marito che rincorre una gallina in fuga. Sa che si tratta di lei non solo per l'imprecazione colorita che scappa all'uomo — e, da quando gestisce la fattoria, non è neppure la prima volta —, ma perché la chiama proprio per nome: Gala.
Giuseppe è furioso: la donna lo intuisce dal tono che usa, e non solo con la fuggitiva. Deve avere qualche problema anche con una delle mucche, sempre se Vira ha capito bene: forse ha smesso di dare il latte o ha la diarrea. Prima, almeno, quando vivevano in città, parlavano tra loro dei rispettivi lavori o degli amici comuni. Ora quelle maledette bestie sono l'unico argomento che interessa al marito.
Se non è occupato a tosare le pecore, raccoglie le uova e cerca eventuali compratori — ma a sfamare prima la famiglia non ci pensa nemmeno —, e se non sono le uova a tenerlo occupato, sono i maiali — e pare che neppure si accorga della loro puzza —, e se non sono i maiali, sono i recinti da aggiustare — ma se il tetto della casa cade a pezzi non è affar suo —, e se non sono i recinti, quel marito sgangherato che si trova tra i piedi inventerà un'altra scusa, e poi un'altra ancora, fino alla nausea.
– Muuu-muuu! Bee-Bee! Muuu-muuu!
«Basta, eh! Non ne posso più! Giuse', ho detto basta!»
Le grida di Vira scuotono le pareti, ma il marito non la sente o, semplicemente, fa finta di non sentirla. La donna afferra la giacca dall'attaccapanni nel corridoio ed esce fuori sbattendo la porta.
«Giuse', la cena è pronta.»
Dal soggiorno arriva il solito silenzio: se in casa ci fosse davvero la pace, non le dispiacerebbe nemmeno.
«Giuse', sbrigati, per piacere, altrimenti si raffredda tutto. Stasera roba leggera. Così non ingrassiamo.» Tanto, dice tra sé mordendosi le labbra, è più importante che ingrassino loro. Maledette bestiacce.
Vira sistema il tovagliolo sulle gambe e porta la forchetta alla bocca. Troppo duro, il riso. Avrebbe dovuto cuocerlo qualche minuto in più, ma il fornello si è guastato. Un attimo prima scaldava, quello dopo — puff — era un ghiacciolo. Secondo Vira si tratta di un guasto serio, perché anche la casa è diventata fredda e silenziosa come se fosse abbandonata o caduta in rovina.
«Giuse', quando finisci i tuoi compiti di fattore, devi dare un'occhiata alla caldaia. Secondo me si è rotta.»
Vira manda giù a fatica il boccone mentre gioca con la forchetta a indovinare un chicco più commestibile dell'altro. Se avesse avuto almeno un goccino di olio d'oliva, il riso scivolerebbe nello stomaco con rapidità e sarebbe anche più saporito. Odia doverlo ammettere, ma è da un bel po' di tempo che le loro cene sono diventate tristi, insipide. Ora persino gelate.
Possibile che il marito non se ne accorga e non gli importi nemmeno? Se potessero parlare come prima, senza ricorrere alla voce grossa, di certo glielo chiederebbe. Non è più il Giuseppe di cui si era innamorata da ragazzina. Giuse', che non la considera se non quando deve lavargli i vestiti o rammendare le calze, preferisce parlare con le bestie.
Vira raccoglie i piatti e li porta nel lavandino. L'acqua comincia a sgorgare, spazzando via quel poco di sporcizia, prima di soffocarsi nel rubinetto. Spazientita, Vira gira la manovella a destra e a sinistra, poi di nuovo a destra e a sinistra, perdendosi nel rumore cupo delle ultime gocce che rimbalzano prive di energia. Non fa in tempo a lamentarsi con il marito, che tutt'intorno diventa buio. Vira sospira, ma è più di un sospiro di sollievo. Della perenne frustrazione con cui ha convissuto a lungo non è rimasta che una traccia flebile.
«Vira, non c'è luce! Mi hai sentito? Non c'è più luce e ho il telefono quasi scarico. Cosa hai fatto al contatore? Vira, dove sei? Ma perché non rispondi quando ti chiamo? È saltata la luce proprio mentre stavo dando da mangiare ai maialini e ora, per colpa tua, perderò un'altra vita. E altri gettoni che ho acquistato la scorsa settimana. Vira, Vira! Disgraziata!»
Per un attimo le labbra della donna si schiudono in un sorriso amaro, per allargarsi poi in un ghigno soddisfatto. Se lei ha freddo ed è al buio, anche le maledette bestiacce saranno nelle stesse condizioni. Tutto quadra. O meglio, tutto torna. Ben gli sta, a suo marito e a quella dannata fattoria virtuale con cui gioca da mesi.
«Giuse'… Le bollette, non abbiamo pagato le bollette.»