https://i.pinimg.com/originals/3a/b4/e0 ... 9c89b0.jpg fotografia di Stephen Moriarty
Mentre fletteva le dita irrigidite dall’artrosi, osservò il via vai di gente sul marciapiede. Gli occhi quasi ciechi distinguevano solo un turbinio sfocato di sagome in movimento, con qualche sciarpa o berretto di una tinta vivace a interrompere la monotonia. La maggior parte delle persone tirava dritto, qualcuno lo scansava automaticamente senza alzare gli occhi, altri si spostavano apposta, voltando la testa verso la visione forse più interessante del negozio di borsette di fronte. Due scarpe rallentarono un istante, e il vecchio poté quasi immaginare l’espressione di vaga compassione — o forse di sollievo per non essere al suo posto — dipinta sul volto sfocato che lo sovrastava. Nessuna nuova stella però andò ad aggiungersi al cielo desolato della sua custodia.
Prese un sorso dal cartone di vino che teneva nascosto dietro la schiena, si asciugò un rivolo dalle labbra e lo rimise via. Lo beveva solo per scaldarsi un po’, o almeno era quel gli piaceva credere. La temperatura stava calando in fretta, e presto non gli sarebbe stato più possibile trascorrere ore intere a suonare sul marciapiede.
Cercò di scacciare le immagini del rifugio per senzatetto, con l’odore aspro di miseria e disperazione che ammorbava il dormitorio e avvelenava perfino i sogni. Più dell’odore o della compagnia lo spaventava però l’impossibilità di continuare a esercitarsi senza venire sommerso da prese in giro o richieste stizzite di fare silenzio. E se non poteva suonare, non gli restava nient’altro.
Una parte di lui sperava ancora di trovare una soluzione diversa, anche se negli ultimi tre anni non ci era riuscito. Un’altra parte, quella a cui ultimamente correvano più spesso le sue speranze, immaginava che dovesse esistere un Dio benevolo anche per i vecchi musicisti falliti, che l’avrebbe reclamato prima che lo facesse l’ospizio dei poveri.
Mentre si riaggiustava la chitarra sulle ginocchia, una donna impegnata a parlare al telefono quasi gli finì addosso, ma lui non mosse un muscolo: se l’avesse davvero investito forse si sarebbe sentita abbastanza in colpa da lasciare un paio di euro; un altro brick di vino dal discount dietro l’angolo, forse addirittura un panino al prosciutto…
Il suo stomaco brontolò a quel pensiero, ma lo ignorò e si grattò invece la barba grigia e ispida, che era insieme maschera e biglietto da visita: “se anche non vi interessa la mia musica, abbiate rispetto per questi peli bianchi arruffati, per questo angolino di marciapiede che è casa mia, perché lo uso per fare l’unica cosa che mi mantiene vivo”.
Fletté le dita ancora una volta e accarezzò le corde, attaccando un nuovo brano, uno dei suoi preferiti: Gute Nacht, dal Winterreise di Schubert. Lo sentiva in qualche modo affine: anche lui di tanto in tanto sognava di essere un viandante, di partire alle soglie dell’inverno e lasciare tutto dietro di sé, solo per il bisogno di andare. Ma la verità era che le sue gambe non l’avrebbero portato nemmeno fino alla fine della città, e non aveva alcuna ragazza a cui scrivere sulla porta buona notte prima di lasciarla. L’unica che aveva amato abbastanza da sposare, nei tempi felici in cui la sua carriera di concertista era all’apice, se l’era lasciata indietro molto tempo prima, senza nessun biglietto. Sua moglie di certo ne era stata sollevata: negli ultimi tempi non faceva che dirgli che non voleva un ubriacone puttaniere come padre per sua figlia.
In ogni caso, non c’era niente di romantico nel passare da un ponte a un ospizio, cantando agli angoli delle strade per racimolare quel tanto da sopravvivere. Forse per questo, nonostante la sua voce fosse ancora passabile, solo un po’ arrochita dal fumo e dalla mancanza di esercitazione, non se la sentiva di cantare. Le uniche frasi che pronunciava in un giorno erano di solito “Dio la benedica” o “Può metterci altri 50 centesimi di prosciutto?”
La chitarra poi non era lo strumento migliore per la musica classica, ma trascinarsi in giro un pianoforte era fuori discussione, sempre che avesse potuto permettersene uno.
Aveva rimediato la chitarra da un’associazione di beneficenza, insieme al cappotto sporco che portava da tre anni. Alla sorte non si guarda in bocca, quindi aveva imparato a suonarla, adattando il proprio repertorio e aggiungendo qualche canzone moderna. Per fortuna a quell’epoca la sua vista gli permetteva ancora di leggere gli spartiti. Ormai doveva accontentarsi di quel che sapeva già a memoria.
Molti però non riconoscevano nemmeno la musica, lo capì dalla mancanza di gente ad ascoltare o di monete che cadevano.
Mentre attaccava la seconda strofa del lied però dei passi fermarono, e poco dopo una donna iniziò a cantare. Anche se non la vedeva bene in faccia, la voce da soprano era quella di una donna matura, un po’ roca e incerta, ma si capiva che doveva aver studiato canto.
Fu tanto sorpreso che la sua mano si fermò, facendo stonare le corde. Subito anche la donna tacque, ma non se ne andò. Il vecchio attaccò la strofa successiva e lei si unì di nuovo. Altre persone si fermarono, incuriosite: un cerchio di volti resi ancor più sfocati dal vapore del loro fiato nell’aria gelida della sera.
Udì qualche timido battimani e il tonfo di tre o quattro monete. Lui si concentrò sulla donna, che aveva allungato la mano per lasciar cadere nella custodia qualcosa che non emise alcun rumore. La voce di lei gli sembrava familiare, e aveva acceso un barlume di curiosità tra le nebbie dense della sua rassegnazione. «Aspetti, signora…» iniziò.
Lei però si stava già allontanando, senza una parola, e presto si confuse nella massa caotica di passanti e nell’alone dorato delle luci natalizie.
Era tardi, e il freddo gli rendeva sempre più difficile suonare, così radunò le monete raccolte per metterle al sicuro nel cappotto, cercando di capire al tatto se ci fosse qualche pezzo da 1 o 2 euro. Fu sorpreso nel trovare un rettangolo di carta. Dapprima trattenne il respiro, con la speranza che fosse una banconota, ma la carta era troppo liscia.
Sconcertato e un po’ deluso, lo ficcò comunque in tasca, mise la chitarra nella custodia e si alzò, barcollando sulle gambe irrigidite.
Giunto sotto il cavalcavia dove dormiva nella bella stagione, passò in mezzo ai giacigli improvvisati dei suoi “compagni di stanza” fino a raggiungere Mario, che aveva ancora una vista buona.
«Cazzarola» esclamò l’uomo, quando gli mostrò il pezzo di carta.
«Cosa? Che c’è scritto?»
«Mille euro c’è scritto. Porca miseria…»
«Mille che?»
«Non è un biglietto, è un assegno, scemo. Dove l’hai trovato?»
Il vecchio rimase senza parole, si limitò ad allungare la mano per riprenderlo. Alla sua mente si affacciò l’immagine di un uomo sporco e male in arnese che si presentava in banca per riscuoterlo. Per sua fortuna non avrebbe visto le facce diffidenti degli impiegati, ma forse si sarebbe trovato a dover convincere la polizia che gliel’avevano dato come elemosina. Sorrise, al pensiero, e a quel movimento inusuale le sue labbra si riempirono di crepe, come argilla secca.
«Se riesci a incassarlo, almeno offri da bere.»
Il vecchio mugugnò qualcosa in risposta, mentre ripensava alla donna che doveva aver lasciato l’assegno, senza riuscire a spiegarsi quel gesto.
Erano anni ormai che non frequentava donne, ed era sicuro di non averla mai conosciuta. Magari era una di quelle riccone un po’ svitate a cui piace fare regali casuali ai bisognosi. O magari aveva qualcosa sulla coscienza di cui cercava di liberarsi. C’era anche la possibilità che l’avesse lasciato cadere per sbaglio, al posto di una banconota.
Per il momento tenne via l’assegno, ma continuò a sperare che la sconosciuta tornasse. Nei giorni seguenti, mentre suonava, tenne sempre un orecchio teso a percepire passi che si fermavano. L’aria nel frattempo si era fatta più fredda e pungente, ma decise che avrebbe resistito almeno fino alla vigilia di Natale, perché era un peccato non sfruttare lo spirito natalizio, nonché l’ingrossarsi stagionale dei portafogli. Il via vai si era intensificato, così come l’esuberanza delle voci e lo splendore delle luci lungo la via, ma anche le stelle nella sua custodia erano aumentate, raggruppandosi in piccole galassie.
Da qualche parte in fondo alla strada veniva l’eco di una musica natalizia suonata al violino. Il musicista non era molto esperto, ma probabilmente era più giovane e vivace di lui, e di sicuro riscuoteva di più.
Resistette per un po’ alla tentazione di competere, ma quando un bambino disse ad alta voce che voleva sentire Bianco Natale, si rassegnò e attaccò la melodia. Fu allora che la voce si fece udire di nuovo. La piccola folla intorno a lui si girò per vedere chi cantasse, e la donna ne approfittò per venire avanti.
Il vecchio si impose di continuare a suonare, anche perché il bambino si era unito al canto, e subito dopo lo fecero un altro paio di persone. Alla fine ci furono applausi e risatine, prima che molti si disperdessero per continuare i loro acquisti.
Temendo che la sconosciuta potesse dileguarsi un’altra volta, guardò dritto verso di lei. «Signora, l’altro giorno mi ha lasciato un assegno cospicuo. Mi sentirei più a mio agio se sapessi chi me l’ha dato e perché.»
Dopo un lungo momento di silenzio, come se fosse indecisa se rispondere o meno, la donna parlò, con voce non più melodiosa ma bassa e riluttante. «Studio canto da quando ero bambina, ma senza molto successo. Forse perché non è mai stata una vera passione, era mio padre che ci teneva che imparassi. Mio figlio Lucio però è molto dotato, e sta facendo una brillante carriera come orchestrale, lo chiamano nei teatri di tutto il mondo: Vienna, New York, Londra. Ha deciso di accantonare parte dei guadagni per gli ex musicisti e cantanti in difficoltà.»
«Allora è per questo che mi ha dato l’assegno?»
Gli parve di vederla scuotere la testa. «Parlando con i vecchi musicisti in pensione, Lucio ha saputo che uno di loro aveva suonato con suo nonno e ha iniziato a fare ricerche, scoprendo che l’ultima volta era stato visto qui qualche anno fa. Ho dovuto confessargli che non era morto quand’ero piccola, come gli avevo detto, e mi ha chiesto come regalo di Natale di cercarlo.»
Il vecchio aprì la bocca per fare altre domande, ma il suo cervello rattrappito dal tempo e dal freddo tornò a funzionare e capì che non ce n’era bisogno.
«Sono venuta a cercarti solo per lui, ma dopo avere scoperto come vivevi ho pensato che forse Lucio avrebbe preferito non conoscerti. Potrò comunque dirgli in tutta sincerità che il suo assegno è andato a un vecchio musicista che ne aveva bisogno. Ne sarà contento.»
«Leonora…» mormorò, e quel nome pareva tirato fuori a forza da un cassetto del passato che credeva sigillato. Ma non trovò nient’altro per continuare, e del resto sua figlia non gli prestava più attenzione; si era alzata il bavero del cappotto e si era avviata lungo il marciapiede, confondendosi ben presto tra la folla. Stavolta lui sapeva che non sarebbe tornata.
Prese un sorso di vino e si strofinò le mani semicongelate, mentre ripensava a quelle stesse dita, con quarant’anni di meno, che pigiavano pazientemente i tasti per accompagnare i vocalizzi di una bambina di nove anni, o danzavano sul piano rincorrendo le note di Schubert. Allora era un uomo diverso, con una famiglia, una carriera e un sacco di progetti e ambizioni. Le stelle del suo cielo erano fatte di sogni, non di monete. Era un uomo che un cielo ce l’aveva ancora.
Tastò la tasca per assicurarsi che l’assegno fosse sempre lì. Con esso avrebbe potuto pagarsi un posto caldo dove passare l’inverno, cibo decente e medicine. Forse l’avrebbe fatto. Il Dio dei musicisti spiantati avrebbe dovuto attendere l’anno prossimo, prima di reclutarlo nella sua orchestra celeste.
Sgranchì le dita, tanto intorpidite dal freddo da non sentire più nemmeno il dolore, e decise di suonare un’ultima canzone prima di andare. Le corde della chitarra vibravano tremando un po’, all’unisono con la sua voce, mentre attaccava la prima di strofa di una canzone di Leonard Cohen: Anthem.
Start again/I heard them say/Don't dwell on what has passed away/Or what is yet to be.