E se sì, come combattete la solitudine e la malinconia che ne deriva?
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Mia Harper ha scritto: A voi capita?Di sentirmi solo nella scrittura? No… Sì… Nì… So… Forse sì, forse no… Più no che sì… Più sì che no… Dipende da che cosa intendi. Quando decido di scrivere, dico a mio fratello Geolier (nome inventato) "Non ti azzardare a scocciarmi mentre scrivo! Non entrare nella mia stanza! Capito, bro?" Diciamo che non voglio scocciatori o scocciatrici (care femministe, va bene così?
Mia Harper ha scritto: come combattete la solitudine e la malinconia che ne deriva?Domanda posta male perché implichi che lo stare soli mentre si scrive causi malinconia. Ma per me non è così. Riprendendo l'esempio di sopra di mio fratello Geolier, se entra a rompermi i cabbasisi, la prima reazione che ho è mandarlo a quel paese, altro che malinconia! Gli direi con la faccia truce "Why don't you go to that country, ah?" (scusa la lingua angloamericana, ma pare essere una delle pochissime [assieme allo spagnolo, all'italiano e al sardo] a essere gradita qui). Diciamo che ho una reazione di sfan… Non lo scrivo, mi autocensuro
Mia Harper ha scritto: Mi sento sola adesso che non lo sto più facendo da tanto tempo. Portate pazienzaPortare pazienza? Non ce n'è bisogno. Qui ci si confronta con persone che hanno lo stesso interesse, quindi ci si capisce. Molto più che con altri che non comprendono quello che si prova nello scrivere. E a proposito di ciò, ritornando a
Mia Harper ha scritto: la malinconianon c'è quando si scrive, ma c'è una sorta di perdita quando si conclude un capitolo di un libro. Non è facile da spiegare, ma è qualcosa simile a un lutto.
Mia Harper ha scritto: gli errori capitano anche a chi scriveHai ragione. Quando l'errore non lascia trasparire pigrizia, si può anche sbagliare. Uno sbaglio cosc(i)ente è ammissibile. Ieri una persona mi ha chiesto se è giusto "pissicologo" invece di "psicologo". Per me, in certi casi, "pissicologo" è giusto. Poi c'è la questione dell'evoluzione della lingua. Spesso mi chiedo se un errore vada considerato un errore, e quindi corretto o stigmatizzato, o un segno di evoluzione. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, i linguisti non volevano ammettere la parola "evidenziare". Dicevano "si dice solo mettere in evidenza, evidenziare è un errore!" Oggi però tutti diciamo evidenziare senza problemi e sta pure sul dizionario. Per esempio, se cerco evidenziare sul vocabolario Treccani online, trovo "v. tr. [der. di evidenza] (io evidènzio, ecc.). – Mettere in evidenza, rilevare". Niente, ormai sono un Miarperiano
Mia Harper ha scritto: A voi capita?Risposta facile: assolutamente no
E se sì, come combattete la solitudine e la malinconia che ne deriva?
Cheguevara ha scritto: Per quanto mi riguarda, mentre scrivo e/o rileggo quello che ho scritto sono in compagnia dei personaggi che ho creato, che assumono consistenza nella mia mente fino a diventare persone vive, quindi non mi sento, e non sono, solo.Bellissima risposta. Potrei (e vorrei
Silverwillow ha scritto: Il brutto semmai è doverli per forza lasciar andare, quando un romanzo è finitoSe non ho capito male, dovrebbe essere il lutto di cui parlava Emmettì sopra
dyskolos ha scritto: Se non ho capito male, dovrebbe essere il lutto di cui parlava Emmettì sopraPer me, più che di lutto, si tratta di vuoto da riempire, non con l'immediata stesura di un nuovo romanzo (per me non sarebbe possibile: ho bisogno del tempo necessario perché l'opera decanti e le sinapsi abbiano voglia di dedicarsi a costruire nuovi scenari), ma con azioni quotidiane finalizzate a riempire il tempo in precedenza, per mesi, destinato a scrivere, rileggere, limare qua e là.Non avevo mai riflettuto sul lutto di fine-romanzo. Interessante!
dyskolos ha scritto: Se non ho capito male, dovrebbe essere il lutto di cui parlava Emmettì sopraIo non lo chiamerei lutto, ma credo sia normale che finire un romanzo lasci un momentaneo senso di vuoto. Dopo aver speso mesi dietro a una storia e a dei personaggi, che si è provato a rendere quanto più reali possibile, d'improvviso finisce e bisogna farsi coinvolgere da un'altra storia.Non avevo mai riflettuto sul lutto di fine-romanzo. Interessante!
Silverwillow ha scritto: Io non lo chiamerei lutto, ma credo sia normale che finire un romanzo lasci un momentaneo senso di vuoto.Per voi che riuscite a portarlo a termine!
Cheguevara ha scritto: @Daniel P. Cioè: senti il bisogno di scrivere, ma quelli in cui scrivi sono brutti momenti? Sei sicuro che ti convenga farlo?Beh, "convenienza" credo sia un termine inappropriato per chi fa questo "mestiere"
Daniel P. ha scritto: Beh, "convenienza" credo sia un termine inappropriato per chi fa questo "mestiere"OK, ma non capisco perché tu li ritenga brutti momenti.![]()
scrivo perché sento il bisogno... ma anche perché mi viene il momento d'ispirazione come quando creo un disegno o un dipinto, una tela.
Silverwillow ha scritto: Per me assomiglia di più a un divorzio: il romanzo andrà per la sua strada e l'autore dovrà ricominciare da capo, appassionarsi ad altre idee e personaggiNon saprei perché, a livello figurato, anche alcuni divorzi mi sembrano lutti. Il lutto dovrebbe essere un sentimento complesso, o almeno così mi insegnavano all'uni nella facoltà di psicologia. Boh, comunque, sarà per questo che molti scrittori ricorrono sempre agli stessi personaggi seppure calandoli in situazioni diverse: forse non vorrebbero provare quel sentimento, in ogni caso sgradevole, di divorzio-lutto nello staccarsi da certi personaggi. Indagherò
Cheguevara ha scritto: non capisco perché tu li ritenga brutti momentiNemmeno io, ma a volte la mente umana è del tutto imperscrutabile.
dyskolos ha scritto: Nemmeno io, ma a volte la mente umana è del tutto imperscrutabile.E boh, che vi devo dire allora; leggete il mio libro e capirete