[CE2025] Un dono venuto dal bosco
Posted: Thu Aug 07, 2025 11:32 am
5 - Tramonto al castello
Con il tempo si era affezionato al proprio nome: Terentius. Gli evocava la figura di un personaggio importante del passato. Lo preferiva persino alla versione italianizzata, Terenzio, troppo comune.
Un nome unico, come si sentiva lui.
L'unico rammarico era non aver mai potuto chiedere ai genitori il perché di quella scelta: li aveva persi entrambi in un tragico incidente quando aveva solo tre anni.
Fu affidato agli zii, persone tutt'altro che affettuose. Avevano solo due grandi passioni: il gioco d'azzardo e la straordinaria capacità di sperperare l'eredità che i suoi genitori avevano lasciato per lui.
Erano gli anni delle scuole medie, una fase in cui si incontrano spesso compagni prepotenti il cui unico scopo è apparire più “fighi” degli altri.
Terentius subiva angherie quotidiane, soprattutto verbali. Le prese in giro più frequenti erano, ovviamente, riferite al suo nome:
Terentius vattelos a pigliares nel culos
Ridevano come idioti, convinti di essere spiritosi.
Fortunatamente, Terentius aveva un carattere forte. Lasciava che dicessero ciò che volevano senza battere ciglio, le loro cattiverie gli scivolavano addosso, anche se a volte lasciavano un'ombra di amarezza. La vera tristezza, però, era vedere lo squallore umano in cui vivevano i suoi persecutori.
Amava rifugiarsi nei boschi vicino a casa. Lì trovava pace e armonia, cullato dai suoni della natura.
Durante le vacanze estive intraprendeva lunghe camminate, all'interno della grande riserva naturale che si estendeva per chilometri, spesso rientrando solo a sera inoltrata. Tanto nessuno si preoccupava della sua assenza.
Un giorno si perse. Camminava da ore, ma non provava nessuna ansia. Una strana e piacevole sensazione lo avvolgeva.
Non volle usare il cellulare per orientarsi: decise di affidarsi solo al sole, al muschio sugli alberi e ai punti cardinali, come gli esploratori che aveva letto sui libri di storia.
E le sorprese non mancarono.
Dopo una lunga camminata, si trovò davanti una strada ciottolata, in leggera salita, fiancheggiata da filari di alberi. La pendenza aumentava gradualmente, finché, dopo qualche centinaio di metri, gli appare un imponente cancello in ferro battuto.
Oltre le sbarre, tra siepi scolpite e alberi dalle forme bizzarre, si intravedeva una struttura maestosa. La sagoma di una grande torre si stagliava nel cielo aranciato del tramonto.
Non poteva perdere l'occasione, estrasse il cellulare e scattò un selfie.
Il fatto che la giornata stesse per concludersi non lo turbava. I suoi zii non si sarebbero certo preoccupati. Spesso andava a dormire senza nemmeno vederli.
Solo un dubbio lo tormentava: Come torno a casa?
Fu però un dettaglio curioso a distoglierlo dai suoi pensieri: un campanello dorato, sotto il quale spiccava una targhetta con caratteri gotici:
Conte Dracula.
Un brivido. Per un attimo, pensò di essere finito in una macchina del tempo.
Non aveva molte alternative: restare lì da solo, oppure premere quel campanello misterioso.
Scelse la seconda.
Appena sfiorò il pulsante dorato, il cancello si aprì, silenziosamente.
Percorse il vialetto, un po' timoroso. Alla porta lo attendeva un signore elegante, vestito di nero, con guanti bianchi.
“Prego, si accomodi” disse con voce gentile.
Superata la soglia, si aspettava di trovare un ambiente lugubre, con arredi antichi, arazzi e candelabri.
Invece, fu accolto in un open space dai colori pastello. Luci soffuse ricreavano un'atmosfera accogliente. Al centro della stanza c'erano tappeti morbidi, scaffali pieni di libri e peluche ordinatamente disposti.
Sembrava una grande ludoteca.
Dalle scale scese un bambino molto pallido, con occhiaie profonde e pochi capelli. Indossava un grande pigiama zebrato.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Io sono Luca”
“Piacere io sono Terentius”
“Che bel nome.”
“Sei il primo che lo dice. Hai sonno? Si vede.”
“A dire il vero mi sono appena svegliato.”
“Prego, la cena è servita” annunciò il maggiordomo.
Si sedettero a un tavolo imbandito solo per loro.
Nonostante fosse lì da poco, in un ambiente che avrebbe potuto trasmettere inquietudine, Terentius si sentiva sorprendentemente a suo agio.
Arrivò il maggiordomo con un vassoio tondo con un grande coperchio a calotta. Terentius era un po' preoccupato, pensando si trattasse di qualche strano intruglio, viste le condizioni del bambino.
“Prego, a te l'onore” disse Luca.
Terentius non si fece pregare e sollevò il coperchio.
I suoi occhi brillarono come diamanti: quattro meravigliosi hamburger galleggiavano su un mare di patatine fritte.
“Wow!”
Non seppe aggiungere altro.
“Con questa cenetta ti rimetterai subito in sesto” farfugliò Terentius, con la bocca piena, masticava e si leccava le dita sporche di salsa.
Mentre beveva una bibita dal gusto familiare, che non provava da anni, notò che il piccolo padrone di casa mangiava svogliatamente: il suo hamburger era morsicato a metà e abbandonato nel piatto.
Non volle insistere, per non metterlo in imbarazzo, ma gli pose un'altra domanda:
“E i tuoi genitori?”
“Non ci sono più, li ho persi quando ero piccolo. Mi hanno lasciato il castello. Gabriel si prende cura di me.”
“Anch'io ho perso i miei, ma a me è andata peggio. Gli zii mi hanno sempre trattato male. Qui sembra una favola.”
“Già...” rispose Luca abbassando lo sguardo. “Ti va di fermarti a dormire qui? Il paese più vicino è lontano e di notte si possono incontrare strane creature...”
“Lo credo bene” sorrise Terentius. “Allora, grazie dell'ospitalità. Domani, dopo aver riposato, mi piacerebbe visitare tutto il castello e i dintorni, dev'essere un posto incantevole.”
“Beh, vedremo...” rispose Luca, sempre con voce bassa.
Gabriel accompagnò il ragazzo nella camera per gli ospiti.
“Buonanotte signorino Terentius” si congedò il maggiordomo.
Pur essendo sfinito, non riusciva a prendere sonno. Sentiva dei strani rumori provenire dal piano inferiore. E poi quella scritta sul campanello...
Si girava e rigirava nel letto finché notò la porta della sua camera semiaperta, da cui filtrava una luce fioca.
Un colpo al cuore: vide la sagoma di un bambino ai piedi del letto.
“Chi è!” urlò.
“Sono Luca. Scusami se ti ho spaventato. Non ho sonno. Che ne dici se facciamo un giretto. C'è una splendida luna.”
“Va bene, anch'io non riesco a dormire.”
Uscirono nel giardino. Luca sembrava diverso: rinfrancato, pieno di energie. Indossava un giubbotto di pelle e parlava con tono più squillante. Terentius rimase alle sue spalle. Non si sa mai che all'improvviso cercasse di mordergli la giugulare.
“Ti capita spesso di non dormire di notte?” chiese Luca.
“Ogni tanto. E tu?”
“A me molto spesso.”
“Ti porto a trovare un amico” continuò il bambino.
Attraversarono il parco e si diressero dietro le mura dalla parte opposta all'ingresso. Davanti a loro si apriva una tenuta immensa, illuminata dalla luna. Alberi maestosi si ergevano uno accanto all'altro, così alti che oltrepassavano le mura del castello.
Si fermarono su un prato. Luca si guardò attorno, poi gridò:
“Ugoooo!”
Dopo pochi istanti, un maestoso gufo si posò sulla sua spalla. Ora Terentius capiva il motivo di quel giubbotto.
“Ti presento Ugo.”
“Ma è bellissimo.”
Luca aprì il braccio e il gufo si appollaiò con grazia, ruotando la testa quasi a compiere un giro completo.
“Senti che morbide piume” disse invitandolo ad accarezzarlo.
“È vero, sono morbidissime. Ma come fai ad avere questo legame così forte?”
“Gabriel mi dice che mio padre era un falconiere e che aveva un rapporto speciale con i rapaci. Li teneva liberi, ma riusciva a comunicare con loro come se parlassero la stessa lingua. Devo aver ereditato questa sua capacità, e non solo questa...”
“Ma è fantastico, succede anche per i falchi?”
“Beh, coi falchi un po' meno. Di notte dormono.”
“Ah. Ma allora non li puoi vedere di giorno?”
Luca rimase in silenzio. In Terentius crebbe un senso di inquietudine.
“È per questo che ti fai chiamare Conte Dracula?” chiese senza troppi giri di parole.
“Già, non sopporto il sole. E, inoltre, mi nutro di sangue fresco tutte le notti. Però l'aglio e le croci non mi fanno nessun effetto. Anzi, la pizza alla marinara, con tanto aglio, è la mia preferita.”
“Mi stai prendendo in giro.”
“Allora la prossima notte potrai assistere di persona.”
La nottata volò via tra chiacchiere, risate e confidenze. Prima che arrivasse il nuovo giorno rientrarono.
Terentius non dormiva da più di ventiquattro ore e si abbandonò a un sonno profondo fino alla sera successiva.
Si svegliò affamato e trovò la tavola apparecchiata solo per lui. Mangiò con gusto tutto ciò che era stato preparato: polpette, salsicce, sformato di patate, frutta e un delizioso dolce ai lamponi.
“Luca la sta aspettando. Mi segua” disse Gabriel.
Ancora mezzo intontito. Terentius cercava di raccogliere i pensieri. Poi si ricordò di ciò che Luca aveva detto la sera prima: si nutriva di sangue fresco. Anche se pensava fosse uno scherzo, la curiosità era tanta.
“Prego, da questa parte” indicò una porta Gabriel.
Oltre la soglia, vide Luca sdraiato su un lettino, con dei tubicini infilati nel braccio, collegati a una sacca che conteneva un liquido rosso. Monitor accesi, un infermiere e un dottore supervisionavano la situazione.
L'ambiente aveva un odore pungente, simile a quello che ricordava quando era stato operato di appendicite.
Alla vista dell'amico, Luca sfoderò un sorriso che colpì Terentius dritto al cuore.
“A dopo” sussurrò il bambino. Terentius rispose con un cenno della mano.
“Prego, si accomodi di là in sala, ormai non manca molto” aggiunse Gabriel.
Terentius rimase in silenzio, ammutolito. Non capiva esattamente cosa avesse visto, ma qualcosa aveva intuito.
Fu Gabriel a rompere il silenzio:
“Deve sapere che il signorino Luca è una persona eccezionale, una vera rarità. Purtroppo, queste rarità, comprendono anche le sue malattie: una forma particolare di tumore del sangue, unita a una cronica anemia, lo costringe a ricevere trasfusioni ogni sera.”
“Non capisco... cosa significa?”
“Significa che il suo sangue non funziona. Ha bisogno di sostituirlo ogni giorno con sangue nuovo, per poter sopravvivere.”
“Nooo, mi dispiace tantissimo.”
“Come se non bastasse, soffre di un'altra patologia rarissima: una estrema sensibilità alla luce solare.”
“Cioè?”
“La sua pelle, a contatto con i raggi ultravioletti, subisce ustioni dolorose. È una condizione genetica ereditaria, di cui soffrivano anche i suoi genitori. Si dice che fossero legati anche da un grado di parentela, ma non ho mai saputo dettagli precisi. Questo spiegherebbe il comune tragico destino. Quando capirono che restava loro poco tempo, scelsero di andarsene via insieme, per porre fine alle sofferenze.”
“Li hai conosciuti i suoi genitori?”
“Certo. Persone amorevoli. Ho saputo che anche lei ha perso i genitori da piccolo.”
“Sì, ricordo solo il sorriso di mia madre che mi dava il bacio della buonanotte.”
“Si vede che questo luogo accomuna tutti. Anch'io persi i genitori da bambino e i miei tutori mi picchiavano di continuo. Scappai e vagai per mesi. Mi raccolsero nella foresta i genitori di Luca, all'epoca una giovane coppia. Devo a loro la vita. E promisi che l'avrei dedicata a loro.”
In quel momento, una voce familiare interruppe la conversazione.
“Ehi, voi due! Avete finito di chiacchierare? Stanotte mi sento proprio in forma. Andiamo a farci il nostro giretto?”
“Volentieri?” rispose Terentius, sorridendo.
Nei giorni a seguire un legame sempre più profondo unì il bambino e il ragazzo.
Luca non era mai stato così sereno nei suoi pochi anni di vita.
La presenza di Terentius fu come un dono dal cielo, o meglio, dal bosco. Quel bosco che entrambi amavano esplorare nelle passeggiate notturne.
Terentius era come entrato in simbiosi con le abitudini di Luca. Scoprì che la notte pullulava di vita. Fece incontri con animali che non aveva mai visto dal vivo: tassi, faine, ricci, volpi, ghiri, cinghiali, cervi, rospi...
Rimase incantato dallo splendore delle lucciole, dal dolce frinire dei grilli e, naturalmente, dalla fantastica compagnia di Ugo.
L'estate stava per volgere al termine, volata via senza che se ne accorgessero.
Una sera, poco prima del risveglio abituale, Terentius fu destato da un bussare alla porta.
“Avanti! ” rispose ancora assonnato
Entrò Gabriel visibilmente agitato:
“Buonasera... o buongiorno... beh, non importa. Ha per caso visto il signorino Luca?”
“No, perchè?”
“Doveva fare la trasfusione, ma non lo troviamo da nessuna parte.”
“Sarà andato a fare un giro. Vedrai che tornerà.”
“In realtà manca da diverse ore, da prima del tramonto...”
“Oh! Allora andiamo subito a cercarlo.”
“Dobbiamo trovarlo, se non fa la trasfusione, il suo fisico si indebolirà in modo pericoloso.”
Cercarono ovunque: nell'immenso parco del castello e oltre. Camminarono per tutta la notte, ma di Luca nessuna traccia.
A un tratto, Terentius ebbe un'intuizione:
“Ho un'idea! Ugooo! Ugooo!” urlò a squarciagola.
Dopo alcuni minuti, un'ombra sorvolò le loro teste. Ugo, il grande gufo planava a mezz'aria. Poi riprese il volo in direzione del bosco.
“Seguiamolo, ci sta portando da lui.”
Si addentrarono tra maestose querce secolari dirigendosi verso un promontorio che dominava la vallata.
Arrivati in cima, con il fiato corto, videro Ugo, fermo, accanto a una roccia sporgente.
Luca era lì, rannicchiato, con il volto rivolto all'orizzonte, dove il sole stava per sorgere. Sembrava dormisse.
Terentius e Gabriel rimasero immobili, in silenzio, mentre il cielo si tingeva delle prime luci del giorno.
Il grande gufo si alzò in volo e andò a posarsi sulla spalla di Terentius.
“Ahia!” gridò il ragazzo, sentendo gli artigli conficcarsi nella pelle.
Ugo li ritrasse subito per poi andare a posarsi sulla roccia. Accanto c'era il giubbotto di pelle, piegato con cura.
“Credo lo abbia lasciato per te” disse Gabriel.
Terentius lo prese e se lo infilò. Allungò il braccio e Ugo ritornò ad appollaiarsi con dolcezza.
Gabriel prese in braccio il piccolo corpo di Luca, e insieme tornarono verso il castello.
Con il tempo si era affezionato al proprio nome: Terentius. Gli evocava la figura di un personaggio importante del passato. Lo preferiva persino alla versione italianizzata, Terenzio, troppo comune.
Un nome unico, come si sentiva lui.
L'unico rammarico era non aver mai potuto chiedere ai genitori il perché di quella scelta: li aveva persi entrambi in un tragico incidente quando aveva solo tre anni.
Fu affidato agli zii, persone tutt'altro che affettuose. Avevano solo due grandi passioni: il gioco d'azzardo e la straordinaria capacità di sperperare l'eredità che i suoi genitori avevano lasciato per lui.
Erano gli anni delle scuole medie, una fase in cui si incontrano spesso compagni prepotenti il cui unico scopo è apparire più “fighi” degli altri.
Terentius subiva angherie quotidiane, soprattutto verbali. Le prese in giro più frequenti erano, ovviamente, riferite al suo nome:
Terentius vattelos a pigliares nel culos
Ridevano come idioti, convinti di essere spiritosi.
Fortunatamente, Terentius aveva un carattere forte. Lasciava che dicessero ciò che volevano senza battere ciglio, le loro cattiverie gli scivolavano addosso, anche se a volte lasciavano un'ombra di amarezza. La vera tristezza, però, era vedere lo squallore umano in cui vivevano i suoi persecutori.
Amava rifugiarsi nei boschi vicino a casa. Lì trovava pace e armonia, cullato dai suoni della natura.
Durante le vacanze estive intraprendeva lunghe camminate, all'interno della grande riserva naturale che si estendeva per chilometri, spesso rientrando solo a sera inoltrata. Tanto nessuno si preoccupava della sua assenza.
Un giorno si perse. Camminava da ore, ma non provava nessuna ansia. Una strana e piacevole sensazione lo avvolgeva.
Non volle usare il cellulare per orientarsi: decise di affidarsi solo al sole, al muschio sugli alberi e ai punti cardinali, come gli esploratori che aveva letto sui libri di storia.
E le sorprese non mancarono.
Dopo una lunga camminata, si trovò davanti una strada ciottolata, in leggera salita, fiancheggiata da filari di alberi. La pendenza aumentava gradualmente, finché, dopo qualche centinaio di metri, gli appare un imponente cancello in ferro battuto.
Oltre le sbarre, tra siepi scolpite e alberi dalle forme bizzarre, si intravedeva una struttura maestosa. La sagoma di una grande torre si stagliava nel cielo aranciato del tramonto.
Non poteva perdere l'occasione, estrasse il cellulare e scattò un selfie.
Il fatto che la giornata stesse per concludersi non lo turbava. I suoi zii non si sarebbero certo preoccupati. Spesso andava a dormire senza nemmeno vederli.
Solo un dubbio lo tormentava: Come torno a casa?
Fu però un dettaglio curioso a distoglierlo dai suoi pensieri: un campanello dorato, sotto il quale spiccava una targhetta con caratteri gotici:
Conte Dracula.
Un brivido. Per un attimo, pensò di essere finito in una macchina del tempo.
Non aveva molte alternative: restare lì da solo, oppure premere quel campanello misterioso.
Scelse la seconda.
Appena sfiorò il pulsante dorato, il cancello si aprì, silenziosamente.
Percorse il vialetto, un po' timoroso. Alla porta lo attendeva un signore elegante, vestito di nero, con guanti bianchi.
“Prego, si accomodi” disse con voce gentile.
Superata la soglia, si aspettava di trovare un ambiente lugubre, con arredi antichi, arazzi e candelabri.
Invece, fu accolto in un open space dai colori pastello. Luci soffuse ricreavano un'atmosfera accogliente. Al centro della stanza c'erano tappeti morbidi, scaffali pieni di libri e peluche ordinatamente disposti.
Sembrava una grande ludoteca.
Dalle scale scese un bambino molto pallido, con occhiaie profonde e pochi capelli. Indossava un grande pigiama zebrato.
“Ciao.”
“Ciao.”
“Io sono Luca”
“Piacere io sono Terentius”
“Che bel nome.”
“Sei il primo che lo dice. Hai sonno? Si vede.”
“A dire il vero mi sono appena svegliato.”
“Prego, la cena è servita” annunciò il maggiordomo.
Si sedettero a un tavolo imbandito solo per loro.
Nonostante fosse lì da poco, in un ambiente che avrebbe potuto trasmettere inquietudine, Terentius si sentiva sorprendentemente a suo agio.
Arrivò il maggiordomo con un vassoio tondo con un grande coperchio a calotta. Terentius era un po' preoccupato, pensando si trattasse di qualche strano intruglio, viste le condizioni del bambino.
“Prego, a te l'onore” disse Luca.
Terentius non si fece pregare e sollevò il coperchio.
I suoi occhi brillarono come diamanti: quattro meravigliosi hamburger galleggiavano su un mare di patatine fritte.
“Wow!”
Non seppe aggiungere altro.
“Con questa cenetta ti rimetterai subito in sesto” farfugliò Terentius, con la bocca piena, masticava e si leccava le dita sporche di salsa.
Mentre beveva una bibita dal gusto familiare, che non provava da anni, notò che il piccolo padrone di casa mangiava svogliatamente: il suo hamburger era morsicato a metà e abbandonato nel piatto.
Non volle insistere, per non metterlo in imbarazzo, ma gli pose un'altra domanda:
“E i tuoi genitori?”
“Non ci sono più, li ho persi quando ero piccolo. Mi hanno lasciato il castello. Gabriel si prende cura di me.”
“Anch'io ho perso i miei, ma a me è andata peggio. Gli zii mi hanno sempre trattato male. Qui sembra una favola.”
“Già...” rispose Luca abbassando lo sguardo. “Ti va di fermarti a dormire qui? Il paese più vicino è lontano e di notte si possono incontrare strane creature...”
“Lo credo bene” sorrise Terentius. “Allora, grazie dell'ospitalità. Domani, dopo aver riposato, mi piacerebbe visitare tutto il castello e i dintorni, dev'essere un posto incantevole.”
“Beh, vedremo...” rispose Luca, sempre con voce bassa.
Gabriel accompagnò il ragazzo nella camera per gli ospiti.
“Buonanotte signorino Terentius” si congedò il maggiordomo.
Pur essendo sfinito, non riusciva a prendere sonno. Sentiva dei strani rumori provenire dal piano inferiore. E poi quella scritta sul campanello...
Si girava e rigirava nel letto finché notò la porta della sua camera semiaperta, da cui filtrava una luce fioca.
Un colpo al cuore: vide la sagoma di un bambino ai piedi del letto.
“Chi è!” urlò.
“Sono Luca. Scusami se ti ho spaventato. Non ho sonno. Che ne dici se facciamo un giretto. C'è una splendida luna.”
“Va bene, anch'io non riesco a dormire.”
Uscirono nel giardino. Luca sembrava diverso: rinfrancato, pieno di energie. Indossava un giubbotto di pelle e parlava con tono più squillante. Terentius rimase alle sue spalle. Non si sa mai che all'improvviso cercasse di mordergli la giugulare.
“Ti capita spesso di non dormire di notte?” chiese Luca.
“Ogni tanto. E tu?”
“A me molto spesso.”
“Ti porto a trovare un amico” continuò il bambino.
Attraversarono il parco e si diressero dietro le mura dalla parte opposta all'ingresso. Davanti a loro si apriva una tenuta immensa, illuminata dalla luna. Alberi maestosi si ergevano uno accanto all'altro, così alti che oltrepassavano le mura del castello.
Si fermarono su un prato. Luca si guardò attorno, poi gridò:
“Ugoooo!”
Dopo pochi istanti, un maestoso gufo si posò sulla sua spalla. Ora Terentius capiva il motivo di quel giubbotto.
“Ti presento Ugo.”
“Ma è bellissimo.”
Luca aprì il braccio e il gufo si appollaiò con grazia, ruotando la testa quasi a compiere un giro completo.
“Senti che morbide piume” disse invitandolo ad accarezzarlo.
“È vero, sono morbidissime. Ma come fai ad avere questo legame così forte?”
“Gabriel mi dice che mio padre era un falconiere e che aveva un rapporto speciale con i rapaci. Li teneva liberi, ma riusciva a comunicare con loro come se parlassero la stessa lingua. Devo aver ereditato questa sua capacità, e non solo questa...”
“Ma è fantastico, succede anche per i falchi?”
“Beh, coi falchi un po' meno. Di notte dormono.”
“Ah. Ma allora non li puoi vedere di giorno?”
Luca rimase in silenzio. In Terentius crebbe un senso di inquietudine.
“È per questo che ti fai chiamare Conte Dracula?” chiese senza troppi giri di parole.
“Già, non sopporto il sole. E, inoltre, mi nutro di sangue fresco tutte le notti. Però l'aglio e le croci non mi fanno nessun effetto. Anzi, la pizza alla marinara, con tanto aglio, è la mia preferita.”
“Mi stai prendendo in giro.”
“Allora la prossima notte potrai assistere di persona.”
La nottata volò via tra chiacchiere, risate e confidenze. Prima che arrivasse il nuovo giorno rientrarono.
Terentius non dormiva da più di ventiquattro ore e si abbandonò a un sonno profondo fino alla sera successiva.
Si svegliò affamato e trovò la tavola apparecchiata solo per lui. Mangiò con gusto tutto ciò che era stato preparato: polpette, salsicce, sformato di patate, frutta e un delizioso dolce ai lamponi.
“Luca la sta aspettando. Mi segua” disse Gabriel.
Ancora mezzo intontito. Terentius cercava di raccogliere i pensieri. Poi si ricordò di ciò che Luca aveva detto la sera prima: si nutriva di sangue fresco. Anche se pensava fosse uno scherzo, la curiosità era tanta.
“Prego, da questa parte” indicò una porta Gabriel.
Oltre la soglia, vide Luca sdraiato su un lettino, con dei tubicini infilati nel braccio, collegati a una sacca che conteneva un liquido rosso. Monitor accesi, un infermiere e un dottore supervisionavano la situazione.
L'ambiente aveva un odore pungente, simile a quello che ricordava quando era stato operato di appendicite.
Alla vista dell'amico, Luca sfoderò un sorriso che colpì Terentius dritto al cuore.
“A dopo” sussurrò il bambino. Terentius rispose con un cenno della mano.
“Prego, si accomodi di là in sala, ormai non manca molto” aggiunse Gabriel.
Terentius rimase in silenzio, ammutolito. Non capiva esattamente cosa avesse visto, ma qualcosa aveva intuito.
Fu Gabriel a rompere il silenzio:
“Deve sapere che il signorino Luca è una persona eccezionale, una vera rarità. Purtroppo, queste rarità, comprendono anche le sue malattie: una forma particolare di tumore del sangue, unita a una cronica anemia, lo costringe a ricevere trasfusioni ogni sera.”
“Non capisco... cosa significa?”
“Significa che il suo sangue non funziona. Ha bisogno di sostituirlo ogni giorno con sangue nuovo, per poter sopravvivere.”
“Nooo, mi dispiace tantissimo.”
“Come se non bastasse, soffre di un'altra patologia rarissima: una estrema sensibilità alla luce solare.”
“Cioè?”
“La sua pelle, a contatto con i raggi ultravioletti, subisce ustioni dolorose. È una condizione genetica ereditaria, di cui soffrivano anche i suoi genitori. Si dice che fossero legati anche da un grado di parentela, ma non ho mai saputo dettagli precisi. Questo spiegherebbe il comune tragico destino. Quando capirono che restava loro poco tempo, scelsero di andarsene via insieme, per porre fine alle sofferenze.”
“Li hai conosciuti i suoi genitori?”
“Certo. Persone amorevoli. Ho saputo che anche lei ha perso i genitori da piccolo.”
“Sì, ricordo solo il sorriso di mia madre che mi dava il bacio della buonanotte.”
“Si vede che questo luogo accomuna tutti. Anch'io persi i genitori da bambino e i miei tutori mi picchiavano di continuo. Scappai e vagai per mesi. Mi raccolsero nella foresta i genitori di Luca, all'epoca una giovane coppia. Devo a loro la vita. E promisi che l'avrei dedicata a loro.”
In quel momento, una voce familiare interruppe la conversazione.
“Ehi, voi due! Avete finito di chiacchierare? Stanotte mi sento proprio in forma. Andiamo a farci il nostro giretto?”
“Volentieri?” rispose Terentius, sorridendo.
Nei giorni a seguire un legame sempre più profondo unì il bambino e il ragazzo.
Luca non era mai stato così sereno nei suoi pochi anni di vita.
La presenza di Terentius fu come un dono dal cielo, o meglio, dal bosco. Quel bosco che entrambi amavano esplorare nelle passeggiate notturne.
Terentius era come entrato in simbiosi con le abitudini di Luca. Scoprì che la notte pullulava di vita. Fece incontri con animali che non aveva mai visto dal vivo: tassi, faine, ricci, volpi, ghiri, cinghiali, cervi, rospi...
Rimase incantato dallo splendore delle lucciole, dal dolce frinire dei grilli e, naturalmente, dalla fantastica compagnia di Ugo.
L'estate stava per volgere al termine, volata via senza che se ne accorgessero.
Una sera, poco prima del risveglio abituale, Terentius fu destato da un bussare alla porta.
“Avanti! ” rispose ancora assonnato
Entrò Gabriel visibilmente agitato:
“Buonasera... o buongiorno... beh, non importa. Ha per caso visto il signorino Luca?”
“No, perchè?”
“Doveva fare la trasfusione, ma non lo troviamo da nessuna parte.”
“Sarà andato a fare un giro. Vedrai che tornerà.”
“In realtà manca da diverse ore, da prima del tramonto...”
“Oh! Allora andiamo subito a cercarlo.”
“Dobbiamo trovarlo, se non fa la trasfusione, il suo fisico si indebolirà in modo pericoloso.”
Cercarono ovunque: nell'immenso parco del castello e oltre. Camminarono per tutta la notte, ma di Luca nessuna traccia.
A un tratto, Terentius ebbe un'intuizione:
“Ho un'idea! Ugooo! Ugooo!” urlò a squarciagola.
Dopo alcuni minuti, un'ombra sorvolò le loro teste. Ugo, il grande gufo planava a mezz'aria. Poi riprese il volo in direzione del bosco.
“Seguiamolo, ci sta portando da lui.”
Si addentrarono tra maestose querce secolari dirigendosi verso un promontorio che dominava la vallata.
Arrivati in cima, con il fiato corto, videro Ugo, fermo, accanto a una roccia sporgente.
Luca era lì, rannicchiato, con il volto rivolto all'orizzonte, dove il sole stava per sorgere. Sembrava dormisse.
Terentius e Gabriel rimasero immobili, in silenzio, mentre il cielo si tingeva delle prime luci del giorno.
Il grande gufo si alzò in volo e andò a posarsi sulla spalla di Terentius.
“Ahia!” gridò il ragazzo, sentendo gli artigli conficcarsi nella pelle.
Ugo li ritrasse subito per poi andare a posarsi sulla roccia. Accanto c'era il giubbotto di pelle, piegato con cura.
“Credo lo abbia lasciato per te” disse Gabriel.
Terentius lo prese e se lo infilò. Allungò il braccio e Ugo ritornò ad appollaiarsi con dolcezza.
Gabriel prese in braccio il piccolo corpo di Luca, e insieme tornarono verso il castello.