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[CE2025] La fede è una spada forgiata nelle fiamme dell’attesa

Posted: Fri Aug 01, 2025 3:25 pm
by Simona M.
Traccia n.1: Le lettere ritrovate.
[CE 2025]  La fede è una spada forgiata nelle fiamme dell’attesa

 «Buongiorno, M. Melanchon.»
«Buondì a lei, M.me Moreau. La ringrazio per la puntualità.»
«Ma si figuri… odio aspettare e far attendere. Come le avevo accennato per telefono l’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata per la cifra pattuita.»
«Perfetto. E per quanto riguarda la mobilia? Ha raggiunto un accordo?»
«È disposto a venirvi incontro con un’offerta aggiuntiva. Ma per quantificarla vorrebbe vedere un inventario.»
«Non meno di cinquantamila, lo metta subito in chiaro, mi viene un groppo al cuore solo all’idea di disfarmi di tutti i cimeli di famiglia.»
«Ah, la capisco, scelte del genere sono spesso dolorose, M. Melanchon.»
«Eh, lo so bene. Ma qual è l’alternativa? Questa palazzina di fine XVIII secolo è impossibile da gestire per chi vive di stipendio come me… tra le tasse di proprietà e le spese di manutenzione sempre più onerose.»
«Ogni cosa che ha un inizio prima o poi dovrà terminare. Con permesso M. Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Le farò avere l’inventario e attenderò una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?»
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.»
«Ottima notizia, Fred. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
«E perché mai?»
«Non ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con me stesso, le mie colpe di bambino e una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio… L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, quelle lunghe ore di inutile attesa, quel dovere rinnovare la fede altrui. Così adesso preferisco non affacciarmici neanche.»
«Non sei grandicello per queste fobie? Invece adesso capisco il motivo per cui sei diventato freddo con la religione. Quei riassunti ti si saranno messi di traverso tra te e Dio. Andiamo a dare un’occhiata, dai.»
«Piano, che la scala scricchiola. E tu, invece, che ricordo ne hai?»
«Oh. I miei non sono spiacevoli. Era un luogo dove poter scomparire, correvo io a nascondermi, e leggevo. Le mie migliori letture le ho fatte quassù. Le ore volavano, certo non mi pesava stare qui. Non avevo mai fretta di lasciare questo posto. Strano non esserci mai incontrati.»
«Di sicuro qualcuno di quei libri sarà rimasto qui da qualche parte, non pensi? Anche quella Bibbia di papà, coi suoi personaggi colmi di odio e di rancore. In un angolo, magari dentro quel vecchio baule quasi nascosto da quelle sedie accatastate, dentro un mare di oggetti inutili. Lo vedi là, no?»
«Mi hai fatto venire un pizzico di curiosità, Frederick. Leva le sedie, su. E aprilo, dai.»
«Ecco… Sono sicuro che non viene aperto per lo meno da cento anni. Che ti dicevo? Solo cianfrusaglie, robaccia che non si prenderà neanche il rigattiere. Oh, eccoli i miei quaderni con i riassunti. Questi li tengo io come ricordo.»
«Però... dietro quella borsa, cosa c’è? Sembra nascondere qualcosa nel muro.»
«Ma sì, Fred. La cassapanca serviva certo a nascondere questa intercapedine. E guarda, c’è qualcosa dentro. Prendile, dai.»
«Cosa sono?»
«Delle lettere, e sembrano vecchie come questa casa. Ma sono indirizzate a me. Frederick Melanchon, può essere mai?»
«Ma che dici, stupido. Sono troppo vecchie per essere indirizzate a te.»
«E a chi allora?»


«Saranno del nostro trisavolo, non ricordi? Quello che ha trascorso gran parte della sua esistenza viaggiando tra Asia e Oceania.»
«Ma sì! Quello che ha poi acquistato una piantagione di riso in Indocina dove il nonno raccontava vivesse solo con quaranta vietnamite in età fertile.»
«Ahah, Hai ragione. Frederick Melanchon detto il matto. La Cambogia si sarà riempita di piccoli Melanchon.»
«Probabile. Apro la prima, aspetta però, è chiusa con la ceralacca.»
«Spezzala, dobbiamo capire se hanno un valore. Io mi seggo e bevo un bicchiere d’acqua, meno male che ho salito una bottiglia. Guarda, è vergata con grafia minuta e precisa, macchiata qua e là da sbavature d’inchiostro. Prova a leggere tu Kat, io ho bisogno degli occhiali da lettura ormai.»
«Sembra una specie di diario di viaggio. Dai un’occhiata qui… pagine e pagine: itinerari, viaggi, luoghi. Il lago di Catyr Kol. Ti dice niente il nome? Sai per caso dove sia?»
«Baviera?»
«Ma dai. Non credo proprio.»
«Mi hai fatto venire una certa curiosità. Riesci a leggere? Sembra uscita da un altro mondo.»
«Sì, ci riesco, anche se certe parole è difficile decifrarle. Ecco, comincio...»
Nelle montagne del Karakorum la mia guida Pashtun mi domandò se volessi vedere la città del lago e si offrì di accompagnarmi.
Presi a spulciare la mappa, ma di quel lago, e men che meno della sua città, non v’era traccia.
Come mai non è segnata sulle carte, provai a domandargli. Non sarà neanche un villaggio, gli dissi diffidente, e presi un’altra cartina, della National Geographic, per averne la sicurezza.
E mi informò che era così ricca e potente che i Re del mondo neanche avevano il coraggio di segnarla nelle loro mappe.
«Essa svetta sopra gli uomini, fa per sé, non obbedisce a norme o leggi che non siano le sue, non commercia e non comunica con alcun altro luogo, è perfettamente autosufficiente, proprio sulla riva del grande lago di Catyr Kol, le cui acque profonde e azzurrissime ne costituiscono il limite invalicabile.»
Provai a replicare a mezza voce che erano tutte leggende e che nelle mappe non esisteva nessuna città e nessun lago.
«E poi non è troppo in alto, non vedi? Queste cime intorno saranno alte sei o settemila metri.»
Ibrahim assentì senza convinzione, sapeva di aver insinuato il tarlo del dubbio nel mio giudizio.
Mi studiò col suo occhio khorasanita astuto e attento e, dopo qualche parola con cui sradicò le mie titubanze, badò ad avvisarmi che saremmo partiti al sorger del sole.
«Se saremo fortunati arriveremo nella valle del lago in capo a un paio di settimane. Se Allah lo vorrà»
Lì per lì ero convinto che mi volesse giocare un brutto tiro, e di nuovo provai a prender tempo. Gli dissi di no, che era impossibile che una città tanto popolosa e potente come quella che descriveva doveva per forza essere inserita nelle nostre carte topografiche. Invece niente, non v’era traccia né del lago né, tanto meno, della città; al suo posto era segnalata solo un’ampia valle disabitata tra due alte catene di monti.
«Sahib» fece allora Ibrahim, con un tono secco e neutro che mi colpì.
Mi disse che nessun bianco aveva mai visto la città del lago di Catyr Kol.
«Ma per vederla devi avere fede.»
Mi feci convincere, e la mattina dopo partivamo con sei cammelli e due muli verso Sud, in direzione del Karakorum.
Faceva un caldo pazzesco, era luglio inoltrato, dondolavamo al sole seduti sulle nostre cavalcature dondolanti in direzione delle montagne, gigantesche e coperte da una neve perenne.
Preoccupato gli domandai se il passo sarebbe stato sgombro dal ghiaccio.
«Non esiste un passo per il lago. Lasceremo i cammelli al villaggio di Fergan Khan e proseguiremo a piedi per scalare il massiccio del Catyr.»
La risposta mi spiazzò. Fermai il mio animale di botto e gli dissi che era impossibile.
«Quelle vette saranno alte settemila metri. Sei forse uscito di senno, Ibrahim? Non sappiamo nemmeno se vi sia aria respirabile a quell’altezza.»
«Fidati delle mie parole, Sahib.»
E mi rivelò che lui conosceva uno stretto passaggio in cui un uomo a piedi poteva transitare.
Dopo tre giorni lasciammo i cammelli al villaggio e proseguimmo a piedi, inerpicandoci per le montagne, seguiti dai due portatori.
Dopo una settimana di terribili fatiche arrivammo nel punto più alto, che a malapena era percorribile da un uomo.
«Che vi avevo detto?» Ibrahim era sicuro di sé. «Voi siete il primo uomo bianco a vedere il lago di Catyr Kol» mi garantì.
Sotto di noi si poteva ammirare un’ampia valle luminosa tinta di verde e con un grande lago la cui estremità più settentrionale era circondata da vertiginosi precipizi, mentre nel lato a sud sorgeva una città circondata da quelle che anche da così lontano parevano mura ciclopiche.
Non potevo crederci, le mie carte non riportavano alcun luogo abitato. Ci incamminammo, e rimasi ancor più stupefatto quando, nei pressi del lago, notai numerosi accampamenti disposti a raggiera sotto le vaste mura. Giunti ancor più vicino potevano distinguersi tende che dovevano essere di miserabili, altre all’apparenza di benestanti e altre ancora chiaramente di ricchi personaggi.
Domandai stupito chi fossero, e Ibrahim mi spiegò che erano coloro che speravano un giorno di poter entrare nella maestosa città, e per tal motivo attendevano con pazienza non distante dalle sue porte.
E di porte se ne potevano distinguere una molteplicità lungo le mura. Grandi, piccole, medie, ma ognuna in quel momento inesorabilmente chiusa.
E subito gli chiesi quando venissero aperte.
«Non mi dispiacerebbe poter dare un’occhiata all’interno, sembra una meraviglia di altri tempi.»
Ma lo sguardo lungo di Ibrahim si corrucciò e mi rivelò, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, che quelle porte non si aprivano quasi mai.
«Come quasi mai? E come fate a sapere che c’è qualcuno dentro. Nessuno di queste persone accampate qui ha mai visto la città dal di dentro?»
«No, Sahib. Nessuno ha mai visto. Però è sicuro che esse prima o poi si apriranno. Oggi o domani, tra un mese o tra un anno, tra cento o mille, esse verranno spalancate di sicuro. Questo è il grande mistero della città del lago, Sahib.»
Io ero rimasto senza parole, e infatti non aggiunsi nulla, e quando arrivammo in uno degli accampamenti, il primo sulla nostra strada, mi accorsi della moltitudine di gente che lo abitava: donne velate dagli occhi scintillanti, altre dal viso scoperto e dallo sguardo fiero, uomini abbronzati e altri dalla pelle diafana, dai nasi camusi o dagli occhi a mandorla, vestiti riccamente o da mendicanti, mediorientali dall’aspetto o cinesi, o indiani. Persino africani dalla pelle scura: mercanti e monaci, mendicanti e pastori, contadini e borghesi, sacerdoti, guerrieri e nobili, persino quello che sembrava un Maha Raja con la sua corte.
Mi incamminai per l’accampamento traversando la sua straordinaria e variegata umanità fin quando non mi avvidi di un gruppetto di persone che si dirigevano verso una delle porte trasportando un lungo mazzuolo dall’estremità metallica.
E domandai alla mia guida cosa avessero intenzione di fare.
«Si recano a percuotere la porta, Sahib.»
E incuriosito gli domandai perché mai.
«Perché è opinione comune, tra coloro qui in attesa, della necessità di chiedere con forza che venga loro aperto affinché qualcuno all’interno si decida: se non bussi non ti verrà aperto, dice il Profeta.»
Li osservavo stupito, attonito.
«E non è venuto mai in mente a nessuno che lì dentro non vi sia nessuno? Che la città in realtà sia disabitata da tempo?»
Ibrahim accolse il mio scetticismo con una leggera risatina.
«Ciò è curioso, Sahib. Tutti i miscredenti che arrivano qui per la prima volta pensano la medesima cosa. Che la città sia deserta. Che in realtà all’interno non vi sia anima viva.»
Innervosito obiettai che nessuno, mi pareva, avesse portato una prova contraria.
«La prova c’è» mi informò la mia guida.
«Quale prova?»
«Certe sere si odono voci provenire dall’interno. E altre volte si vede del fumo sollevarsi dritto al cielo dai palazzi della città. Segno che vi sono uomini là dentro, e la città è viva e prospera. E poi…»
«E poi?»
«Tempo fa una delle porte è stata aperta» mi disse.
E gli domandai quando fosse successo.
« A esser sinceri la data precisa è incerta. Mesi, forse non più di un anno. Sebbene… sebbene altri ancora dicono avvenne quando regnava il Maharaja Tibert.»
«E quando regnò questo Maharaja?»
«Oltre duemila anni or sono, Sahib. Ma voi siete un uomo fortunato» provò ad addolcire l’amaro calice Ibrahim. «Guardate» e il viso gli si accese di speranza. «Il cielo vi assiste, Sahib. Neanche siete giunto e già potete vedere del fumo salire sopra i tetti della città. Ecco, proprio là, guardate! Dovreste esser grato alla sorte benevola, di poter ricevere, appena giunto, questo segno della presenza di vita nella città di Catyr Kol.»
E infatti lo vedevo il fumo, nitido librarsi con alte volute fino al cielo, cosicché tutto l’accampamento prese ad animarsi e non v’era uomo, donna o bambino che non indicasse le grigie spirali provenienti dalla città in preda alla più improvvisa e impressionante agitazione.
Non capivo cosa dicessero, ognuno parlava la propria lingua a me sconosciuta, ma era ben chiaro l’entusiasmo nei loro volti, nei loro gesti concitati, nell’agitazione delle loro membra, nei sorrisi che si slargavano in bocche sdentate, nei trilli e nelle risate acute. Come se quella presenza evanescente fosse l’avvenimento più meraviglioso mai accaduto nelle loro vite, in tutte quelle vite.
Con un gran sorriso carico di soddisfazione Ibrahim mi chiese cosa ne pensassi.
Provai a essere franco, e scettico come sono sempre stato gli dissi che secondo me dei predoni avevano scavalcato le mura da qualche parte, o dei viaggiatori avevano attraversato il lago in qualche punto, e stanno bivaccando in città.
Ibrahim si mise a ridere. «Avete voglia di scherzare, Sahib. Come fate a non credere dopo avere visto? Dopo aver visto un tale miracolo?»
Allora volli domandargli: « Dimmi, Ibrahim. Quando la porta di cui parlavi è stata aperta, quante persone sono entrate?»
Vidi Ibrahim farsi serio, come se avessi colto nel segno.
«Una sola, Sahib.»
«Una? È mai possibile?»
«Quel giorno non v’era alcuno in attesa davanti alla più piccola porta di Catyr Kol. Al crepuscolo giunse un viandante e bussò. Non era un pellegrino, forse non sapeva neanche che le porte della città non venivano mai aperte. Chiese un rifugio per la notte e forse per questo gli venne concesso il gran miracolo. Perché non sapeva niente, e la sua richiesta era innocente, la sua anima era candida, era là per puro caso.
Io, invece, ho aspettato qui per trenta anni, Sahib, ma non è mai accaduto, nessuna porta si è mai aperta, la città è rimasta chiusa per me» mi rivelò sconsolato. «Ho compreso di non avere il cuore puro, che solo mia era la colpa se le porte non si aprivano. Così me ne sono tornato al mio paese.»
Come era iniziato il fumo era cessato, la folla di pellegrini adesso sconsolata e corrucciata, delusa ma grata, lentamente defluiva, mentre qualcuno dei pellegrini si era avvicinato a noi e aveva ascoltato le ultime parole di Ibrahim.
«Caro fratello» disse uno di questi.« Quanta furia immotivata hai avuto e quanta poca fiducia tu riponi negli abitanti della città. Vi sono dei pellegrini qui in attesa da una vita intera. In attesa di un segno, come oggi. Un minimo di pazienza è necessario nella vita. Tu pretendi troppo senza aver nulla dato.»
«E poi? Perché ti fermi? Come continua, Kat.»
«E poi nulla, finisce qui. Le pagine finiscono qui.»
«Com’è possibile? Forse nelle altre lettere...»
«Non essere impaziente, Fred. Facciamole vedere a un antiquario, forse intere hanno un valore.»
«Io devo sapere, Kat. La apro… Ecco, riprende, ma, ma... con un’altra storia. Il passo di Sandar Lan. Che diavolo significa?»
«Adesso capisco perché papà ti rinchiudeva qui con l’obbligo di leggere la Bibbia. Voleva insegnarti a essere paziente e sincerarsi che avessi fede, e che non seguissi le orme di quello scettico di Frederick il matto.»















Re: [CE2025] La fede è una spada forgiata nelle fiamme dell’attesa

Posted: Fri Aug 01, 2025 3:26 pm
by Simona M.
Il mio link al commento: viewtopic.php?p=76999#p76999

Re: [CE2025] La fede è una spada forgiata nelle fiamme dell’attesa

Posted: Fri Aug 01, 2025 7:53 pm
by Poeta Zaza
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pmCome le avevo accennato per telefono virgola l’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata 
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pmCon permesso M. Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Le farò avere l’inventario e attenderò una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?» (chi fa questa domanda alla la Moreau? Non lo fai capire...)
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.» (qui la Moreau risponde)
«Ottima notizia, Fred. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. (La Moreau si chiama Fred di nome?)
Ho dei limiti io di certo, ma credo non si capisca chi parla a chi.
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pm«Ottima notizia, Fred. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
Tornando a bomba, la Fred Moreau chiama l'interlocutore Kat. Sono sempre più confusa, perché forse Kat è la Moreau?
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pmNon ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con me stesso, le mie colpe di bambino e una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio… L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, quelle lunghe ore di inutile attesa, quel dovere rinnovare la fede altrui. Così adesso preferisco non affacciarmici neanche.»
Ah ecco! Fred e Kat Moreau sono fratello e sorella... Però ti consiglio di aggiustare i discorsi diretti sopra per far capire chi parla.
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pme bevo un bicchiere d’acqua, meno male che ho salito una bottiglia.
che mi sono portato una bottiglia
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pm«Sì, ci riesco, anche se certe parole è difficile decifrarle. Ecco, comincio...»

(A questo punto, comincia lo "scritto" della lettera, che andrebbe riportato in corsivo, per differenziarlo)
Nelle montagne del Karakorum la mia guida Pashtun mi domandò se volessi vedere la città del lago e si offrì di accompagnarmi.
Presi a spulciare la mappa, ma di quel lago, e men che meno della sua città, non v’era traccia.
Come mai non è segnata sulle carte, provai a domandargli. Non sarà neanche un villaggio, gli dissi diffidente, e presi un’altra cartina, della National Geographic, per averne la sicurezza.
E mi informò che era così ricca e potente che i Re del mondo neanche avevano il coraggio di segnarla nelle loro mappe.
«Essa svetta sopra gli uomini, fa per sé, non obbedisce a norme o leggi che non siano le sue, non commercia e non comunica con alcun altro luogo, è perfettamente autosufficiente, proprio sulla riva del grande lago di Catyr Kol, le cui acque profonde e azzurrissime ne costituiscono il limite invalicabile.»
Provai a replicare a mezza voce che erano tutte leggende e che nelle mappe non esisteva nessuna città e nessun lago.
«E poi non è troppo in alto, non vedi? Queste cime intorno saranno alte sei o settemila metri.»
Ibrahim assentì senza convinzione, sapeva di aver insinuato il tarlo del dubbio nel mio giudizio.
Mi studiò col suo occhio khorasanita astuto e attento e, dopo qualche parola con cui sradicò le mie titubanze, badò ad avvisarmi che saremmo partiti al sorger del sole.
«Se saremo fortunati arriveremo nella valle del lago in capo a un paio di settimane. Se Allah lo vorrà»
Lì per lì ero convinto che mi volesse giocare un brutto tiro, e di nuovo provai a prender tempo. Gli dissi di no, che era impossibile che una città tanto popolosa e potente come quella che descriveva doveva per forza essere inserita nelle nostre carte topografiche. Invece niente, non v’era traccia né del lago né, tanto meno, della città; al suo posto era segnalata solo un’ampia valle disabitata tra due alte catene di monti.
«Sahib» fece allora Ibrahim, con un tono secco e neutro che mi colpì.
Mi disse che nessun bianco aveva mai visto la città del lago di Catyr Kol.
«Ma per vederla devi avere fede.»
Mi feci convincere, e la mattina dopo partivamo con sei cammelli e due muli verso Sud, in direzione del Karakorum.
Faceva un caldo pazzesco, era luglio inoltrato, dondolavamo al sole seduti sulle nostre cavalcature dondolanti in direzione delle montagne, gigantesche e coperte da una neve perenne.
Preoccupato gli domandai se il passo sarebbe stato sgombro dal ghiaccio.
«Non esiste un passo per il lago. Lasceremo i cammelli al villaggio di Fergan Khan e proseguiremo a piedi per scalare il massiccio del Catyr.»
La risposta mi spiazzò. Fermai il mio animale di botto e gli dissi che era impossibile.
«Quelle vette saranno alte settemila metri. Sei forse uscito di senno, Ibrahim? Non sappiamo nemmeno se vi sia aria respirabile a quell’altezza.»
«Fidati delle mie parole, Sahib.»
E mi rivelò che lui conosceva uno stretto passaggio in cui un uomo a piedi poteva transitare.
Dopo tre giorni lasciammo i cammelli al villaggio e proseguimmo a piedi, inerpicandoci per le montagne, seguiti dai due portatori.
Dopo una settimana di terribili fatiche arrivammo nel punto più alto, che a malapena era percorribile da un uomo.
«Che vi avevo detto?» Ibrahim era sicuro di sé. «Voi siete il primo uomo bianco a vedere il lago di Catyr Kol» mi garantì.
Sotto di noi si poteva ammirare un’ampia valle luminosa tinta di verde e con un grande lago la cui estremità più settentrionale era circondata da vertiginosi precipizi, mentre nel lato a sud sorgeva una città circondata da quelle che anche da così lontano parevano mura ciclopiche.
Non potevo crederci, le mie carte non riportavano alcun luogo abitato. Ci incamminammo, e rimasi ancor più stupefatto quando, nei pressi del lago, notai numerosi accampamenti disposti a raggiera sotto le vaste mura. Giunti ancor più vicino potevano distinguersi tende che dovevano essere di miserabili, altre all’apparenza di benestanti e altre ancora chiaramente di ricchi personaggi.
Tutto il pezzo scritto andrebbe messo in corsivo per distinguerlo dal resto.

Come ti evidenzio qui sotto:
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pmCome era iniziato il fumo era cessato, la folla di pellegrini adesso sconsolata e corrucciata, delusa ma grata, lentamente defluiva, mentre qualcuno dei pellegrini si era avvicinato a noi e aveva ascoltato le ultime parole di Ibrahim.
«Caro fratello» disse uno di questi.« Quanta furia immotivata hai avuto e quanta poca fiducia tu riponi negli abitanti della città. Vi sono dei pellegrini qui in attesa da una vita intera. In attesa di un segno, come oggi. Un minimo di pazienza è necessario nella vita. Tu pretendi troppo senza aver nulla dato.»

«E poi? Perché ti fermi? Come continua, Kat.» (punto interrogativo)
Simona M. wrote: Fri Aug 01, 2025 3:25 pm«E poi nulla, finisce qui. Le pagine finiscono qui.»
«Com’è possibile? Forse nelle altre lettere...»
«Non essere impaziente, Fred. Facciamole vedere a un antiquario, forse intere hanno un valore.»
«Io devo sapere, Kat. La apro… Ecco, riprende, ma, ma... con un’altra storia. Il passo di Sandar Lan. Che diavolo significa?»
«Adesso capisco perché papà ti rinchiudeva qui con l’obbligo di leggere la Bibbia. Voleva insegnarti a essere paziente e sincerarsi che avessi fede, e che non seguissi le orme di quello scettico di Frederick il matto.»
Finale appropriato di un racconto singolare, che mi è piaciuto.  @Simona M.  :)
Una domanda: perché la scelta del "passo di Sandar Lan"? Cos'è? Chi è?

Re: [CE2025] La fede è una spada forgiata nelle fiamme dell’attesa

Posted: Sat Aug 02, 2025 2:36 pm
by bwv582
Racconto interessante,@ Simona M., una storia più introspettiva e interiore a partire dalle lettere ritrovate. Apprezzo, inoltre, che il tuo è il racconto con più prologo prima delle suddette lettere, una scena realistica (la vendita) che poi permette di rinvenire il prezioso cimelio che, poi, i due protagonisti iniziano a leggere.
Ammetto di non aver capito niente dei riferimenti, perciò ho cercato su google e ho visto che il lago Catyr Kol (che si trova scritto spesso in modo diverso, ma magari dipende dalla lingua) è il punto di partenza per molte catene montuose con vette oltre i settemila. Ho visto anche foto di alcune tende fuori dalla città quindi mi è venuto spontaneo pensare che raccontassi qualcosa che avesse un fondamento che non riesco a cogliere. E mi spiace per la mia ignoranza se è così.
Comunque, dovessi farti una critica, a parte il separare la lettera dal resto (come detto nel commento sopra al mio), l'unica cosa che mi fa pensare è la scrittura stessa della lettera. Nel senso che un'italiano di cent'anni fa scriveva in modo molto diverso da uno di oggi e, in qualsiasi nazione tu abbia ambientato il racconto, ho pensato a una cosa simile. Certo, d'istinto ho in mente le lettere di Salvemini, i discorsi di D'Annunzio, quindi una retorica costruita in un certo modo, ma penso anche ad articoli di giornale o a lettere di persone comuni (da vari documentari).
Comunque prendi il mio parere come tale e alla prossima lettura.  :libro: