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Re: Poesia per un amico

In apparenza un componimento semplice, se non banale: le rime ripetitive disseminate quasi a caso e la paratassi gli conferiscono un suono cantilenante e quell'aura di nonsense caratteristica di molte filastrocche. Ma l'apparenza non è la sostanza.
Mi pare di individuare nel testo una precisa volontà di understatement, quasi a voler distogliere il lettore dai temi di non poco conto sui quali ti soffermi. E se questo è l'intento, allora tutto torna: sia la paratassi sia le rime semplificate. Si coglie un progetto ben strutturato che si allarga anche alla tua prosa e che possiamo chiamare "stile".

A volte penso che ho un amico stanco.
Prego per lui e lo penso tanto.


L'accenno all'amico potrebbe anche essere un modo per celare sé stessi: l'io lirico, a mio avviso, si rivolge difatti a quella parte di sé che percepisce come debole. La preghiera indica l'affidarsi a Dio, confidando in un cambiamento; il "pensare intensamente" rivela invece un'azione più concreta: riflettiamo per trovare soluzioni (il che potrebbe rimandare al solido proverbio "Aiutati, che Dio t'aiuta").

So che le mie parole non arrivano sempre.
Forse mai.
Pregare e pensare forse non serve a tanto.


Versi colmi di amarezza. Il cambio di prospettiva rispetto ai primi è totale, ma non conduce allo sconforto: se pregare è inutile, così come pensare, vi è una terza possibilità, che mi pare sia presa in considerazione nei versi successivi. Agire. Agire senza elucubrazioni mentali, guidati dal puro godimento insito nel corpo che si muove, nella contemplazione silenziosa, nel gioco:

Insieme ballammo un lento e un tango.
Abbiamo visto cime innevate.
(...)
T’ho tirato palle di neve.


La collocazione nel passato delle attività qui sopra citate amplifica l'aura nostalgica del componimento, tenuta però a bada, come scrivevo sopra, dalla modalità espressiva, evidenziata sotto, poco incline a sentimentalismi (e per tale motivo più adatta a entrare nel fondo dell'anima):

Se ci ripenso, divento triste e piango.
Il passato è passato.
il futuro, sempre più breve.


Ognuna voleva dire: «Ti amo tanto.»

Sia che l'io lirico si rivolga a sé stesso, sia che si rivolga a un amico, il verso finale è pacificatorio, e mi ha portato alla mente la frase con cui si conclude il Diario di un curato di campagna di Bernanos: "Odiarsi è più facile di quanto non si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Ma se in noi fosse morto ogni orgoglio, la grazia delle grazie sarebbe di amare umilmente sé stessi, allo stesso modo di qualunque altro membro sofferente di Gesù Cristo".

Grazie e ben ritrovato, @Domenico S.

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