(chiedo scusa @pale star per aver postato prima di lui, se è un problema cancellate pure il commento)
Essere dovuto venire fino a Parigi non mi entusiasma. O almeno, non mi entusiasma il compito che mi hanno affibbiato, e che già si prospetta lungo e complesso.
Già parlare con La Fontaine vivo sarebbe stato un problema, ma da morto il mio incarico inizia a rasentare l'impossibile.
Avvicinandomi alla grossa villa, mi stringo al meglio nel lungo cappotto nero, maledicendo la pretesa di apparire elegante e distinto. La camicia bianca è una misera barriera, il cappello grigio è un laghetto semovente, i pantaloni scuri e le scarpe sono zuppi d'acqua. Perfino con i guanti, ho le mani congelate.
Odio il freddo, la pioggia e l'essermi dovuto fare non so bene quante ore di treno e taxi.
Mi guardo intorno, provando a trovare un qualcuno, magari un membro del personale o una governante, a cui chiedere il permesso di togliermi da quell'esterno gelido. Qualcun altro si sta affollando vicino al portone, spero fortemente non con il mio stesso obiettivo.
Sbuffo, un po' per scacciare il freddo dalle labbra, un po' per dar sfogo al fastidio. Guardo con attenzione gli altri, provando a capire chi siano ed in che rapporti erano con Fontaine; magari, nella mia sfortuna, uno di loro sarà un qualche amico o conoscente, magari pure beneficiario di qualche eredità. Se un astrologo strambo può mai lasciare un'eredità, beninteso
<<Salve signori>> dico, col tono più allegro ed amichevole che riesco a tirar fuori <<molto piacere, Mattia Bailardo; posso chiedere cosa ci facciamo, di preciso, qui fuori? Magari avete visto una qualche anima pia, possibilmente disposta ad aprire la porta?>> aggiungo, accennando col capo all'ingresso della villa