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Re: Il Profeta Nero - la Campagna Imperiale, pt 2

@Poeta Zaza
grazie mille per il commento, scusami se ti rispondo solo adesso
ti ringrazio molto per le correzioni, temo che la maggior parte degli errori siano dovuti all'aver usato il cellulare al posto del computer 

Ad essere onesto, non si tratta di due capitoli, ma dello stesso spezzato in due parti, per farlo rientrare nel numero di caratteri consentiti dal forum; alcune cose, come ad esempio chi sono gli Ogam, sono nella prima parte

Poeta Zaza ha scritto: Chi sono? Non lo spieghi, né adesso, né in seguito. Forse nel primo capitolo? Ma allora potresti fare almeno un accenno di spiegazione anche qui
Scusami, ma non ho capito a quale delle due citazioni ti riferisci; la prima frase temo che sia una ripetizione che avrei dovuto togliere, nella seconda forse il termine "omologo" crea confusione? Andrebbe meglio "parigrado" o "corrispondenti"? 


Purtroppo non ho mai pubblicato la terza parte, conclusiva, ma appena avrò modo di fare un commento proverò a sistemarla e pubblicarla

Il Profeta Nero - la Campagna Imperiale, pt 2

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Domando scusa se il brano risulta come tagliato a metà, ma purtroppo nella sua forma completa supera i caratteri consentiti e quindi sono costretto a tagliarlo alla prima occasione utile; spero comunque che possa piacere, metterò il resto quanto prima 

La piana davanti al campo era stata allestita dal mattino.
Un intero tagma era stato schierato, scudi, elmi e lance che brillavano nella luce del tardi mattino.
Le insegne sventolavano pigre, appena mosse dalla brezza leggera.
Sotto gli elmi, i soldati sbuffavano piano, incuranti del caldo e del sole.
Quei veterani erano stati selezionati con cura. Il secondo tagma di Termipla stava immobile, allineati con la precisione di un mosaico.
Duemila soldati disposti in ranghi ordinati, piccoli quadrati di stoffa azzurra segnalavano le singole unità.
Zadras lasciò uscire il fiato, sforzandosi di non voltare la testa. Sapeva bene che effetto gli avrebbe dato quella vista.
Duemila paia di occhi che fissavano il piccolo palco rialzato, occupato da tre generali, un paio di matriarche attempate e qualche comandante dei reparti ausiliari.
Larida si era posizionato da qualche parte alle sue spalle. Zadras sentiva gli occhi del maresciallo trafiggergli la schiena.
I quattro capitani Ogam erano immobili, fissando un punto all’orizzonte che solo loro vedevano. I loro omologhi orchi sussurravano, sorridendo e scambiandosi cenni col capo.
Seduto sulla sedia, Zadras sentiva il sudore scendere lungo la schiena, infilandosi tra la tunica purpurea, trasudando fin quasi alla corazza bianca che si era infilato a forza.
Il lungo mantello azzurro non aiutava. C’erano voluti due valletti per drappeggiarlo a dovere sul braccio sinistro, infilandolo sotto il cinturone della spada.
Si trattenne dalla voglia di sbuffare. Zadras guardava senza vedere l’orizzonte, la testa che ancora doveva separare le parole del filosofo dal discorso.
Le alte mura di Perlei, le torri rotonde del suo castello, svettante sulla collina, ricambiavano il suo sguardo.
I delegati erano in ritardo. Dovevano arrivare un’ora prima di mezzogiorno, ed ormai mancava la metà del tempo allo zenit.
Zadras non voleva pensare alle varie eventualità.
Poteva significare che le trattative, nemmeno iniziate, fossero già fallite. Che il re di Perlei preferisse lo scontro. Che fosse solo spaventato dai soldati fuori dalla sua porta.
Impossibile dirlo, ed impossibile capire quale delle due fosse la peggiore
-Mio signore- disse un paggio, porgendogli un vassoio. Un calice d’argento pieno di vino svettava, il motivo a tralci che giocava con la luce del sole. 
Zadras alzò lo sguardo sul ragazzo, piegando in un sorriso le labbra 
-Portalo via- disse, una nota di fastidio che filtrava nella sua voce -comunica all’apokros di far bere gli uomini-
Il ragazzo, rosso in volto per caldo ed imbarazzo, girò lesto sui tacchi e scomparve.
Parve come essere il segnale per gli uomini di Perlei.
Il portale principale della città si aprì, facendo avanzare una carrozza scortata da una trentina di cavalieri.
Venti bandiere diverse avanzarono nella spianata, in un tripudio di colori e simboli, con il vessillo reale, di verde al drago d’argento, che precedeva gli altri a destra ed a sinistra della carrozza.
Zadras sentì una fitta di sollievo ed una stilettata di panico.
Il fiato gli si mozzò, mentre le parole del discorso fuggivano dalla sua memoria. 
Si ricordò di respirare quando la massa di cavalieri si fermò, un semicerchio irregolare davanti al suo palco. Il re di Perlei, sferragliando nella sua cotta di maglia, salì i due gradini con studiata lentezza.
Il volto giovane, rasato di fresco, sorridente, era incorniciato da lunghi capelli biondi. Le guance paffute erano sottolineate da quella che pareva cipria, gli occhi azzurri brillavano più del sole.
Zadras avrebbe voluto avere quella sicurezza, il passo tranquillo, la mano appena appoggiata sulla spada, il collo inclinato di lato per godersi lo spettacolo del tagma schierato.
Una ragazza, più giovane di, forse, un pari d’anni, veniva poco dietro.
Alta, con solo un cerchio d’oro a dichiararne il titolo, poche ciocche di capelli le scendevano ai lati del volto, provando a distogliere lo sguardo dagli occhi spaventati.
-Sua maestà, Luvrielle il Terzo, della casata dei Chapering, Re di Perlei, rende omaggio a sua maestà Zadras Leonideo- urlò un paggio, spuntando da chissà dove -spera, sua maestà Luvrielle il Terzo, re di Perlei, che questo incontro possa portare reciproco giovamento ad entrambi i regni qui rappresentati!-
Zadras si diede il miglior contegno che riuscì, raddrizzando la schiena ed alzando un poco il mento.
Quella era la miglior postura per un discorso, almeno secondo i suoi maestri di retorica.
L’immagine del suo precettore gli folgorò la mente. La sua risata, al suo aspetto, gli riempì le orecchie 
-Reco i miei saluti, ed i miei migliori auguri di prosperità e salute a sua maestà Luvrielle il Terzo- iniziò Zadras, la voce più roca di quanto avrebbe voluto. 
Aspettò, sperando che finalmente il paffuto sovrano gli rispondesse. Il ragazzo allargò il suo sorriso, annuendo appena, un’aria soddisfatta in volto.
La sua regina, accanto a lui, arrossì leggermente, scoccando occhiate d’imbarazzo al suo consorte
-Lo stesso per me- disse, finalmente, re Luvrielle.
Una luce di superiorità brillò negli occhi del sovrano. Zadras sentì un brivido lungo la schiena. Non vergogna, non paura, una piccola puntura incandescente nel petto
-Come vi è stato comunicato dai miei araldi- iniziò Zadras, alzandosi -è nostra intenzione passare il guado di Chevelle, che separa il vostro regno da Lorralle. In onore dell’antica concordia tra l’impero di Ellecria ed il regno di Perlei, sono qui dinanzi a voi, per porgere i miei omaggi ed incontrarvi in rispetto alle regole dell’ospitalità-
Re Luvrielle rimase in silenzio per molto, troppo tempo. Con quel suo viso sorridente, troppo delicato sopra la tenuta militare, fissava i generali ed il resto del seguito, più interessato agli abiti delle matriarche che al discorso.
Con di nuovo quella piccola puntura in petto, Zadras pensò se fosse il caso di dire altro. La regina di Perlei parve comprendere la sua inquietudine, perché si sporse appena per sfiorare il gomito del marito.
Con un’occhiata degna di un cane riottoso, re Luvrielle si allontanò da lei
-Perdonate, speravo che il vostro discorso proseguisse- l’orecchio di Zadras colse quel granello di ironia, ben nascosta -ma se mi domandate una cortesia simile, dove dedurre che sia vostra intenzione condurre questo esercito, questo numeroso esercito, verso il regno di Lorralle- 
Un calore più forte si diffuse nel petto di Zadras. E non solo per l’ostentata superiorità del re, ma per come avesse scacciato la sua stessa moglie.
Adesso che lo guardava meglio, notava come la cotta di maglia avesse fin troppi anelli dorati, come il tabarro fosse intessuto con ricchezza, come la spada, con un grosso gioiello sull’elsa, fosse fuori posto.
Al contrario del re, la regina vestiva con sobria dignità. Pur con la paura che le oscurava gli occhi, dietro vi brillava una luce; la schiena e le spalle erano dritte, in spregio alle mani torte in grembo
-Domani, all’alba, farò marciare l’esercito verso il guado nei Chevelle- disse Zadras, senza curarsi della punta d’ira che gli colorava la voce -garantisco, sull’onore delle insegne che porto, che non sarà fatto alcun male alla popolazione, che campi, villaggi e città non saranno danneggiati, che…-
L’altro non parve accorgersi di nulla, attese che riaprisse la bocca, interrompendo in maniera deliberata 
-Ma certo, ma certo- disse, incurante del sussulto della regina, delle matriarche e di una mezza dozzina di paggi -sono sicuro che sapremo intenderci- 
Zadras sospirò, calmandosi con tutti i discreti trucchi dei suoi maestri. I due giovani generali, al margine della sua vista, stavamo tesi; la mano del più vecchio si era stretta attorno alla spada. Non vedeva Larida, e non doveva per immaginarne il volto
-Su cosa, di preciso?- disse Zadras, piantandosi dritto davanti a Luvrielle. 
Da vicino, le guance imberbi del re parevano quelle di un bambino. I suoi capelli erano lucidi d’olio, i vapori di profumo cedevano sotto i primi sudori

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