dyskolos ha scritto: Adesso in Italia va di moda la distinzione tra lingua e dialetto in senso spregiativo. Questo è il nucleo della questione.Ma no, perché? Tu devi soffrire di manie di persecuzione...
A me non pare proprio che sia così: mi sembra anzi che ci sia interesse per la riscoperta dei dialetti a tutti i livelli, tanto a livello culturale quanto a livello sociale. Pensa a Camilleri, a Zanzotto, agli spot pubblicitari che sempre più spesso cercano il collegamento con le radici contadine e propongono parlate e modi di dire del territorio di cui pubblicizzano i prodotti.
dyskolos ha scritto: Nel 2011, quando si festeggiava l'unità d'Italia, in TV girava uno spot odioso in cui si vedevano alcune persone parlare in pubblico nelle loro lingue storiche e poi una voce tetrissima diceva, più o meno: "Ecco come saremmo noi Italiani se ognuno parlasse la sua lingua, ma per fortuna c'è l'italiano e così ci capiamo tutti".Non dobbiamo dimenticare l'importanza che ha avuto il mezzo televisivo per diffondere la conoscenza della lingua italiana e farci fare un balzo prodigioso nella lotta all'analfabetismo: cinque anni prima che io nascessi, nel censimento del 1951, il 13% della popolazione si dichiarava analfabeta (e probabilmente la percentuale era molto maggiore perché il 59,2% non era in possesso della licenza elementare).
Siamo una nazione e mi sembra naturale che dobbiamo avere una lingua comune compresa da tutti i cittadini e nella quale tutti siano capaci di esprimersi. Il dialetto è un valore quando si affianca all'italiano, non quando lo sostituisce.
A naja ero in magazzino viveri e ogni giorno i cucinieri venivano da me a "fare la spesa" per la caserma; ero a Bassano del Grappa e c'erano due compagnie distinte: noi delle trasmissioni (romagnoli, toscani, marchigiani, lombardi, piemontesi...) e gli artiglieri da montagna (tutti veneti).
La prima settimana fu un dramma; erano di servizio quelli dell'artiglieria e i due che venivano a fare la spesa parlavano soltanto il dialetto: si iniziava con "me deto..." e si continuava con i nomi veneti di carciofi, melanzane, pan grattato e via così. Io li fermavo e li supplicavo di parlare in italiano perché non ci capivo nulla, e quelli mi guardavano con sospetto perché pensavano che mi prendessi gioco di loro (avevo 26 anni, avevo studiato, quindi figurati...).
Insomma per una decina di giorni dovette venire il loro cuoco (che faceva il cuoco in un ristorante anche nella vita civile) a fare da interprete, finché non imparai a comprenderli e mi abituai al loro dialetto...