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Re: Se io potessi nascondere il mio cadavere -- (ATTENZIONE LINGUAGGIO ESPLICITO)

Buonasera @paolasenzalai ,
mi fa molto piacere che il racconto sia di tuo gradimento e condivido ogni appunto che muovi (e no, in effetti il fratello del protagonista non parla toscano)!
L'idea del sequel hard ambientato nell'aldilà non é male  :D
Grazie a te per il tempo che mi hai dedicato.

A presto!
RC

Re: Se io potessi nascondere il mio cadavere -- (ATTENZIONE LINGUAGGIO ESPLICITO)

@Adel J. Pellitteri , grazie per avermi confermato un'impressione che avevo dall'ultima stesura. Avevo aggiunto la parte finale per amalgamare l'incipit col racconto, ma credo proprio tu abbia ragione nel dire che é superflua (in origine il racconto doveva concludersi nel modo che dici tu).

@ElmoInverso , mi fa molto piacere sapere che la storia regge anche ad una seconda lettura :)  , grazie.

@Ippolita  , mi hai  fatto il più bel complimento che una mia "creatura" possa ricevere. Grazie infinite.

A presto!
RC

Re: Se io potessi nascondere il mio cadavere -- (ATTENZIONE LINGUAGGIO ESPLICITO)

Buonasera @Nightafter ,
lieto che il racconto ti sia piaciuto!
Ho immaginato un'"anima in pena" nel vero senso della parola, che vorrebbe riuscire a fare sparire il proprio corpo perché sa che, quando verrà ritrovato (e prima o poi accadrà), la sua dignità sarà compromessa, per lo meno nell'aldiquà: meglio sparire per sempre che morire da idioti.
In effetti all'ultimo momento ho cambiato il titolo da "Se solo io potessi fare sparire il mio cadavere" in [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]"Se solo io potessi nascondere il mio cadavere", che scorre meglio ma svìa l'attenzione.[/font]
Tu mi potresti dire: "Ma se il suo intento era spedire sui social la foto del secolo perché se la prende tanto se gliela scoprono nel cellulare, oppure se ha fatto in tempo a postarla?"
Perché quello che lo turba é il fatto di essere morto come un pirla subito dopo averla scattata, perché le circostanze della sua morte sviliscono il senso della sua "grande opera" :)
Fammi sapere se la cosa ti sembra contorta.

Grazie ancora,
a presto.

RC

Se io potessi nascondere il mio cadavere -- (ATTENZIONE LINGUAGGIO ESPLICITO)

viewtopic.php?f=8&t=2178&p=21553#p21553

C’è stato un tempo in cui ero convinto che ciascuna delle persone che mi circondavano avesse in sé qualcosa di meraviglioso: una storia da raccontare, una piccola idea rivoluzionaria, qualcosa che valesse la pena di essere condivisa e che mi avrebbe sorpreso ed arricchito.
Poi mi sono iscritto a Facebook.
Dio, che posto di merda.
Stai lì per tutto il tempo facendo lo scroll col dito e guardi passare stronzate. E dopo un po’ cadi in trance davanti a tutto quel traffico. È come abitare in un grande condominio con le pareti e i tubi di scarico trasparenti. E con la gente che caga di continuo. Non vorresti guardare perché sai già quello che vedrai se alzi lo sguardo, ma ogni volta che senti tirare uno sciacquone non puoi trattenerti dal dare una bella occhiata a quello che sta passando.
Ho scoperto che la retorica piace un sacco: la gente ama gli Angeli del fango, gli Angeli delle macerie, gli Angeli del virus… Sono convinto che l’unico motivo per cui un Angelo delle macerie posta una foto di sé stesso all’opera è per cercare di rimediare un pompino.
I maschi che condividono messaggi contro la violenza sulle donne? Pompini. E a modo loro sono eroici.
Grazie a questi “social (ehm!) network” ho scoperto che un sacco di gente, che non sentivo da un pezzo e speravo fosse sottoterra da anni, pare invece godere di ottima salute e si alimenta a stuzzichini e Aperol-spritz nei pressi di ogni piscina o spiaggia.

Quanto a me… vi starete chiedendo chi sia questo Catone Censore che al tal punto fustiga gli altrui difetti da sembrarne estraneo.
Riuscite a vedere quella sagoma stesa sul cornicione di quell’ecomostro abbandonato? Avviciniamoci ancora un poco.
Ora potete vedere che ha i pantaloni abbassati e che il suo capo giace al centro di un’aureola adombrata di sangue rappreso spazzato dalle piogge.
Mi dispiace fare la vostra conoscenza in questo stato, ma vi prego di apprezzare il fatto che, per lo meno, le mie vergogne vi sono nascoste dalla posizione a pancia sotto. Se non mi alzo per darmi una sistemata e presentarmi come si deve è perché sono bello che morto stecchito. O meglio, è il mio corpo materiale ad aver cessato le attività, a causa di un volo di una quindicina di metri: sembra che la mia essenza, il mio spirito, debba continuare ad esistere e patire per scontare le mie colpe terrene.
Quali colpe, dite?
Avvicinatevi ancora un pò… ecco… l’avete visto? Sì: un cellulare incrinato, vicino al mio cadavere. Lo stavo tenendo in mano, quando sono precipitato dalla torre dell’edificio.
Come potete vedere si tratta di un vecchio edificio disabitato, un relitto industriale che ormai ospita soltanto erbacce e ratti, ma che ha il pregio di comprendere una vecchia torre, dalla cima della quale si può ammirare la periferia urbana in tutto il suo squallore.
Allora mi sono detto: perché non fotografarmi il culo standomene lassù, con questa grigia distesa di ipocriti, puttane e lobotomizzati a fare da sfondo? Perché non creare il post definitivo con una foto che, una volta condivisa, avrebbe lasciato tutti senza parole?
Lì per lì mi è sembrata un’idea irresistibilmente sarcastica, un gesto potente che avrebbe lasciato il segno nelle coscienze delle persone… un’immagine che avrebbe cambiato per sempre la comunicazione sul web…
Poi mi sono leggermente sbilanciato ed i calzoni, che mi ero abbassato a metà gamba, mi hanno impedito di spostare un piede per appoggiarmi. Ho fatto un passetto saltellando per recuperare l’equilibrio ma ho incontrato il parapetto. Non ho voluto lasciar cadere il telefonino per potermi appoggiare con entrambe le mani e l’unica mano libera non è bastata a sostenermi. Sono morto perché, tra la possibilità di continuare a guardare merda sui social e quella di salvarmi la vita, il mio istinto ha scelto la prima.
In ultima analisi si tratta solo di questo. La mia condanna, la mia croce, il mio marchio di infamia: “Mostrava disprezzo verso di noi ma era peggiore di noi”.
Come vedete non mi sono schiantato sul marciapiede del piano terra, ma a metà altezza, sul cornicione del quarto piano, ed è possibile vedermi solo dall’alto (cosa che può permettersi solo qualcuno che voli a bassa quota, come un pilota di elicottero o un drone). Da terra non mi si vede e non c’è nulla che segnali il mio passaggio. Nessuno sa che sono venuto qui.
Se solo potessi spostare di lì il mio cadavere, tirargli su i pantaloni per ricoprire quel baccello secco e nero, verificare di non avere scattato quell’ultima foto, ed eventualmente cancellarla…
Invece la mia carcassa deve rimanere qui, in attesa chissà per quanto tempo che qualcuno si inoltri nella boscaglia dell’ultima periferia e, dopo aver percorso rampe e rampe di scale ingombre di calcinacci ed escrementi, finalmente mi ritrovi e mi consegni alle autorità perché qualcuno si adoperi per il mio riconoscimento ed avverta i miei cari.
In ultimo, mentre restituiranno i miei effetti personali alla mia famiglia, mia madre penserà che il mio sia stato un gesto volontario e si chiederà: ”Perché mio figlio si è suicidato dopo essersi fotografato il sedere? Possibile che non mi sia mai accorta che stava impazzendo?”
E mio fratello si rivolgerà a me dicendo: “Mi facevi la morale perché passo il tempo su Instagram quando tu te hai scelto questo modo per andartene… che pena mi fai!”
I post sui social (i social!) si rimbalzeranno la notizia della mia scomparsa, curandosi di sottolineare i risvolti comici, le circostanze maliziose (“Clicca qui per vedere l’ultima foto che ha scattato prima della tragedia!”).
Ma in quella foto c’è solo una piccolissima parte di me, del mio universo! Io sono (ero?) molto più di questo! Quella morte non mi rappresenta!
È tutto sbagliato.
Ma in fondo, quella foto l’avrò scattata oppure, nella concitazione di quel gesto sgraziato, non avrò fatto in tempo?
Quale entità sovrintende alla mia espiazione? Come può il pensiero di una condanna che presto o tardi  ridurrà una vita intera ad un’etichetta, ad una barzelletta sconcia, perseguitarmi in questo modo da morto? 
Non si può morire bene se la vita ancora incombe su di noi.

C’è stato un tempo in cui nutrivo l’intima convinzione di avere tutto il tempo del mondo a disposizione e che la vita sarebbe stata un’infinita scorribanda felice.
Poi mi sono iscritto a Facebook, poi a Instagram, poi a Twitter e via dicendo. Non ho potuto farne a meno… ne ero attratto in modo quasi ossessivo. Forse quello che cercavo veramente era di poter capire la gente attraverso i loro profili online. Un’illusione.
Ora, tutto quello che vedrà di me la gente, quello che lascio loro, è l’immagine di un coglione tale e quale a loro.
Però spiaccicato.


(PS: é un esercizio di scrittura che sfrutta un tema di MDI di qualche settimana fa.)

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