Elisa Audino ha scritto: lun gen 11, 2021 8:51 pm Questo argomento è illuminante. E mi dice qualcosa su quel che credevo di non conoscere che magari mi arriva dai miei manuali di storia e tecnica del cinema. Vado a rispolverarli.Se i linguaggi artistici vengono osservati da un punto di vista semiotico in molti aspetti si assomigliano e si possono travasare tecniche da un linguaggio all'altro. Diciamo che così si passa allo "scheletro del linguaggio". La sua parte scientifica.
Tornando al cinema è importante soprattutto la teoria del montaggio che ha caratterizzato i periodi migliori della teoria del cinema. Partendo dalla "Natura non indifferente" di Ejzenstein fino a Godard che la ingloba e la sviluppa. Una cosa molto interessante è il dibattito tra il cinema "di montaggio" e "quello di sceneggiatura". Mi ha sempre molto affascinato il fatto che il secondo veniva visto come quello più letterario, più romanzesco e per questo più limitato. Tipicamente è la modalità di scrittura che vediamo oggi nelle produzioni di fiction. La narrazione si risolve all'interno di un intreccio di fatti e questa cosa appiattisce il registro espressivo. È lo stesso problema che veniva affrontato in letteratura durante il periodo delle avanguardie in cui il termine "romanzesco" era considerato dispregiativo. Riflettere sul montaggio porta a pensare il linguaggio come un procedere non lineare tra più livelli di significato. I segmenti si raccordano temporalmente con la successione delle immagini, del raccordo audio, il parlato, il suono, l'equilibrio tra i controcampi e i piani sequenza... sono tanti microlinguaggi che entrano in composizione come in un'orchestra: è polifonia linguistica. La scrittura su questo è andata in debito. Appiattire l'attenzione dello spettatore dentro il dettato di una trama riduce il potenziale espressivo della scrittura. Ma è un rischio sopratutto della prosa, perché la poesia è naturalmente più vicina a una costruzione trasversale del significato.