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Capsula di protezione temporale

«Diario vocale di Steve Hope, viaggio nel tempo numero uno. Ora missione più zero, uno, zero, zero. Il localizzatore geografico conferma: la destinazione è corretta. È l’alba, parto per un giro di perlustrazione.»
Il viaggiatore del tempo si guardò intorno. Riconosceva le colonne dell’Università di Stanford. Tuttavia qualcosa non tornava. Riattivò il registratore.
«Memorial court. Verso nord vedo un muro che nelle simulazioni non c’era. Raggiungo i laboratori.»
Il viaggiatore si mosse sicuro fra i viali, giunse all’entrata del George Havas Engineering Building, disattivò la serratura elettronica e fu nell’atrio, quindi proseguì per il corridoio a sinistra. Scese una scala.
«All’interno nessuna presenza. Proseguo per il laboratorio numero quattro.»
Il corridoio era ancora nella completa oscurità, il viaggiatore azionò il visore poi l’illuminatore portatile. Un tremito lo colse quando vide un fascio di particelle provenire dal laboratorio.
Un illuminatore quantistico. Pensò, spegnendo il proprio.
Non è possibile, è il 2020: non esistono ancora questi dispositivi…
La certezza di non trovarsi nel luogo giusto lo colse impreparato. Mesi di addestramento lo avevano dotato di un’eccellente capacità nella gestione degli imprevisti, ma qui la sensazione di straniamento non somigliava affatto allo stress delle simulazioni.
«Chi è là!» lo sorprese una voce femminile.
«Vigilanza notturna. Identificatevi!» rispose lui riprendendo il controllo di sé e mettendo in atto uno dei piani diversivi preparati.
«Vigilanza notturna con un illuminatore quantistico? Il turno del 20 luglio 2090 è iniziato con settant’anni di anticipo!» La voce aveva un’inflessione cinese.
«Siamo arrivati insieme, evidentemente. Ci credevamo molto più avanti di voi.» Ammise lui.
«Siamo arrivati prima noi.» Rispose perentoria la donna. A partire dalla metà degli anni ‘80 la competizione fra Stati Uniti e Cina per il primo viaggio nel tempo aveva portato quasi alla rottura dei rapporti diplomatici.
«Ok, – disse lui – propongo una tregua. Motivi scientifici, trattato di Sydney numero 26 del 2088.»
«Non esiste nessun trattato 26: negativo.»
Il viaggiatore aveva già in mano la sua arma quando sentì attivare un dispositivo sconosciuto: poteva trattarsi di un registratore portatile o di un elaboratore personale, ma anche di un’arma, dopotutto.
Della donna distingueva solo un’ombra, sufficiente comunque ad agganciare il bersaglio.
«Ti tengo sotto tiro con un’arma letale, – riprese lei – sebbene riconosca nelle tue mani un laser a corto raggio.»
Il viaggiatore sentì un rivolo di sudore scendergli dalla fronte, tuttavia non mutò il proprio tono deciso.
«Se lascio la sicura la mia arma non può sbagliare. Ha senso morire assieme?»
«No, non ha senso. – Rispose lei, d’improvviso meno ferma. – Il tuo trattato 26 è conveniente per entrambi? Chi me lo garantisce?»
«Nessuno.»
Seguì un lungo silenzio poi al viaggiatore del tempo parve di sentire un singhiozzo.
«Qui non c’è nessuno. Sono arrivata due giorni fa. Partita da Beijing il 18 luglio 2090. E qui non c’è nessuno. La destinazione è quella giusta, ho rifatto tre volte tutti i calcoli, ma qui non c’è nessuno.»
«Cosa vuol dire “non c’è nessuno”?» chiese lui.
«Vuol dire nessuno!» urlò la donna. Seguirono una serie di imprecazioni in cinese delle quali il viaggiatore poté intuire l’asperità.
«Il mio appuntamento per il ritorno è passato da nove ore – proseguì la donna – sono imprigionata qui.»
«Chi sei?» domandò il viaggiatore.
«Capitano Fen Hu, Dipartimento per i viaggi nel tempo della Seconda Repubblica Popolare Cinese, primo viaggiatore temporale della storia umana. Mi spiace, sei il secondo.»
«Seconda Repubblica?»
«Ho esplorato l’esterno, – l’interruppe la donna – questa non è l’università di Stanford. La destinazione assegnatami non è cinta da mura: il luogo non è reale. C’è un muro là fuori. Un muro! Capisci?”
Intanto la luce del giorno era giunta anche nel seminterrato.
Il viaggiatore si presentò a propria volta: «Maggiore Stewart J. Hope. Esercito degli Stati Uniti d’America. Come avete fatto? Vi stimavamo indietro di almeno dieci anni.»
«Voi eravate indietro di dieci anni.» Rispose la viaggiatrice.
«Non potevate crederlo: la nostra superiorità dopo la grande crisi del 2055 era nota anche a voi.» La voce del viaggiatore denotava, però, stupore.
La donna parve assorta per un poco, poi lo guardò fieramente.
«Nella storia non esiste alcuna grande crisi, la Nuova Repubblica Popolare è più avanti di voi e te lo dimostrerò: ho capito tutto, mentre vedo bene il tuo smarrimento.»
Anche nell'uomo la tensione si sciolse in uno sconforto al limite del pianto. Qualcosa non funzionava ma prima di trarre conclusioni era opportuno compiere un giro di esplorazione più ampio e avere dalla viaggiatrice quante più informazioni possibili.
«Proveniamo da due futuri diversi e siamo finiti in una capsula di protezione temporale: il non-luogo destinato a prevenire i paradossi.» Proseguì lei.
«Le capsule di protezione temporale sono state confutate nel ’70» disse lui, ma si sentì rispondere:
«Vieni da un futuro sbagliato, le capsule esistono e noi ci siamo dentro.»
Non era davvero preparato a questo tipo di confronto: gli incontri nel suo viaggio potevano rivelarsi bizzarri, ma quello con un viaggiatore proveniente da un futuro diverso non era previsto.
«Cosa vuol dire “futuro sbagliato”?»
«Vieni, ti mostro il luogo.» Fu l’evasiva risposta di lei.
Gli strumenti rilevarono una ionizzazione residua compatibile con l’attività di un tunnel temporale, ma la perlustrazione di tutti i laboratori confermò che della macchina non c’era traccia.
Uscirono nel piazzale, raggiunsero il muro. Contrariamente al resto degli edifici, non era in pietra. Al tatto si rivelò una superficie liscia e calda.
«Cosa pensi che sia?» chiese lui.
«Un campo di natura sconosciuta. – Rispose lei – Forse il confine di questo universo chiuso. La natura dei confini delle capsule non ci è nota, ma credo sia questa.»
«Ne hai percorso il perimetro?»
«Circolare, di quasi due chilometri.»
«E sopra?» chiese lui.
«Il cielo potrebbe essere una proiezione. Ho inviato il mio drone. Oltre qualche metro di quota il campo impedisce il controllo del velivolo e la registrazione di immagini.»
«Quindi dove siamo, in realtà?»
«Non lo so.»
«Cosa può esserci oltre?»
«Non lo so.»

La notte sopraggiunse dopo una giornata intera di perlustrazioni dalle quali non ottennero altre informazioni utili né incontrarono altre forme di vita. La loro destinazione originale, un oscuro laboratorio di Stanford dove nel 2020 era stato effettuato con successo il primo esperimento di apertura di un tunnel spaziotemporale nella storia dell’umanità, era corretta. Tuttavia qualcosa chiudeva quel luogo su sé stesso e della macchina del tempo non c’era traccia.
Il mattino dopo, l’ora di missione 24:00 segnava l’appuntamento per il ritorno del Maggiore Hope. La speranza della viaggiatrice di tornare comunque da qualche parte nel futuro era riposta in quello stesso appuntamento.
L’ora passò, non successe nulla. Del resto avevano entrambi poche aspettative in merito. Eppure fin lì erano arrivati: una macchina del tempo doveva pur esserci.

Di quella macchina, nel futuro, si era persa ogni traccia. L’inventore l’aveva distrutta e aveva rimosso dagli archivi molti particolari del progetto, The big one nel 2028 aveva fatto il resto. Tuttavia nel futuro, in ogni futuro, era giunta la certezza dell’esistenza e del funzionamento, sebbene per un brevissimo periodo, di quella macchina, in quel luogo, in quell’anno. Quanti altri viaggiatori sarebbero giunti fin lì?

Steve e Fen non poterono saperlo. Il loop temporale di quella capsula di protezione si richiuse la sera successiva, cancellando dal proprio interno la presenza di ogni elemento estraneo, viaggiatori del tempo, da qualsiasi tempo, inclusi. Non erano in realtà i primi, né sarebbero stati gli ultimi.
La storia dell’umanità è cosparsa di esperimenti falliti e di viaggiatori partiti per i quali non c’è stato ritorno.

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