La ricerca ha trovato 11 risultati

Torna a “Femminile e professioni”

Re: Femminile e professioni

@ivalibri ma la dicotomia non è tra sesso e genere, la dicotomia è tra maschile e femminile, come sesso e/o come genere (ma sarebbe più corretto dire come biologia o come identità).

Tu sei liberissima di sentirti donna, e nel tuo caso coincide col tuo sesso biologico. Ma ci sono persone che non hanno questa coincidenza e deo gratias la società è propensa a smettere di considerare queste persone come mostri. 

La questione dei bagni non l’ho capita: ma sarà che dove faccio la fila io di solito ci si spoglia solo dopo essere entrati e se così non fosse avrei problemi anche ci fossero solo donne 100% bio e docg. Non è che non l’ho capita ora, eh: è dai tempi della polemica su Vladimir Luxuria nei bagni della Camera che non colgo il quid.

Re: Femminile e professioni

dyskolos ha scritto: Fuori dall'ospedale però io e mia sorella, se ci trovavamo in un negozio di abbigliamento, andavamo in reparti diversi ("reparto uomo" e "reparto donna"). Quando ci provavamo i vestiti, entravamo in due camerini diversi.
Ok, ma non è di questo che stiamo parlando. Stiamo parlando di mondo del lavoro. Logico che in camera da letto, e in tutte le attività correlate dalla discoteca alla biancheria intima, la distinzione maschio-femmina abbia un suo perché.



Ma che ti frega di quale biancheria intima indossa chi ti fa il progetto della casa?


dyskolos ha scritto: Detta così, sembra che, se vado per strada a chiedere alla gente se si sente maschio o femmina, mi rispondono che non sanno che dire. Mmmm… non mi pare che sia così. Tutti (o quasi) sanno se sono maschi o femmine. E daje
Mah. Io tutte le volte che ho 36.8 di febbre sento che sto per morire, e a quel punto ho serie crisi nell'identità di genere. :asd:


dyskolos ha scritto: lun dic 06, 2021 3:23 pmMedici maschi e femmine è giusto che portino il camice bianco allo stesso modo quando lavorano in corsia. Ecc… Però l'infermiere femmina io lo chiamo "Infremieeeeeeeeeraa" e quelle maschio "Infermieeeeeeeeeeeree".


Strano: io uso quel pulsante vicino al letto, non so se hai presente, che ha la cordicella e finisce sempre tra il materasso e le sbarre. :asd:




Comunque le volte che ho sentito qualcuno chiamare o parlare di o riferirsi a "personale infermieristico" è sempre e solo stato "l'infermiera", "le infermiere" o "infermieraaaaaaaaaa!". E non è che manchino i maschi, eh.

dyskolos ha scritto: lun dic 06, 2021 3:23 pmLa divisa, in altre parole, non nasconde il genere biologico. Nasconde il corpo, questo sì.
Ma dipende da che lavoro fai. Se per dire fai il saldatore (stile Jennifer Beals in Flashdance) non nasconde solo il genere, ma anche l'età, il peso, l'altezza, il colore di pelle/capelli/occhi, l'appartenenza di specie, genere, ordine e se ti dice male pure di regno.
ivalibri ha scritto: lun dic 06, 2021 3:59 pmCredo che si faccia una distinzione troppo netta tra genere e sesso, che funziona bene in teoria ma non nella realtà. La stessa dicotomia in fondo che separa irrimediabilmente corpo e mente. Il concetto di genere, in opposizione al sesso, nasce come tentativo di decostruzione dei modelli sociali e culturali di maschile e femminile (che hanno determinato la subalternità della donna e questo si tende a dimenticare). 
Ora si tende invece verso una cancellazione del femminile (poi se ho tempo torno sopra di nuovo su questo punto perché è fondamentale per capire perché una parte del femminismo si oppone a questa concezione).
Ma anche no. La decostruzione dei modelli maschile/femminile è il primo passo verso l'uguaglianza e, che uno lo veda o no, è la direzione che prende la società (compreso il fatto che sempre più bagni sono misti). E non si tratta affatto di "cancellazione del femminile" o, sarebbe meglio dire, di "cancellazione delle differenze biologiche".



Si tratta, per essere molto banali, del fatto che le donne possano indossare i pantaloni senza scandalo e che gli uomini possano fare altrettanto con le gonne (e io ne ho visti e non ero in Scozia - e no, non erano neanche tonache o caffettani, erano proprio gonne-gonne e di nuovo no, non erano drag queen né in maschera). E tutte le cose simili, dal giocare coi lego o le bambole allo studiare matematica o letteratura, fino agli uomini casalinga o babysitter e alle donne che vanno nello spazio o fanno l'idraulico.

ivalibri ha scritto: lun dic 06, 2021 3:59 pmDunque nascono questioni come il non nominare le donne per includere chi non si riconosce nel genere femminile (era uscito un articolo su Nature in cui le donne erano denominate "individui che mestruano" e altri casi del genere).
Certo: era un articolo sulle patologie della cervice e quindi si riferiva a "individui con la cervice", per escludere le donne trans, che in quanto tali la cervice non la possiedono, e per includere quegli uomini che essendo nati donna invece una cervice ce l'hanno. Usare questo per dire che adesso è probito dire "donna" è pretestuoso.

Re: Femminile e professioni

dyskolos ha scritto: La tesi di fondo è che introdurre in italiano lo scevà farebbe sentire a proprio agio le persone che non si riconoscono né nel maschile né nel femminile. Così includiamo pure questa esiguissima minoranza.
Be', sì. In realtà non è così esigua, anzi, la maggior parte delle persone per una cosa o per l'altra non si riconoscono nel modello "femminile" o "maschile" al 100%, ma sono da qualche parte tra i due estremi.

Ma questo, secondo me, è in netta contraddizione con volere per forza il femminile nelle professioni, che è invece introdurre una dicotomia dove è inutile se non dannosa.
dyskolos ha scritto: Se c'è un problema sociale, va risolto sul piano sociale, non linguistico.
O meglio: va risolto anche sul piano linguistico, ma in modo che sia coerente col piano sociale.

Per fare un esempio, nel mondo del lavoro l'abbigliamento sta diventando sempre più unisex. Le distinzioni si limitano ormai al fatto che le donne ogni tanto (specie d'estate) indossano un vestito intero e nell'abito formale (che sta diventando sempre più raro) gli uomini portano la cravatta e le donne la gonna (e neanche sempre nessuna dellle due). Se poi si tratta di lavorare nel senso di "fare fatica fisica", sono il lavoro o addirittura le normative a imporre l'abbigliamento. Per dire, le divise delle professioni sanitarie si dividono per funzione, e ormai prevedono tutte o quasi pantaloni e t-shirt. Se poi ci si aggiungono mascherine e altri DPI è davvero arduo non dico distinguere un maschio da una femmina, ma manco riconoscere un parente stretto da un estraneo. E questo sta succedendo in tutte le professioni, che prevedano o no una divisa.

In questa situazione, creare linguisticamente una distinzione tra "medico" e "medica" equivale a stabilire che i medici maschi devono vestire d'azzurro e quelli femmina di rosa (o imporre che tutte le donne debbano andare in ufficio con la gonna o truccate o coi tacchi). Anche se non ci fosse bisogno di spiegare ai pazienti che sì, i medici vestiti di rosa curano come quelli vestiti di azzurro (e ce ne sarà, perché è radicato che vestito diverso => funzione diversa), perché si sente il bisogno di una riforma linguistica che va contro la direzione in cui va quella sociale?

Re: Femminile e professioni

Silverwillow ha scritto: Pensate veramente che mettere una a alla fine del titolo di una professione basti?
Ma guarda, a vedere gli ultimi dati Istat sull'occupazione e conoscendo un po' la tendenza generale, difficile che il problema qui dibattuto sopravvivrà al decennio. L'unica voce che dovremo passare al femminile sarà "disoccupato", visto che "casalinga" è già femminile.

Re: Femminile e professioni

Attenzione a non confondere il suono schwa (che è... nessun suono) con il carattere ə, che è o è stato usato per esempio in azero e in turkmeno per indicare il suono /æ/, ma anche in altre lingue per altri suoni, e fa parte dell'alfabeto latino esteso (come æ, ö, ì o ş).

A me come idea non mi dispiace, come tentativo di introdurre il neutro (o l'indeclinabile meglio). Del resto è una tendenza dell'italiano quella di mangiare la vocale finale delle parole, per cui si tratterebbe solo di anticipare la cosa nello scritto.

Però ne faccio anche volentieri a meno, eh. Soprattutto in narrativa. In cose come avvisi, cartelli, annunci ecc. non mi dà particolare fastidio, sempre meglio di "i candidati e le candidate ", "gli utenti e le utenti".

Re: Femminile e professioni

ivalibri ha scritto: La scelta per il femminile, che l’Accademia ha più volte caldeggiato, non viene sempre accolta dalle stesse donne, tra cui non mancano quelle che preferiscono definirsi architetto, avvocato, sindaco, ministro, assessore, professore ordinario, il e non la presidente, ecc.
Ma chiedersi perché questo succeda, no eh?

E soprattutto, ma chiedere alle dirette interessate che ne pensino?

Re: Femminile e professioni

Scusa @ivalibri  ma non stiamo parlando della stessa regola grammaticale. I femminili delle professioni non violano alcuna regola grammaticale di per sé, casomai introducono del lessico inventato a tavolino.

Il punto è che non c'è nessuna regola che impone il femminile per nomi che si riferiscono a donne e il maschile per nomi che si riferiscono a uomini e quindi (a) non c'è nessuna necessità grammaticale di usarli e (b) esiste già una regola per le concordanze in questo caso, che funziona da secoli e nessuno si è mai sognato di discutere in altri casi.

Poi uno mi dovrebbe spiegare perché avvocato, ingegnere o sindaco non possano rientrare nella categoria 3 invece di volerle spingere a forza nella categoria 4. Se "guardia" non mina il sistema nel suo complesso, perché "avvocato" sì?

Su alcune cose Gheno ha ragione, sono obiezioni poco sensate e fa bene a smontarle (tipo quella sulla cacofonia). Ma in questo caso prende una topica colossale, nel merito e pure nel metodo.

Re: Femminile e professioni

ivalibri ha scritto: Non sono d'accordo, molti sostantivi concordano con il genere e creano problemi con altri parti della frase.
Tipo?
ivalibri ha scritto: Gli esempi della spia, la guardia, la sentinella sono minoritari e creano delle eccezioni alla regola,
Ma perché dovrebbero?

Cito dallo Zanichelli:
  ha scritto:Nel caso di esseri animati, invece, la distinzione tra genere maschile e femminile corrisponde gener. al sesso: marito, attore, portiere e gallo sono di genere maschile; moglie, attrice, portiera e gallina sono di genere femminile. Si è detto ‘generalmente’ perché ci sono delle eccezioni, nomi che sono di genere femminile anche quando indicano uomini, come la guida, la spia, la recluta, la sentinella, la guardia, la vittima, o nomi maschili che si riferiscono sempre a donne, come il soprano, o indifferentemente a uomini o donne, come il pedone. ATTENZIONE: in questi casi la concordanza è sempre grammaticale: il soprano Maria R. è stato applaudito; la sentinella, Luigi R., è stata ricoverata in ospedale.
Se si vuole ottenere che alle donne ci si possa riferire solo con nomi femminili, la grammatica va cambiata e anche in modo drastico, perché ad oggi la lingua italiana ragiona in tutt'altro modo. Può essere anche accettabile, ma dev'essere chiaro che è una posizione politica, non linguistica.

È come se uno dicesse che in italiano esistono solo nomi che terminano con "o", "a" ed "e", e se qualcuno rispondesse che esistono anche crisi, virtù o sport venisse risposto che sono "minoritari" e creano delle eccezioni alla regola. Certo che sono minoritari, ma questo non vuol dire che non ci siano o che siano irrilevanti o che un'eventuale teoria linguistica sulle desinenze non dovrebbe tenerne conto.
dyskolos ha scritto: lun nov 29, 2021 6:51 pmGrazie per la spiegazione chiara. Questa non l'avevo mai sentita e ridimensiona un po' il mio "misteriosamente".
Tuttavia osservo che molte parole sono rimaste invariate nonostante il cambiamento tecnologico che le ha interessate.
Certo. Ma la filologia è un casino proprio perché quasi ogni parola fa caso a sé, se per le professioni sanitarie c'è stato un andirivieni di nomi (sia maschili che femminili), altrove non è andata così.

Re: Femminile e professioni

ivalibri ha scritto: Per un principio di economia linguistica forse è più semplice che il femminili cambi connotazione che usare il maschile tout court  (cosa che crea problemi di concordanza tra il sostantivo e altre parti della frase). Tant'è vero che la proposta è stata in parte abbandonata. Ovviamente staremo a vedere che cosa succederà nei prossimi anni e quale direzioni prenderà la lingua.
Perché dovrebbe creare problemi grammaticali? Dal punto di vista linguistico, i nomi di professione si comportano da apposizioni, non da attributi, e quindi non concordano in genere. Sono nomi, non aggettivi.

Difatti, James Bond è una spia senza che a nessuno venga qualche dubbio su cosa si accorda a chi, così come "la casa è un rifugio" o "La Gazzetta dello Sport è un giornale". Analogamente: "la spia James Bond è uscita dalla stanza" o "leggo il giornale La Gazzetta dello sport", senza che ci sia il minimo dubbio. Perché dovrebbe esserci in "l'ispettore Anna è uscito dalla stanza"? Se c'è, è perché cozza con un nostro bias mentale, non con la grammatica. 

Le cose non si spaccano così con l'accetta, sono d'accordo: sarebbe dura dire "Anna è il padre di Antonio". Però Santa Caterina è un padre della chiesa, non una madre della chiesa (e nemmeno una padressa o una padra e manco una padre).

Più sopra è stato fatto l'esempio di "il sindaco Anna è incinta" o "il sindaco Anna è incinto": il problema in questo caso è che l'aggettivo è difettivo. Nessuno avrebbe problemi né con "il sindaco Anna aspetta un bambino" né con "il sindaco Anna è in stato interessante". Del resto abbiamo problemi simili nel volgere al passato remoto "mi prude un piede".

Sempre restando nel punto di vista linguistico, secondo me il problema di chi porta avanti questa "femminilizzazione" è che semplifica troppo la distinzione maschile-femminile, ritenendo che sia una questione legata più che altro alla biologia. Ma se andiamo a vedere le origini del femminile nelle lingue (che è un fenomeno relativamente recente, si parla di poche migliaia di anni fa, successivo all’invenzione della moneta e della scrittura), si vede che la distinzione biologica non è la prima causa di nascita della distinzione di genere linguistica. Anzi, in alcuni casi è al più un effetto collaterale senza un vero significato biologico.

Questa cosa è stata studiata soprattutto per le lingue semitiche, perché sono le lingue di cui abbiamo le attestazioni più antiche, ma anche per le lingue indoeuropee e il meccanismo è a grandi linee simile.
In principio, la distinzione è tra esseri animati e esseri inanimati (una cosa che sopravvive nel persiano per esempio), e non c’è neanche una distinzione tra singolare e plurale. È quest’ultima la cosa che nasce per prima, con due plurali, uno per molti singoli e uno collettivo (quello che in italiano è diti/dita, ossi/ossa, ecc.).
In un modo che non è molto chiaro, il femminile nasce dal collettivo. Qui le spiegazioni divergono, sia nella motivazione che nel senso originale: si va da chi dice che fosse un marcatore di inferiorità (tesi superata) a chi sostiene che sia una coincidenza.
Quello che però è abbastanza stabilito è che non si tratta di un marcatore strettamente femminile, ma piuttosto di non-maschio (sembra la stessa cosa ma non lo è) o forse addirittura un tipo di contrapposizione diverso. Per esempio, potrebbe essere una contrapposizione tra "individuo" (socialmente identificato col maschio adulto libero) e "elemento di una collettività" (socialmente identificabile con donne, bambini, schiavi, macchine, animali, ossia tutto il resto). Ma quale sia la contrapposizione da considerare dipende anche dal contesto.
Per fare un esempio in italiano, noi chiamiamo “pollo” l’animale che si mangia e “gallina” quello che fa le uova, a dispetto del fatto che siano entrambi femmine della stessa specie: questo perché la distinzione in questo caso è economica, non biologica. O pensiamo alla distinzione albero maschile/frutto femminile. A volte il femminile serve a marcare la differenza uomo/cosa: sono femminili, per esempio, le macchine che svolgono parte del lavoro (timbratrice, trebbiatrice, programmatrice) o anche l’oggetto di studio (fisica, chimica, matematica).

Che la distinzione di genere si porti dietro anche altre distinzioni è radicato nell’inconscio dei parlanti, per questo fa ridere quando si cambia il sesso di una parola o si perde di autorevolezza quando si passa al femminile. La cosa vale anche a rovescio: l’infermiere, l’ostetrico, il maestro perdono calore e amorevolezza, caratteristiche fondamentali di quelle professioni.

Insomma, la questione è molto complessa e va ben al di là del sessismo.

Kathleen Connors, “Studies in Feminine Agentives in Selected European Languages”, Romance Philology, v. 24, n. 4, May 1971, pp. 573-598
Kenneth Shields, Jr., “Some New Observations Concerning the Origin of the Indo-European Feminine Gender”, Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung, 91 Bd., 1 H, 1977, pp. 56-71
dyskolos ha scritto: lun nov 29, 2021 11:04 amPer esempio, io dico "medica" e ogni volta mi guardano male, però poi si abituano e mi guardano bene. Ora, "medica" si diceva regolarmente fino alla metà dell'Ottocento, poi quel termine è scomparso misteriosamente ma non per me
Ma devono guardarti male, visto che la "medica" dell'ottocento è più o meno a metà strada tra una OSS e una fattucchiera. Dovresti andare più indietro, alla medichessa medievale. Che però sì, certo, è il corrispondente femminile del medico di scuola salernitana: il problema è che anche quel medico non aveva la formazione che pensiamo noi di base teorico-universitaria, ma più da scuola pratica, tant'è che non serviva un corso di studi formale (anche se esisteva) ma bastava superare l'esame di abilitazione (ciò non toglie che fosse il meglio che si potesse ottenere e che le competenze fossero certificate).

Le medichesse in stile salernitano scomparvero quando la formazione universitaria  si impose come requisito per quelli che noi ora chiamiamo medici, formazione che alle donne era preclusa. Il termine medichessa acquisì quindi un valore spregiativo, e passò a indicare o quelle che adesso chiamiamo professioni infermieristiche o fattucchiere, erboriste e roba simile. Medica era diciamo la versione non spregiativa, ma appunto indicava più un'infermiera. Il termine cadde in disuso quando, a metà dell'ottocento, le professioni sanitarie si strutturano in modo simile a quella attuale e "medico" come termine acquisì prestigio sociale (e smise di fare cose come svuotare padelle).

Re: Femminile e professioni

Va be', traduco la frase interessante:

Anche se non è necessariamente un male che ci si renda subito conto del genere della persona di cui si sta parlando, la connotazione dei termini maschili e femminili differiscono così tanto che la distinzione non implica solo differenza ma disuguaglianza.

Re: Femminile e professioni

Silverwillow ha scritto: Io che sono donna non mi sentirei esclusa né svilita nell'essere chiamata avvocato, e non credo proprio di dovermi giustificare con l'autrice dell'articolo per questo. Io mi ritengo di mentalità aperta, ma fatico a vedere a chi possa giovare questo cambiamento linguistico, e sono sicura di non essere la sola. Se io come donna non vedo minacce maschiliste ovunque, magari grazie alla mia esperienza personale e limitata (ma neanche tanto), il dubbio che si stia gettando fumo negli occhi perché si è incapaci di risolvere i problemi veri mi viene. Come dire: sì da donna magari sarai violentata o ammazzata, ma nell'articolo di cronaca nera ti chiameranno col titolo lavorativo al femminile, perciò rallegrati...
Non solo. Un tempo la discussione sulla lingua come strumento di discriminazione verteva (anche e soprattutto) su altro: per esempio, su espressioni tipo "per questo lavoro ci vogliono le palle" oppure "è un lavoro da veri uomini" (che oltre a essere sessista è pure omofoba) o "tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge". Ma anche, per esempio, sulla sistematica sostituzione di "padre" con "genitore", in espressioni come "terra dei nostri padri". Insomma, verteva nel rendersi conto dei concetti non inclusivi che ci portiamo in testa.

Invece ora sembra che quando hai detto "avvocata" hai fatto il tuo: e pace se usi la frase "quella è un'avvocata con le palle".

Sarebbe ora di "Maria è un avvocato con due ovaie così"?
ivalibri ha scritto: L'obiezione principale che a me viene in mente alle diffuse resistenze alla questione è: come mai nessuno ha nulla da obiettare di fronte al femminile di professioni come serva, cameriera, cassiera e commessa e invece suona male avvocata e ministra?
Perché in realtà, almeno in origine, non indicavano il femminile di una professione ma proprio un'altra professione. Il cameriere serve a tavola e/o si occupa di un signore, la cameriera pulisce le stanze e/o si occupa di una signora. La cassiera sta alla cassa, il cassiere è un contabile. Il commesso fa commissioni (consegna lettere o pacchi per esempio), la commessa serve al bancone. E così via: sono professioni tra loro correlate, che magari si assomigliano, ma che non sono uguali. Un po' come banchiere e bancario.

E poi perché le lingue sono complicate: perché mela, pera, arancia, banana sono femminili e il maschile indica l'albero, invece il fico è maschile? Perché la Senna è femminile, il Po è maschile ma pure Il Cairo è femminile? Perché il filo, la fila, i fili, le file e le fila?
ivalibri ha scritto: non è una questione nuova, se ne parla dagli anni '80, non dai tempi dei social.
Anna Lepschy &co. scrivono: «La seconda tendenza, che pare avere radici più antiche nel movimento femminista, e, a giudicare impressionisticamente, sembra oggi prevalere, preferisce ricorrere, per designare uomini o donne indifferentemente, al termine che abitualmente serve a indicare chi esercita una data funzione, anche se tale termine è di solito grammaticalmente maschile». Quando è stato scritto quest'articolo era il 2001, mentre le famose Raccomandazioni di Alma Sabatini (quelle su cui si basa l'attuale tentativo di riforma) sono del 1987. Dal 1987 c'è stato un lungo lungo dibattito in ambito linguistico (ho trovato pochi linguisti favorevoli alla posizione di Sabatini), ma ha comunque prevalso la posizione delle Raccomandazioni che sono una presa di posizione politica, non linguistica: basta vedere il fatto che Sabatini era un politico (una politica?) e che il testo è il risultato di una commissione parlamentare, non di un congresso di linguistica.

E ha prevalso dopo un lungo periodo (diciamo dalla fine degli anni '80 all'inizio del XXI secolo) in cui l'orientamento femminista era diametralmente opposto. L'idea era che si dovesse arrivare a cose del tipo "Antonio è un'infermiera", "Anna è un avvocato", "Giovanni è una baby-sitter", "Maria è un generale". Quando io ho cominciato a occuparmi della questione, questa era considerata la via migliore, perché portava a un abbattimento della differenza di genere.

Tra l'altro non ha alcuna controindicazione grammaticale e renderebbe finalmente giustizia anche a quelle professioni che sono appannaggio femminile ma che diventano improvvisamente maschili appena un uomo fa capolino. Infermiere, per dire, è un termine che è stato ripescato più volte nella lingua. Fu espulso, quantomeno dagli atti pubblici, quando si decise negli anni venti/trenta che gli uomini non avrebbero potuto più fare gli infermieri (eh sì, la discriminazione è una strada a due sensi) e fu ripescato nel 1971, quando il divieto fu tolto, e le scuole passarono da essere "scuole per infermiere" a "scuole per infermieri" [ Olivia Fiorilli, La signorina dell'igiene. Genere e biopolitica nella costruzione dell'"infermiera moderna"].

Detto questo, a me sembra una pericolosa deriva quella di voler imporre un cambiamento linguistico di tale portata. Le lingue sono oggetti complicati, e manovrarle dall'alto è sempre un atto di hybris. Un conto è quello che ognuno di noi fa come singolo, ma cercare di imporre una riforma è creazione di una neolingua, per quanto a fin di bene, che non si può sapere dove porti, soprattutto se chi la propugna non è in grado di vedere che esistono condizioni di vita e ambientali molto diverse dalle sue.

Does Gender-Fair Language Pay Off? The Social Perception of Professions from a Cross-Linguistic Perspective

Per esempio, quello che io vedo sulla mia pelle è che questa soluzione non fa che accentuare le discriminazioni che vorrebbe rimuovere.

Per quella che è la mia esperienza di persona col sesso sbagliato nel posto sbagliato, il problema del femminile se lo sono sempre posto (da prima che diventasse politically correct intendo) quelli che non trovano possibile/corretto/adeguato/opportuno che io sia un ingegnere e ne mettono in discussione la validità. Loro hanno bisogno di sapere come si dice ingegnere donna, e dicono "quindi ti devo chiamare ingegnera?" col tono di chi ha scoperto che anche il cane di casa sa parlare. Stesso tono che usava chi voleva denigrare Raggi o Appennino chiamandole "la sindaca" o quelli che allo stesso modo chiamano Lamorgese "la ministra".

La questione linguistica in questi casi non è sul maschile/femminile del nome della professione o del titolo, ma sul riconoscimento dello stesso: nelle comunicazioni aziendali, gli uomini sono tutti ingegneri e le donne tutte signore (anche quando i primi non sono neanche laureati e le seconde lo sono proprio in ingegneria - e pure abilitate).

Ellen Spertus ha scritto: «The Sapir-Whorf hypothesis of linguistics states that the limits of human thought are determined by the nature and the structure of the language in which thought occurs. One corollary, on which this chapter is based, is that the English language's use of gender forces people to think in terms of male and female, with its gender-specific third-person singular pronouns and its different titles, in some cases, for males and females. While it is not necessarily bad to be immediately aware of the sex of someone being discussed, the connotation of male and female terms differ so greatly that the distinction not only implies difference but inequality. Biases in language are important because they show both the biases people hold and how they are communicated.»

Ma vorrei aggiungere un ulteriore punto: una tecnica per capire se una cosa è discriminatoria o no, è cambiare la categoria di discriminato: di solito si suggerisce di sostituire le donne con i neri o gli ebrei. Non sarebbe fastidioso leggere "abbiamo intervistato l'ingegnere ebreo Giovanni" o "come riporta il sindaco nero Mario"? Eppure secondo questa teoria sarebbe da fare perché darebbe più visibilità a un mondo che è fatto anche di ingegneri ebrei e sindaci neri. E perché non andiamo anche sulle religioni, visto che certe sono decisamente invisibili? "Buongiorno, siamo in contatto con l'astrofisica dottoressa atea razionalista Margherita".

Infine, ho un'ultima considerazione: sembra che rientrerà la dicitura "genitore 1" e "genitore 2" al posto di padre e madre. Ma nel caso che almeno uno dei due genitori sia una donna (cosa mi dicono abbastanza frequente) non dovremmo parlare, secondo certe logiche, di genitrice? Quindi una cosa tipo "genitore/genitrice 1" e "genitore/genitrice 2"? :grat:

Torna a “Femminile e professioni”