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Re: Senza motivo

Eh vabbeh troppo buono, mi commuovo. 
Hai ragione su quello che dici, trovo, per risponderti, che sia proprio una scappatoia, quel tipo di finale e di impostazione.  Devo anche dire che trovo sia una scelta imposta un po' dalla forma racconto e dal limite di battute (non ricordo quale fosse il limite della call, ma non certo moltissime battute). 
Comunque grazie di nuovo. 
Sulla cosa del rolex: oddio, potresti avere ragione. Il senso che le do io è: la pelle è scura dovunque, tranne dove aveva il rolex perché lì era coperta dall'orologio (che poi non credo ti facciano portare l'orologio dentro la lampada, non lo so, non ho mai fatto una lampada).

Re: Senza motivo

@Poeta Zaza, grazie mille dei complimenti e delle osservazioni. Segnalo che peraltro questo racconto è stato pubblicato su rivista Offline qualche mese fa.

Re: Senza motivo

Grazie, visto che sono quasi tutti complimenti (!!) ti rispondo sulla questione dell'obiezione di Carla: hai ragione, non ha molto senso. Il che ci può anche stare, però questo tuo rilievo mi fa capire che in effetti quella parte va cambiata. 
Per il resto grazie mille!

Re: Senza motivo

@Nightafter grazie del tuo commento. Domattina lo leggerò con più calma, adesso è tardi e non riesco. Volevo però dire una cosa sul paragone con Ellroy. Lo trovo più che lusinghiero, devo però dire che, forse purtroppo, abbiamo due approcci molto diversi, io e l'illustre collega  :asd:. Lui non inizia a scrivere finché non ha un piano completo dell'opera e della trama in ogni dettaglio (e ci credo, altrimenti dell'intreccio di una roba tipo "Il Grande Nulla" come fai a tenerne traccia), io inizio e poi si vedrà.
Insomma mi rifaccio molto di più all'aneddoto in cui si dice che, ricevuti i primi capitoli del "Signore degli Anelli" C.S Lewis abbia chiesto all'amico Tolkien, riferendosi al viaggio intrapreso dalla compagnia: 
"Bello, ma dove vanno?". 
Risposta di Tolkien: "Boh". 

Senza motivo

Commento



Il tamburo di un revolver non ticchetta quando ruota. È un mito cinematografico. Infatti, ora che Rebecca fa girare quello della sua Colt Python non esce suono, e non fosse per lei che mentre controlla i meccanismi ripete che la Python è la “Rolls Royce” dei revolver, saremmo in silenzio. Altra invenzione di Hollywood è che in una situazione come la nostra fumino sigarette una via l'altra. Qui c'è solo Carla che si morde le unghie, mentre Giovanna è immobile, una biscia d'inverno. Rebecca spruzza olio da una pipetta negli ingranaggi e impreca, s’è schizzata i jeans, e io dico ma cosa ti lamenti per una goccia d'olio che fra poco potresti imbrattarti di cervello, e potrebbero pure essere il tuo.
«Questo non è un gioco» dice Carla. Osservazione priva di senso, casomai doveva farla ieri, quando abbiamo proposto questa cosa, non adesso che siamo qua sedute e Rebecca ha tirato fuori una scatola di cartucce e ne sta scegliendo una che poi sono tutte uguali, cosa le scegli a fare.
«Si chiama roulette» risponde Giovanna.
«E allora?»
«È un gioco»
«La roulette normale non ti ammazza» ribatte Carla. Rebecca ha scelto la pallottola. Se la solleva davanti agli occhi, la guarda, la bacia, Dio quanto odio questi suoi gesti scaramantici, la infila nel tamburo. Sto sudando, sento l'odore acre salirmi dalle ascelle anche se fuori è inverno e c'è la finestra aperta, tanto siamo nel bosco e penseranno a un cacciatore.
«Tu sei qui perché ti sei rovinata alla roulette nomale, e quindi se adesso muori si può dire che ti ha ucciso quella» insiste Giovanna.
«Allora anche giocare in borsa uccide» ribatte Carla. Giovanna allarga le braccia, annuisce. Rebecca ci guarda una dopo l'altra con l'occhio ancora buono.
«Chi comincia?» chiede.
«Facciamo come il gioco della bottiglia» dice Carla. Giovanna sbuffa.
«Non ho sedici anni da quarant’anni» dice. Vedo la mascella di Carla irrigidirsi, che stronza, la deve far morire col bruciore della bile in bocca.
«Hai delle carte?» chiede Carla. Rebecca che alza, va in un'altra stanza, torna e butta un mazzo sul tavolo.
«Ma cos'è?» chiede Carla. Sulla scatola c'è un uomo nudo, un cappello da prestigiatore che copre l’inguine. Giovanna alza il re di picche, che è un tizio unto con un casco da cantiere e la camicia a quadrettoni. Lo guarda, lo ributta nel mazzo.
«Un regalo che m’avete fatto voi – dice Rebecca – forse pensavate di tirarmi su il morale».
Carla fa una smorfia, poi mescola e distende le carte.
«Carta più bassa inizia», dice.
«Casomai più alta» la contraddice Giovanna. Si voltano verso di me.
«Professoressa, conviene essere la prima o no?» domandano, anche se potrebbero pure arrivarci da sole, suvvia, a capire che se ruotiamo il tamburo dopo ogni colpo le probabilità restan sempre le stesse mentre al contrario sono il sedici virgola sei, il venti, il venticinque, il trentatré, il cinquanta, il cento per cento.
«Giriamo ogni volta» dice Carla.
«Si va dritti» dice Giovanna.
«Votiamo» propone Carla.
«Per tirare dritto». Giovanna alza subito la mano, imitata da Rebecca.
«Per girare tutte le volte». Carla vota, poi mi guarda, ma io mi astengo, che saremmo due pari e questa cosa rischia di non finire più e quelle che rimangono vive domani avrebbero anche da lavorare.
«Allora chi becca la più alta comincia, poi in senso orario» dice Giovanna. Pesca una carta e la tiene coperta. Rebecca per prendere la sua dà uno schiaffo al tavolo, Carla cambia idea infinite volte, poi si decide e ne prende una. Io cerco di calcolare quante siano, data la composizione del mazzo e il numero dei giocatori, le possibilità di pescare la carta più alta ma anche i numeri che ho nel cervello sono sudaticci e pesco a caso.
«Tre, due, uno». Voltiamo le carte. Rebecca ha un sette, Carla una donna a picche. Giovanna una donna, a cuori. Io ho un cinque. Carla bestemmia. In una roulette russa con quattro giocatori, in media la pistola sparerà dopo tre colpi e mezzo, in pratica o spara al terzo o spara al quarto, quindi o ammazza Carla o ammazza me.
Giovanna tiene la pistola sul palmo, la rimira, poi la solleva. La manica, ritirandosi, rivela sul polso una macchia bianca. È l'unico punto in cui non ha l'abbronzatura, perché ci teneva il rolex, ma è andata che per pagarsi gli avvocati ha rinunciato prima a quello che alle lampade e insomma la pelle le sussulta appena intorno alla testa dell'ulna quado tira il grilletto. Si sente solo un piccolo scatto metallico e il primo colpo è andato. Si stacca l’arma dalla testa e la guarda, come per capire cosa non ha funzionato.
Rebecca tira su col naso mentre s’appoggia la canna alla tempia, proprio dove le finisce la cicatrice dell’operazione. La pistola sembra restituirle il bacio che ha dato alla pallottola. Schiaccia il grilletto e nulla, è ancora viva. La pistola passa a Carla, che però resta ferma.
«Oh, e dai» le dice Giovanna. Carla la guarda di sbieco mentre lotta per spezzare un frammento d'unghia ostinato. Giovanna si alza e, prima che Carla possa fare qualcosa, le preme le mani sulle spalle e la blocca. Rebecca le afferra la mano e ci schiaccia la colt.
«Ho capito – sbotta Carla – non serve tutto sto’ teatro». Emana una zaffata acida. A quanto pare il suo corpo ha deciso che siccome fra poco sarà morto deve sputare adesso tutto il sudore “click”, anche il terzo colpo è andato. Giovanna si china all'orecchio di Carla e le sussurra «Boom», poi ride.
«Vaffanculo, va’» l’apostrofa l'altra, mentre mi porge la pistola. L'impugnatura è calda, unta di sudore. Mi tolgo di tasca un fazzoletto sgualcito, la asciugo.
«Comunque – mi dice Giovanna rimettendosi a sedere – non s'è mica capito perché sei voluta venire anche tu»
Allontano la pistola dalla testa, aggrotto le sopracciglia.
«Scusa - interviene Carla - a me mi costringi e invece a lei la interrompi? Guarda che sei proprio stronza»
Giovanna non la considera.
«Seriamente – mi dice – io ho la finanza appiccicata al culo, Rebecca ha già una pallottola nel cervello, solo molto più lenta e dolorosa di una di piombo e questa» indica Carla.
«Ho un nome»
«Questa – insiste Giovanna – preferisce morire piuttosto che dire all’ex che s'è ipotecata l’appartamento al gioco»
Vorrei dirle di lasciarla stare, ognuno per morire ha i suoi motivi, e sono abbastanza sicura ci fosse il tacito accordo di non mettersi a questionare le ragioni l'una dell'altra, insomma siamo libere di spappolarci il cervello senza farsi troppe domande.
«Tu invece hai un buon lavoro, un marito, due bambine, si può sapere che ti ammazzi a fare?»
Ma proprio ora gli scrupoli di coscienza?
«Sei malata anche te?» chiede Rebecca. Scuoto la testa mentre assaporo la resistenza del grilletto con l’indice.
«Problemi di soldi, tuo marito ti tradisce?». No, no, e no.
«Tu tradisci lei?» insiste Giovanna. Ancora no. Mi guardano in silenzio.
«E allora perché?» mi chiedono all'unisono.
Mi premo la canna sulla tempia, tanto forte che mi trasmette alla mano il pulsare del sangue. Il grilletto è coperto di sudore, il dito scivola.
«Ma deve per forza esserci un motivo?»
Sparo

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