Ho girato a lungo prima di riuscire a trovare qualcosa che attirasse la mia attenzione. In effetti sono incontentabile, non che mi ritenga un esperto o addirittura un “perfetto” per poter giudicare ma perché cerco sempre qualcosa, anche nella scrittura, che mi possa far riflettere e il tuo racconto di sicuro mi ha fatto pensare.
All’apparenza un testo distopico ma secondo il mio punto di vista, la mia interpretazione, racconta di un mondo verso il quale siamo già bene (anzi, male) incamminati, grazie a una certa parte del pensiero umano con la tendenza a creare nei suoi simili l’appiattimento, l’infelicità generale, il bisogno continuo di sentirsi uguali alle tendenze comuni, (imposte) senza porsi troppe domande. La fame e il bisogno uguali per tutti e chi si discosta mettendo in dubbio questi assurdi assiomi non è perfetto anzi: è “pericoloso”. Da evitare, rinchiudere possibilmente.
Questo ci porterà all’estinzione ma per fortuna, parafrasando Evola, nemmeno chi è convinto dell’estinzione (degli altri diversi da lui) sa cosa sia l’estinzione. E questo ci salverà.
Questa “perfezione” inoculata lentamente negli anni ha già cominciato a produrre i suoi malsani effetti, come un veleno. Apparentemente, con grande ipocrisia, l’umanità si mostra disponibile verso i “diversi”, li cura, li coccola, ma è vero il contrario. Chi sarebbero i “perfetti”? Mi vengono in mente i “boni homines” dell’eresia dei Catari, sterminati dalla Chiesa.
La diversità, l’imperfezione non è una cosa cattiva, purché non si trascenda nella malvagità. (I malvagi sono ovunque, ad ogni modo).
Il mondo è sempre vissuto nell’imperfezione, ciò ha comportato la ricerca di qualcosa di meglio, instaurato il desiderio di andare avanti, evolversi. Tutti i bambini, tutti gli uomini devono essere uguali; a livello di giustizia non sarebbe neanche male per quanto, nell’imperfezione umana, si dovrebbe rasentare una eguale ripartizione del dolore per tutti.
Naturalmente questo non sarebbe auspicabile, o forse sì, chi potrebbe dirlo?
Si taglia la testa al toro isolando, nascondendo, rinchiudendo gli imperfetti. Questo mi ricorda qualcosa avvenuto di recente in questa umanità impazzita, ma meglio non approfondire.
Non possiamo pretendere che il mare e il cielo siano sempre come in estate, esistono anche le stagioni intermedie, ognuna con la sua bellezza, le sue peculiarità.
Nella diversità c’è la vita.
Il tuo bel racconto, con la presa di coscienza di Tommi, perfetto suo malgrado, creato in serie per genitori, per una società priva di anima, fa riflettere. I suoi genitori, la società in cui vivono, non tollerano divagazioni sul tema, il bambino non può saltare nel fango perché si sporca. Ma è anche bello sporcarsi, poi si impara a ripulirsi.
Il tuo racconto è ideale da far leggere nelle scuole, sin dalle classi elementari, magari con delle belle illustrazioni, fatte bene, quei bei disegni realistici di una volta dei libri di scuola.
Ma forse, in questa attuale contingenza di omologazione ben avviata da decenni non so se sarebbe possibile. Il danno è fatto e tornare indietro comporterebbe una presa di coscienza generale negli uomini che purtroppo non vedo imminente.
Dobbiamo sperare per tutti i “Tommi” che la loro vita sia migliore, lontani dalla follia che è subentrata nel genere umano.
Almeno, io leggendo il tuo racconto ci ho visto questi spunti, probabile che ci fossi predisposto anzi: di sicuro lo ero. Magari non era tua intenzione suscitare queste riflessioni o avevi in mente altri significati.