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Re: Senza disturbare nessuno

Ciao @Adel J. Pellitteri 
Racconto che mi ha fatto pensare.
Presumo che il protagonista sia un adolescente. Alcuni, per innumerevoli motivi, non riescono ad accettare, a concepire la vita che comincia a dischiudersi ai loro occhi, ne hanno paura, oppure la odiano e si rinchiudono, oltre che materialmente in casa anche dentro sé stessi.
Sembra impossibile che possano esserci situazioni di questo genere, oggi se ne parla spesso, con l’amplificazione dei media che propongono varie “ricette” e vari “esperti” ognuno con la sua soluzione, spesso interessati unicamente a fare spettacolo, soldi, come per tutte le tragedie umane.
Ne so dolorosamente qualcosa. Il dolore, le lacrime dei genitori che non capiscono i motivi di questo rifiuto difficile da spiegare, non c’è una sola spiegazione, non c’è un solo rimedio. Ci sono vari modi per uscire da questo “muro” che ci si costruisce attorno, alcuni talvolta hanno effetto positivo, altri no, spesso sono più  esiziali della situazione iniziale e ti segnano per tutta la vita.
Ma, ad ogni modo, gli incubi non abbandonano mai anche chi riesce a rompere il muro perché si tratta di esseri umani diversi dalla media, che hanno subito qualcosa di diverso dalla media. Non ci si passa sopra con delle riunioni in comunità o cure varie. Gli incubi, anche quando si sarà guariti, non abbandoneranno mai la mente, è impossibile, nonostante si possa in seguito vivere in maniera passabilmente “normale” in mezzo ai propri simili che faranno fatica ad accorgersi di eventuali disagi e quand’anche se ne accorgessero non capirebbero. (Tante virgolette: le parole sole non sono sufficienti a spiegare o almeno io non riesco a vedere, a farlo diversamente). Anche usciti da questa chiusura alla vita si sentirà sempre la mancanza di qualcosa, si avvertirà sempre la paura di qualcosa.
La violenza che si subisce non è solo nella guerra, apoteosi dell’orrore. La violenza per un uomo, per un bambino, può cominciare con i primi semplici e innocenti atti della vita appena si raggiunge l’età della ragione, se non anche prima, purtroppo.
È violenza non poter fare certe cose che consideriamo naturali, è violenza non poter ridere, non poter correre, non poter amare ed essere amati. È violenza rendersi conto, quando privati di cose che appaiono naturali come l’aria che si respira, capire invece che altri possono fare quelle cose, che per loro sono naturali, un “diritto” e per noi no. E allora, essendo troppo deboli per reagire, per combattere, cediamo le armi, ci ritiriamo, non vogliamo vedere più nessuno. Forse pensiamo, ci illudiamo di punire gli altri con la nostra assenza, con la nostra rinuncia ma a parte i familiari la cosa non interessa veramente a nessuno.
Ci sarà un motivo per il quale alcuni esseri umani devono vivere sulla Terra come in un anticipo di Purgatorio se non di vero e proprio Inferno.
Il tuo racconto mi ha portato a questi pensieri, ceramente a empatizzare con il personaggio, di cui posso capire la sofferenza, l’estraniazione, l’alienazione totale per il mondo che lo circonda.
Non c’è rimedio. Nasciamo per correre liberi ma ci vengono imposte mille pastoie, mille reti, ostacoli. Sofferenze.
Un filosofo francese, Paul Ricoeur diceva: “Si sottragga la sofferenza inflitta agli uomini dagli uomini e si vedrà ciò che resterà nel mondo: a dire il vero noi non lo sappiamo, tanto la violenza impregna la sofferenza.”
Chi si adegua crede di vivere, di essere “normale”, chi non si adegua non ne vuole sapere più niente. Non cerca aiuto e non ne vuole. Forse, così, pensa di essere finalmente libero dal peso materiale di un’umanità nella quale si trova suo malgrado, dove non è riuscito a inserirsi.
Grazie per aver postato questo racconto.

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