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Re: [MI178] Aldair

Edu ha scritto: Ogni tanto presentarsi in classe senza grembiule era tollerato. Allora Roberto ne approfittava per andare a scuola con la maglia della Roma. La sua aveva il numero 6 disegnato sulla schiena. “Aldair”. Roberto, prima di tirare, così gridava: “Aldair”, a ogni ricreazione, a ogni tocco di palla. Avrebbe desiderato di poter segnare anche lui tutti i giorni, come i compagni. Di spingere il pezzo di pietra usato come sfera oltre i pali delineati dalla pianta di ficus e dall’ingresso del corridoio delle lezioni serie. Ma Aldair era un difensore. Quando i genitori gli avevano preso la maglia non ci avevano ragionato troppo su. Aldair, come lui, i gol, li faceva di rado. No. Gol non ne faceva quasi mai. Una volta, senza il grembiule indosso e con la maglia della Roma, tirò una ciabattattata alla pietra che, schizzando sul muro di cinta della scuola, poi quasi finendo in strada tra le macchine, fu deviata in rete da un ramo. Momento di gloria, ma molto fugace. Il giorno dopo non aveva cambiato status, gli altri bambini lo riconoscevano per quello che era ed era stato. Incominciò allora. Se la mattina, a ricreazione, non poteva certo disertare le partite, poteva farlo il pomeriggio.
Interessante questo inizio. Uno spaccato di un'epoca scolastica passata, quando ancora ci si divertiva con niente, o quasi. Io ricordo che ero andato anche oltre: riuscivamo a giocare a calcio con una moneta da cento lire nel corridoio della scuola o con le famose palle di scotch. Il messaggio però, comprensibile per un ragazzo, è che aver avuto la maglia di Aldair sia quasi stata una punizione o una sfortuna, visto che era così importante fare gol. Non importa se il calciatore sia stato uno dei difensori più forti del mondo. Un piccolo dubbio mi sorge sul momento della ricreazione, una breve pausa nella quale gli alunni selezionavano molto con chi passarla. Mi viene da pensare che se Roberto non aveva voglia di giocare non credo che dovesse sentirsi obbligato. Anzi, erano gli stessi bravi sbruffoncelli giocatori che lo avrebbero probabilmente escluso, provocando forse un altro disagio. Un altro discorso era l'ora di educazione fisica. Lì si che veniva coinvolta tutta la classe obbligatoriamente e le difficoltà per lo sport praticato (sempre il calcio) venivano evidenziate.
Edu ha scritto: Sì, insomma, se quella cosa di voler far gol e non riuscire a farlo gli procurava solo dispiacere, che giocava a fare?
Qui De Gregori insegna.
Edu ha scritto: E il mare non ha niente da dare, in inverno, o almeno così aveva sempre pensato. Si era seduto e si era messo a osservare il volo dei gabbiani. Si adagiavano in stallo contro lo sfondo rosa del cielo che si andava già imbrunando. Animali di acqua e di aria, galleggiavano nel vento. Di tanto in tanto, sul mare che andava colorandosi alla stessa maniera del cielo, fino a confondervisi, la scia di una nave ridisegnava i confini.
Complimenti.
Edu ha scritto: Era tornato a casa. Il giorno dopo, la scuola, i compiti, e non più i giochi, ma il mare. E così per giorni e per giorni ancora, per tutti gli anni a venire. Così come aveva rinunciato alle partite di calcio, rinunciò ai primi baci. Gli altri si facevano la fidanzata, si vantavano di aver baciato, qualcuno addirittura di aver toccato. A lui non poteva riuscire, per lo stesso motivo per cui, alle elementari, indossava la maglia di Aldair e non riusciva a segnare. Rinunciava. Usciva con il mare. Certo, anche il suo sangue aveva preso a bollire, anche lui, di notte, sotto le coperte, si dava piacere con voluttà feroce. Anche lui si era invaghito della ragazza bionda della 2a F. Ma il mare non lo tradiva, stava lì, e, per quanto rimanesse sempre uguale a se stesso, ogni giorno cambiava vestito. Quando le nuvole erano basse, il cielo diventava un caleidoscopio che dall’arancione virava all’oro, fino a raggiungere il verde, allo zenit, e all’orizzonte il ciclamino. Sua madre si preoccupava. Non sapeva dove andasse, i pomeriggi,
Bello anche questo passaggio. Ahimè (o se vogliamo anche per fortuna) un po' mi ci identifico. Ma da me c'erano i boschi di brughiera. Ma se proprio vogliamo entrare nello specifico, erano pochi fortunati (invidiati) che riuscivano a dare baci alla luce del sole. Era un primo passo importante e uno scoglio durissimo da superare. Almeno da mie parti non erano poi così tutti spigliati. Forse il fatto di non avere legato rapporti di amicizia non credo che sia strettamente legato al fatto che rifuggisse dalle ragazze (quando c'era da affrontare una situazione più "intima").

Il finale è un crescendo di emozioni, della sensibilità di quest'uomo verso qualcosa di incommesurato che neanche l'affetto o l'amore di una donna può donargli. Una scelta di vita difficile da comprendere, che ha preso la via da un disagio esistenziale ma che forse meglio di così, per lui, non poteva essere.
Atmosfere che ho letto in altri tuoi racconti. Scritto molto bene.
Piaciuto

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