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Cosa succede?

Commento
«Dì che ti chiami Dana»
«Certo amore, come preferisce. Posso essere chi vuoi.»
Il ricordo dell’estasi raggiunta tra le lacrime mi perforò come una lancia. Non riuscivo a smettere di pensare a lei. Questa notte devo lasciarla.
La mano tremava mentre cercavo di infilare la chiave nella toppa della serratura. Che vada al diavolo lei e il suo caro Tim.
Feci un respiro profondo e ricacciai le lacrime indietro. Una volta dentro casa diedi il giubbotto alla domestica. Come ho fatto a ottenere tutto questo con lei? Perché ora è tutto così straniero.
L’odore di acqua di colonia costosa usciva dalla cabina armadio come un sottile, quanto chiaro, segnale. Non era la mia. Come hai potuto Dana farmi questo? Come ho potuto farti questo?
Sapevo che lei era in sala da pranzo. Non volevo raggiungerla subito. Entrai nel mio studio privato. Mi accesi una sigaretta e sprofondai nella poltrona nera come il mio umore. Perché dovrei lasciarmi andare così? Perché non riesco ad agire?
Colpii con un calcio la pesante scrivania. Cadde a terra infrangendo tutto quello che si trovava sopra di essa. Una perfetta metafora della mia vita.
Quasi come un messaggio del destino, la pistola che tenevo nel cassetto rimbalzò fino a toccarmi la punta dei piedi. Peccato non sia esploso un proiettile, non avrei mai il coraggio di farlo da solo.
Abbandonai la stanza quando incominciai a pensare ad altri utilizzi per quell’arma.
Avvisai il maggiordomo di servire la cena e ripulire il casino, poi con un sospiro entrai nella tana del leone.  
«Allora, te l’ha dato l’aumento» dissi all’improvviso arrivandole alle spalle, alle mie parole posò di scatto il cellullare. Puttana.
«Sì.»
Ormai non mi rivolgeva più la parola. Per non parlare della possibilità di incrociare il suo sguardo, quella era pura utopia. Era più interessata al cibo che a me. Sentii una morsa stringermi il cuore. Maledetta, com’è possibile che io possa ancora amarti? Ormai non ti fa nemmeno più problemi a indossare gli orecchini che ti ha regalato quello.
«Cos’hai fatto per convincere Tim?» già, che cosa cazzo hai fatto. Sei solo una puttana, proprio come quella che mi sono scopato ieri.
La risposta si fece attendere per diversi secondi. Il cameriere entrò con i vassoi. C’era solo un lungo e inestimabile silenzio. Prese la forchetta e iniziò ad arrotolare il vitello tonnato. Con il coltello lo tagliò, lasciando schizzare fuori un po’ di salsa. Mise il boccone in bocca. Mentre masticava si sporcò il labbro. Lo pulì prima con un dito e poi con il fazzoletto. Con un sorriso riprese in mano il cellulare e iniziò a scrivere.  Dopo averlo posato si degnò di rispondermi.
«Niente di che, ha solo preteso che pranzassimo assieme per festeggiare.»
 Come se avesse bisogno di una scusa. Non so se sentirmi più cornuto o perdente. Sapevo che non aveva nemmeno provato a resistere ai tentativi di seduzione del suo capo. Non so quante volte abbiano fatto l’amore; so però che è passato quasi un anno e quattro mesi dalla nostra ultima volta.
«Immagino ti abbia soddisfatto per bene no?» dissi amareggiato. Perché non mi lasci lurida puttana? Perché il solo pensiero che tu possa lasciami mi fa così male?  
«Sì, lui a differenza tua sa cosa mi piace.»
Volevo alzarmi dal tavolo e baciarla strappandole via quell’indifferenza che ora la animava quando mi guardava. Non ti permetterò mai di andare da lui, ti amo Dana. Anche se sei una lurida puttana ormai sei una parte di me. Ripensai agli anni trascorsi assieme e a tutto il bene che ci eravamo voluti. Non sapevo come fossimo arrivati a tutto ciò. Non potevo resistere a lungo.
«Domani sera ti fermi in ufficio con Tim o vieni a cena dai miei?»
«Penso proprio che mi fermerò in ufficio fino a tardi.» L’immagine di loro avvinghiati sulla scrivania mi colpì in pieno petto. Ancora un colpo e il mio cuore sarebbe esploso.
«Non mi piace che lavori così tanto.» Dissi cercando di incrociare il suo sguardo. Sapevo che il mio tono lasciava trasparire una supplica che a parole non si può descrivere. Mio Dio, quanto mi sono umiliato, non volevo, non voglio e non posso farlo.
«Non pensavo che ti interessasse ancora.» mi rispose alzando la testa dal piatto. Per un solo secondo il suo sguardo si alzò. Era la prima volta dopo mesi che i nostri occhi si incrociavano. Le mie difese crollarono «Mi fa male vederti così stanca, vorrei che fossimo quelli di vent’anni fa.»
«Anche Tim dice che vorrebbe avere vent’anni in meno.»
Ecco il colpo definitivo. Come siamo arrivati a questi? Può la perdita di un figlio averci ridotti a questo?
Non potevo più restare nella sua stessa stanza «Non c’è proprio verso vero?» Dissi alzandomi di scatto dal tavolo.
Dana per tutta risposta prese il cellulare in mano. Non esistevo per lei. Anzi, per lei ero già morto ed essendo vedova stava già cercando la compagnia di un altro uomo.
Abbandonai la stanza lasciando la cena a metà. Mi chiusi in camera dove piansi respirando il suo odore. Nel cassetto del suo comodino c’era una rosa. Non ero stato io a regalargliela. Così come non sapevo avesse quell’intimo così spinto. Avrei parlato con Tim. Solo lui poteva aiutarmi a voltare pagina.
Si intrattiene già con mia moglie, cosa mi costa umiliarmi un altro po’?

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