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Re: Mille rivoli di pioggia

Ciao @Atlab the Alchemist 

è la prima  volta che leggo qualcosa di tuo, mi pare che tu abbia una chiara passione per ila narrazione scritta, che non può che essere per noi tutti appassionati, un motivo di giubilo.

Mi permetto, pertanto di esporti alcune mie considerazioni, del tutto soggettive, che mi sono sorte nel leggere questo tuo racconto.

A volte bastava un’allusione spinta, un doppio senso alla velocità della luce. (Confusione che alimentava un non senso), parole bruciate alla nascita e un filo di voce per pronunciarle. Fino al tramonto. Era allora che Sara diventava di tutti.

Questo : “Confusione che alimentava un non senso” trovo che confonda il senso della frase: cioè non mi è chiaro in cosa la “confusione” interferisca con lo stato d’animo “pudibondo” in quei momenti della protagonista.
Trovo che eliminandola, quello che segue giustifichi  due opzioni: ovvero che le parole siano rivote a lei, sottovoce tra i colleghi maschi che si abbandonano a commenti a sfondo sessiata, oppure che il pudore della protagonista le possa ripetere solo con un filo di voce.
In ogni caso le due opzioni di senso mi paiono accettabili.

Passione che intuiva se stessa aggrovigliandosi in mille rivoli di pioggia, quella che sbatte sulla lamiera provocando solo rumore.

Qui non mi è chiaro se il soggetto sia la “passione” che intuisce qualcosa,
oppure se sia la protagonista a intuire la passione che la pervade.
Nel primo caso forse l’articolo “Una” anteposto a “Passione” lo chiarirebbe meglio.
Nel secondo invece inserendo “in": “Passione che intuiva (in)se stessa, chiarirebbe a chi attribuire la suddetta “passione”


Per tutta la vita era stata implacabile, risoluta, opposta, magnetica.

Fin qui ci hai descritto una figura di donna estremamente misurata, schiva dei rapporti umani e quindi dei colleghi di lavoro, rigida e retta nella sue azioni e nella sua professionalità.

Non trovi che quel magnetica, quindi attrattiva, coinvolgente, contraddisca ciò che prima gli hai attribuito, cioè essere: implacabile, risoluta, opposta?

Riusciva a togliere il vestito scuro con un sol gesto, facendolo scivolare improvvisamente dalle gambe fino a terra.

Perché improvvisamente?

Cosa ci può essere d’improvviso nella scena di una donna che si spoglia davanti a uno specchio, nella quiete della propria casa, senza che niente e nessuno gli causi fretta?
Al limite, come per il reggiseno parlerei di rapidità del gesto.

Quelli che scrivevano la loro esistenza cancellandosi dal libro dei vivi per poi incidere le proprie iniziali sulla lapide del vizio assurto a virtù.

Questo passo se mi permetti, mi appare un filo sospra le righe.
Un di più a quanto descritto prima, in qualche maniera c’è qualcosa di
agiografico, letterariamente anche arcaico nel senso di romanzo ottocentesco, dove si usavano apogei romantici, per descrivere i turbini delle passioni umane.
Credo che eliminando questo periodo, daresti maggiore concretezza e credibilità alla tua narrazione.

Qui diceva di chiamarsi Sandra, e la conoscevano tutti.

Ora se la conoscevano tutti, mi sorge il ragionevole dubbio che tra quei molti clienti di quel locale, prima o dopo ci potesse capitare anche qualcuno degli invisi colleghi di lavoro.
Questa sarebbe stata una grave evenienza, cha avrebbe potuto causare non pochi danni all’immagine e alla carriera professionale della protagonista.
Come è noto, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Ti dirò per esperienza personale che una volta con un collega, vedemmo uscire il direttore marketing della nosta azienda, da una di quelle sale
a luci rosse che intorno agli anni ‘90 pullulavano in ogni città.
Lui non si accorse d’essere stato veduto e noi non rivelammo mai quell’incontro sconveniente.
Ma non saprei se i colleghi di lavoro della tua protagonista, siano altrettanto discreti.
Meglio sarebbe stato che la tua eroina salisse in auto e andasse a esercitare i suoi eccessi in una città distante almeno un’ottantina di chilometri dal suo luogo di lavoro.

attenta a non sprecare un solo secondo del poco tempo che il tumore al seno le avrebbe ancora concesso.

Nel narrare una prossima e inevitabile fine tragica della tua protagonista, la scelta di questa patologia è la meno probabile.
Meno probabaile, perché un tumore al seno, oggi se preso in tempo, non ti conduce alla morte. Nel peggiore di casi comporta un’asportazione chirurgica della mammella e con opportune terapie chemio, in genere si salva la vita della paziente.
Se realmente la tua protagonista fosse affetta da tale problema, al punto di rischiare la vita, significherebbe che si sia accorta della sua malattia tardissimo e quindi le metastasi, sono estese e irreversibili a una cura.
Non di meno la cura sarebbe tentata ugualmente, e sarebbe tanto pesante e invasiva da togliergli ogni velleità erotica.
A mio parere sceglierei un diverso organo, dove il tumore possa generarsi in maniera subdola e silente, credndo le condizioni di inoperabilità del paziente, allo stesso tempo lasciandogli ancora qualche tempo di vita.

A esempio un cancro al cervello, che giustificherebbe anche gli eccessi vitalistici della protagonista.
A tal proposito ti invito a rvederti il film “Betty Blue” diretto da Jean-Jacques Beineix, che tratta appunto un tema analogo.

Attendo di leggerti in un nuovo racconto.

Un saluto e buon lavoro.

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