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Re: Ecco, io verrò a te in una folta nuvola

Innanzi tutto complimenti, molto bello. Ti faccio solo alcuni piccoli appunti, ma davvero m'è piaciuto molto, soprattutto la tirata del vecchio prete contro Dio è di grande effetto. 

Se ha bisogno, sono nella mia camera. Buonanotte».


Io toglierei quella virgola, mi sembra che tolga fluidità alla frase. 


Scese le scale al buio, un gradino dopo l'altro, lentamente. Entrò in sagrestia e richiuse a chiave la porta dietro di sé; non ebbe bisogno di accendere la luce perché conosceva a memoria ogni centimetro della piccola sala. Arrivò alla porta dalla quale si accedeva all'altare, l'aprì senza difficoltà e chiuse anch'essa alle proprie spalle. Non accese neppure le luci della chiesa: gli era sufficiente il chiarore che vi penetrava attraverso le larghe finestre piombate e copriva di trame lattiginose il maestoso crocifisso di legno appeso alla parete dietro l'altare.
A Don Libero interessava unicamente fissare quel crocifisso. Se le luci perlate dei lampioni e delle case non lo avessero reso visibile ai suoi occhi, se lì dentro vi fossero state le tenebre, per lui non vi sarebbe stata differenza: egli conosceva ogni minuta sporgenza di quel Cristo, ne sentiva il calore e la freddezza, perché molte volte le sue dita si erano addentrate nelle ferite di quei piedi contorti e schiacciati uno sull'altro dai chiodi, ed erano risalite su, fin dove potevano arrivare, a sfiorare le gambe coi nervi in rilievo e le gocce scolpite di sangue e sudore. Poggiò la schiena all'altare e ne fissò il costato.
E l’Eterno disse a Mosè: "Ecco, io verrò a te in una folta nuvola, affinché il popolo oda quand’io parlerò con te, e ti presti fede per sempre".
Il vecchio prete salì con lo sguardo alla testa reclinata da un lato e alle braccia esauste: i suoi occhi indugiarono tra i chiodi che foravano le mani. Le stesse mani delle quali egli aveva ripetuto per tanti anni il gesto sacro di spezzare il pane e versare il vino. Un microcosmo di pazzia è l'uomo, egli pensò, e desiderò in quel momento di non essere mai nato. Era un verme della terra, una lurida bestia infedele. Avrebbe voluto infilarsi le dita nelle orbite, cavarsi fuori gli occhi e tirarli contro quel legno muto. Strapparsi gli ultimi capelli della testa, aprirsi lo sterno e gettare il suo cuore sul costato da cui zampillavano gocce di legno. Dio taceva con lui da decenni, ormai. Anche la più lunga delle notti oscure egli sapeva che aveva avuto una fine: o aveva frainteso le parole di Giovanni della Croce?
  1. Bello, ma lascerei fluire un po’ più la narrazione. Basta dirlo una volta che il vecchio prete conosce a memoria il posto e non ha bisogno della luce. D’altronde è, per l’appunto, un vecchio prete nella sua sagrestia/chiesa.
  2. Eviterei il pronome “egli”: “Sapeva che anche la più lunga delle notti oscure aveva avuto una fine”. Ad esempio non sarebbe meglio così?

Vide il prato dove correva bambino e le lenzuola bianche stese al vento d'estate; e dietro di esse, in lontananza, la madre con la cesta del bucato poggiata su un fianco. «Libero! Hai munto la vacca? Porta il latte alla nonna, e poi va' dal babbo: oggi al paese c'è la fiera, ricordi? Mi porti una trina per la toletta, se vedi comare Teresa? Libero! Ti voglio bene!». E vide i denti bianchi nel sorriso e i fratelli intorno a lei, e il cucciolo di cane che gli correva incontro per rotolarsi insieme a lui nel campo, e il sole immenso, e i fiordalisi.
Bella scena, bella idea. Unico, piccolo, appunto: secondo me alcune immagini sono un po’ troppo stereotipate, quasi eccessive. Intendo dire che alcune cose ce lo possiamo anche immaginare senza che tu le dica. Forse basta dire, ad esempio, che c’è sua madre, senza specificare la cesta poggiata sul fianco, d’altronde sta stendendo il bucato. Comunque bella scena. 

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